1.17 1851-1900 Neurologia e Chirurgia intracranica / Neurology and Cranial Surgery.

Contents
  1. 1852. ANDREA VERGA (1811-1895)
  2. 1866-1892. CHARCOT JEAN-MARTIN (1825-1893).
  3. 1866.  FOUCHER EMILE.
  4. 1869-19o9.  Autori vari. Trapanazioni craniche in Europa.
  5. 1873. MANTEGAZZA PAOLO (1831-1910).
  6. 1874-1913. Trapanazioni craniche in Oceania: Isola di Ouvea o Willis.
  7. 1875. PAUL BROCA (1824-1880), Instructions Craniologiques et craniometriques.
  8. 1877. FERDINANDO ZANNETTI (1801-1881), La trapanazione del cranio dell’uomo.
  9.     1880. MOSSO ANGELO (1846-1910).
  10. 1882. H. CHARLTON BASTIAN (1837-1915), Le cerveau organe de la pansée chez l’Homme et chez les Animaux.
  11. 1882. GOLGI CAMILLO (1843-1926).
  12. 1885. MORSELLI ENRICO (1852-1929).
  13. 1887-1897. Autori Vari. Trapanazioni craniche in Medioriente: Caucaso e Monti Zagros
  14. 1887. DURANTE FRANCESCO (1844-1934)
  15. 1890. ALEC FRASER (…-…), A guide to  operations on the brain.
  16. 1891. FREDERICK TREVES, F.R.C.S. (1853-1923), A manual of operative surgery
  17. 1892. SILVA BERNARDINO.
  18. 1893. A. D’ANTONA (1842-1913), La nuova Chirurgia del Sistema Nervoso Centrale.
  19. 1894. RAMON Y CAJAL SANTIAGO (1852-1934)
  20. 1894. GIUSEPPE ZUCCARO (…-…), Nuova trefina e nuovo metodo di trapanazione temporanea del cranio.
  21. 1895. FABRIZIO PADULA (1861-1933), Chirurgia Cranica.
  22. 1895. GIOVANNI MINGAZZINI (1859-1929), Il cervello in relazione con i fenomeni psichici.
  23. 1896. FREUD SIGMUND (1856-1939) e la nascita della Psicoanalisi.
  24. 1896 MAURICE AUVRAY (1968-1945), Les Tumeurs Cérébrales.
  25. 1897. Trapanazione cranica in Afganistan.
  26. 1898. PIERRE SEBILEAU (1860-1953), Thérapeutique chirurgicale des maladies du Crane.
  27. 1800 (seconda metà). RACCOLTA DI STRUMEMTI CHIRURGICI

 

1852. ANDREA VERGA (1811-1895)

Andrea Verga (1811-1895) è stato un medico, anatomista, psichiatra e politico italiano. Fu senatore del regno d’Italia nella XIII legislatura. Di indole vivace e irrequieta e di mente sveglia, da fanciullo Andrea era considerato, stando alla biografia del Castelli, un vero «barabbino», e fu solo dopo la sudata ammissione al seminario di Castello sopra Lecco che emerse la sua passione per lo studio dei classici, che lo portò ad emergere fra i compagni per le sue capacità. Nonostante i genitori desiderassero che intraprendesse la carriera ecclesiastica, Verga decise di intraprendere lo studio della medicina e la carriera accademica. Dopo essersi laureato nel 1832 presso l’Università degli Studi di Pavia, dal 1836 iniziò a collaborare come assistente con Bartolomeo Panizza. Durante i primi anni della sua carriera medica subì un grave incidente: si trovava a Treviglio quando un’infezione contagiosa gli colpì un occhio durante un’operazione, sviluppando un’oftalmia che, trascurata (anche a causa dell’impegno a combattere un’epidemia di colera in corso in città), gli fece perdere la vista all’occhio.

Nel 1843 si trasferì a Milano, dove iniziò la carriera di alienista in qualità di medico aiuto al manicomio privato di San Celso, luogo di ricovero di malati mentali appartenenti alle classi agiate. Nel 1848, durante la prima guerra d’indipendenza italiana, gli venne affidata dal Governo provvisorio di Lombardia la direzione del Manicomio Milanese della Senavra: al ritorno degli austriaci, rischiò quindi di vedersi togliere l’incarico, e per un certo periodo fu sorvegliato costantemente dalla polizia: furono «i buoni uffici di un Consigliere italiano del Governo» e l’aiuto del professor Panizza a salvarlo dalla rimozione. Ad ogni modo, nel 1852, sotto gli austriaci, gli fu offerta la direzione dell’Ospedale Maggiore di Milano (abbandonando la Senavra, sostituito da Cesare Castiglioni).

Nello stesso dette anche vita all’Appendice psichiatrica, supplemento al periodico la Gazzetta medica italiana. Grazie anche all’autorevolezza della rivista ospitante, l’Appendice ebbe un ruolo significativo nella nascita di una psichiatria come disciplina medica riconosciuta a livello scientifico e di respiro nazionale. Nel 1864 fondò, insieme a Cesare Castiglioni e Serafino Biffi, l’Archivio Italiano per le malatie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali.

Nel 1863 vi fu una riorganizzazione interna nell’amministrazione dell’Ospedale Maggiore, e il nuovo Regolamento Sanitario stabilì la soppressione della direzione medica: due anni dopo (1865) venne quindi a cessare le funzione del Verga come direttore. Il nuovo Consiglio, esplicitando che il Verga non era stato «preso di mira», decise di istituire pubblicamente per lui (come professione straordinario) la cattedra di “dottrina e clinica delle alienazioni mentali” all’interno dell’Ospedale Maggiore. Dopo un lungo periodo di incubazione, nel 1873 venne fondata a Roma, durante l’XI Congresso degli scienziati italiani, la Società Freniatrica Italiana: Verga ne divenne il primo presidente. Nel 1874 inoltre fondò e divenne primo presidente della Società di patrocinio per i pazzi poveri della Provincia di Milano, a favore di quei “convalescenti o guariti di pazzia” dimessi dall’istituto i quali trovavano «la società sorda e muta alle domande di ajuto e soccorso, perché pur troppo sussiste ancora il vecchio pregiudizio che il pazzo non guarisce». La sua nomina a senatore risale invece al 16 novembre 1876, ed è stata convalidata il 12 dicembre dello stesso anno. Ha prestato giuramento il 16 marzo 1877. Presente in molte delle istituzioni politiche, culturali e scientifiche di Milano, fu a lungo consigliere provinciale (1867-1889) e consigliere comunale (1876-1889), nonché membro del R. Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, di cui fu presidente negli anni 1857-1858 e 1864-1865. Completamente dedito al suo lavoro e in misura minore ai suoi interessi letterari – Verga fu autore di racconti e poesie – non si sposò mai e non ebbe figli. Muore nel 1895 e viene tumulato nella Cripta del Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.

Anatomico di discreta reputazione (il suo nome resterà legato al ventricolo di Verga), attorno al 1847 partecipò assieme a Carlo Erba, Giovanni Polli e Cesare Lombroso ai primi esperimenti sull’uso terapeutico della cannabis. Per il periodo storico in cui operò non poteva rimanere estraneo al positivismo scientifico, le cui concezioni influirono nei suoi studi e nella sua attività.

Estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Verga

 

Verga Andrea, Dell’apparato ventricolare del setto pellucido e della volta a tre pilastri, Giornale dell’I.R. Lombardo di Scienze, Lettere e Arti,  Tomo VIII, Milano, 1856

 

Estratto da https://books.googleusercontent.com/books/content?req=AKW5QaeTE0ym7f9ENMCAVlSoKMXih9RatvFv4Qio1-G0s6W0KeMW0qfgzSgrASZlZTkpSNmweFh5CiN1j_U8ST3vuNY1uBN34oUBncmih9XRM8bEB7Up7EaYHT3zx7te8k4bhOgcA1HlPMQbetS8UVoh5jOLNTgTSDOQ1LteVFOLV8hYwCEnpN59UI3M2YMl_koM0uWz7QTwj0WbdnDUSyZ9pPa_MAWa7veatzeURchA4jlZEo8-VHoojKMEBYZeBZsWV20IGuBfvp1MTxzkWSjfKko17jez5PmLk_1gThK4w4BDeTGTe2g

 

Zago S., Randazzo C., Andrea Verga (1811–1895), J Neurol (2006) 253 : 1115–1116.

Estratto da https://www.researchgate.net/publication/6795289_Andrea_Verga_1811-1895

 

 

 

 

 

1866-1892. CHARCOT JEAN-MARTIN (1825-1893).

Jean-Martin Charcot (1825-1893) è stato un neurologo francese. Egli è noto principalmente per i suoi studi neuropsichiatrici sull’isteria (che ispirarono Sigmund Freud) e per essere stato il primo a identificare e descrivere alcune malattie neurologiche importanti come la sclerosi laterale amiotrofica (detta infatti anche malattia di Charcot) e la neuropatia ereditaria denominata malattia di Charcot-Marie-Tooth. Jean-Martin Charcot nacque a Parigi, ultimo di quattro fratelli, il 29 novembre 1825. La madre Jeanne, diciassettenne, che aveva partorito per la quarta volta in 3 anni, morì solo cinque anni dopo. Per quanto fosse troppo giovane per prendere coscienza della perdita irreparabile, Charcot fu profondamente segnato dalla sua improvvisa scomparsa. Suo padre, Simon-Pierre Charcot, era carrozziere, e Jean-Martin era particolarmente affascinato dai clienti di suo padre, in particolar modo dal Barone Portal, un accademico, medico personale del re. Dei quattro figli di Simon-Pierre, Jean-Martin era il più studioso e apparentemente anche il più sveglio. Un cliente del padre, un rinomato cantante, notando la spigliatezza di Jean-Martin decise di portarlo a una prova dell’Orphée di Gluck. Quest’opera risvegliò in Jean-Martin il ricordo di sua madre, egli sperava che potesse tornare dagli Inferi proprio come Euridice. … Jean-Martin fu mandato al liceo Bonaparte, attuale liceo Condorcet. Si mise subito in luce come migliore della classe in tutte le discipline. Era molto bravo in matematica, ma ciò che lo stimolava di più era la biologia. Il padre di un suo compagno di classe, Henri Flavier, naturalista, invitò Jean-Martin, all’epoca diciottenne, nel suo laboratorio per osservare delle carcasse di animali. Scoprì in quelle vetrine mal illuminate gli scheletri di serpenti e di altri animali. Un fortissimo desiderio di scoprire il corpo umano si svegliò in lui. Jean-Martin osservava con attenzione le parti del corpo scoperte dei passanti. Immaginava di potersi introdurre all’interno del corpo per poter osservare tutto da vicino, aveva finalmente capito quale fosse la sua tanto ricercata aspirazione: voleva diventare medico. Il 10 settembre 1844 Jean-Martin Charcot prese in affitto una piccola camera nella soffitta della casa della signora Charlet vedova di un medico. Questo nuovo alloggio gli permise di essere meno distante dall’università e dall’ospedale. A 20 anni Jean-Martin Charcot, varcò per la prima volta la soglia dell’imponente edificio dell’ospedale della Salpêtrière. Durante il giorno frequentava i corsi ed eseguiva delle diagnosi sui pazienti dell’ospedale. Charcot mostrò subito di essere un medico molto dotato e coscienzioso guadagnandosi subito la stima dei suoi maestri e del personale ospedaliero. “Alunno fuori dalla norma, per la sua istruzione, le sue capacità e il suo zelo” è così che lo giudicava il professore Régnier. Fu ammesso come interno nel 1848. Tra gli ammessi di quell’anno c’era il cardiologo Pierre-Carl Potain che sarebbe diventato medico di grande notorietà, e inventore dello sfigmomanometro, apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa. Per quanto preso dalla medicina, Charcot non metteva da parte il suo interesse per l’arte e aveva un vero e proprio talento per il disegno. Cosciente delle sue possibilità, proseguì i suoi studi e i suoi successi gli permisero di aspirare ai livelli più alti della sua carriera. Sapeva che, per farcela, il figlio di un carrozziere doveva prima di tutto contare sul proprio lavoro e sulla propria volontà, ma non trascurava l’importanza delle conoscenze e delle relazioni con personaggi in vista. Alcuni dei suoi maestri lo avevano notato. Fu così che lo presentarono al professore Rayer, medico di Napoleone III, del quale seppe guadagnarsi la simpatia. Questa relazione gli tornò utile quando più tardi dovette crearsi una sua clientela privata. Charcot, presentò una tesi, a soli 5 anni dall’inizio dell’internato, che rivelava la sua grande capacità di clinico: ”Etude pour servir à l’histoire de l’affection décrite sous le nom de goutte asthénique primitive, nodosités des jointures, rhumatisme articulaire chronique”. In questa tesi distingueva le lesioni provocate dalla gotta da quelle derivanti dai reumatismi cronici. La sua capacità di non confondere malattie dai sintomi analoghi caratterizzò la sua pratica di medico durante tutta la sua carriera. Fu, infatti, il primo a distinguere le variazioni qualitative dei tremori propri a ogni malattia, dimostrò, per esempio in cosa differivano quelli provocati dalla sclerosi a placche da quelli analoghi presentati dai parkinsoniani. Un aneddoto racconta che, per mostrare questa differenza, chiese a due malate, una affetta dalla malattia di Parkinson e l’altra da sclerosi a placche, di pettinare le piume di struzzo di un cappello, in modo da mostrare la differenza nei tremori provocati da queste due malattie. Nel 1853 e nel 1862, grazie alla raccomandazione di Rayer, partì per l’Italia come medico privato del ricco finanziere Fould. Qui poté coltivare il suo amore per l’arte, grazie alle numerose opere che ebbe modo di vedere in ogni città nella quale si recò. Solo optando per un matrimonio vantaggioso, Charcot sapeva di poter ambire a una vita alla quale egli aveva sempre aspirato. Aveva 39 anni, nel 1864, quando sposò Augustine Durvis. Cresciuta in un contesto artistico, figlia del famoso sarto e gallerista parigino Laurent-Richard, Charcot trovò in lei non soltanto la sua compagna, ma anche colei che poteva condividere i suoi gusti. Il loro trasloco nel quartiere di Saint-Germain fu una tappa importante per l’entrata di Jean-Martin Charcot nell’aristocrazia parigina. Nel 1865 nacque la loro figlia Jeanne e nel 1867 il figlio Jean-Baptiste, che diventerà un celebre comandante marittimo e autore di lavori oceanografici nelle regioni polari, e che morirà in mare nel naufragio della nave da spedizione “Pourquoi-pas IV”. La carriera di Charcot proseguiva senza difficoltà. Nel 1862, fu nominato medico presso l’ospedale della Salpêtrière, dove gli venne affidato il reparto delle convulsionarie. Interessandosi in particolar modo all’isteria decise di separare nel suo reparto le epilettiche dalle isteriche. I suoi studi evidenziarono come le crisi si annunciassero con la fase dell’aura, “un vapore esalato da una matrice surriscaldata, risalente nell’epigastro fino al collo dove provocava un globo isterico e da qui arrivando alla testa dove originava dei ronzii nelle orecchie e a delle vertigini”. Fu il primo a utilizzare il termine “neurologia” per qualificare ciò che fino a quel momento ci si era accontentati di definire come “malattia nervosa”. Il suo campo di ricerca si estendeva dalle emiplegie ai rammollimenti del cervello, dalle encefaliti alle idrocefaliti, dal Parkinson alla sclerosi a placche. Nel 1882 venne creata per lui la cattedra di Neurologia. Da quando si era interessato alla ricerca, si era dedicato a questa nuova materia di cui sarebbe diventato il padre, conosciuto in tutto il mondo. Fu il primo a realizzare interventi di neurochirurgia.

Jean-Martin Charcot insegna alla Salpêtrière di Parigi, Francia e mostra  una donna (“Blanche” (Marie) Wittman) in preda ad una “crisi isterica”. Dipinto di una lezione clinica tenuta presso la Salpetriere mostra Charcot che illustra un caso di isterismo, le due infermiere a destra: Melle Écarty ; Melle Bottard, Joseph Babinski seduto davanti al professore, Georges Gilles de la Tourette seduto accanto, poi Paul Richer ; Charles Féré ; Pierre Marie ; Alix Joffroy ; Édouard Brissaud ; Paul Berbez ; Jean-Baptiste Charcot ; Mathias Duval ; Maurice Debove ; Philippe Burty ; Victor Cornil ; Édouard Lelorrain ; Théodule Ribot ; Georges Guinon ; Léon Le Bas ; Albert Gombault ; Paul Arène ; Jules Claretie ; Alfred-Joseph Naquet ; Désiré-Magloire Bourneville ; Gilbert Ballet ; Romain Vigouroux ; Henry Berbez ; Henry Parrineau. Pittore André Brouillet  (1857–1914)

Il suo contributo allo studio della fisiologia e della patologia del sistema nervoso è fondamentale. A lui dobbiamo la descrizione della sclerosi a placche e della sclerosi laterale amiotrofica (malattia di Charcot). Sotto la sua influenza, la malattia mentale cominciò a essere analizzata sistematicamente e l’isteria, allo studio della quale si consacrò a partire dal 1870 venne distinta dalle altre affezioni dello spirito. Le sue opere hanno portato a escludere il dubbio sulla simulazione da parte dei malati nella manifestazione delle crisi o dei sintomi isterici ed è stato il primo a utilizzare l’ipnosi come cura. Era convinto che la causa fondamentale dell’isteria fosse una degenerazione, di origine ereditaria, del sistema nervoso; un’interpretazione che Sigmund Freud, che era stato suo allievo dall’ottobre 1885 al febbraio 1886, smentì. Quando cominciò a interessarsi all’ipnosi, nel 1878 era arrivato alla fine della sua carriera. … Charcot stesso, un po’ tardivamente d’altronde, finì per rendersi conto, poco prima della sua morte, che la strada sul quale si era avventurato era molto incerta, così prese la decisione di riprendere integralmente la questione dell’isteria e dell’ipnosi. Nel suo lavoro in coppia con Paul Richer, affronta l’isteria dal punto nella storia dell’arte, riconoscendo ai pittori del Rinascimento, quali ad esempio Andrea del Sarto, Domenichino o Rubens, una scrupolosa osservazione del fenomeno dell’isteria attraverso un’analisi scientifica delle immagini dal V al XIX secolo riguardanti l’oggetto della ricerca, osservazione che sarebbe stato difficile se non impossibile comunicare attraverso la semplice parola scritta. Sfortunatamente, soffrendo di un grave insufficienza coronarica, morì poco dopo nel 1893 a causa di un infarto del miocardio.

Le sue opere sono state tradotte in varie lingue e riguardano il reumatismo cronico, la gotta, le emorragie cerebrali, l’atassia. È ritenuto il fondatore di un nuovo ramo della medicina, la neurologia, e il suo lavoro alla Salpètriere di Parigi ebbe un’influenza profondissima sugli sviluppi della neuropsichiatria della seconda metà dell’Ottocento. “Padre” della neurologia francese dell’epoca, la sua fama di docente attirò a Parigi numerosi medici da tutta Europa. Si recarono a Parigi per seguire le sue lezioni, tra gli altri, Eugen Bleuler, Sigmund Freud, Pierre Janet e Jean Leguirec. Le lezioni della Salpètriere divenivano spesso una sorta di “spettacolo”, in cui l’indubbia competenza clinica di Charcot si saldava con il suo carisma un po’ istrionico e teatrale: le celebri Isteriche di Charcot erano le sue pazienti che, nelle affollatissime lezioni, “si producevano sotto la sua guida” in accessi del grande male epilettico o archi isterici che divennero quasi “leggendari”, e che lo resero famoso in tutti i circoli medici europei. A prescindere da questi aspetti più “spettacolari”, la sua opera di neurologo clinico fu di altissimo livello scientifico. Considerava l’isteria e l’epilessia come due grandi nevrosi che condividono il sintomo della convulsione, e da qui iniziò il suo lavoro nosologico. Charcot attribuisce la causa dell’isterismo in primo luogo a un fattore ereditario, e secondariamente a effetti di suggestione, traumi nervosi, intossicazioni, incidenti, pratiche religiose, malattie infettive, diabete, ecc. Secondo Charcot esistono anche persone che non sono suscettibili a essere ipnotizzate, e ritiene perciò la suggestionabilità una sorta di “debilità mentale” a base neurologica, connessa con la sintomatologia nevrotica di tipo isterico. Fu tra l’altro maestro di Joseph Babinski, famoso neurologo, e di Nikolaj Dahl, il guaritore di Rachmaninoff e Jean Leguirec inventore del metodo Benedicte. … La sua opera più importante è la raccolta delle sue lezioni sulle malattie del sistema nervoso tenute alla Salpétrière, pubblicata in tre volumi nel 1885-1887, poi tradotta in tutte le lingue.

Estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Martin_Charcot

 

Charcot, Jean-Martin (1825-1893). Auteur du texte. Leçons sur les
maladies du système nerveux : faites à la Salpêtrière. Tome 2 /
par J.-M. Charcot,… ; recueillies et publ. par Bourneville,…. 1875-
1887.

Estratto da https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k98763k/f1.image

 

 

 

 

 

 

1866.  FOUCHER EMILE.

 

Tables de titres et des travaoux  scientiphiques du Dr. E. Foucher, Paris, 1866

………………

Estratto da https://archive.org/details/BIUSante_110133x002x39

 

Em. Foucher, Traité du diagnostic des Maladies Chirurgicales, Tome premiere, Premiere partie, Paris, Adrien dela Haye, 1866.

1866 FOUCHER -DIAGNOSTIC MALADIES CHIRURGICALES T1 P1. PDF 255MB

1866 FOUCHER FRONTESPIZIO

 

 

 

1869-19o9.  Autori vari. Trapanazioni craniche in Europa.

 

… Medici della Cornovaglia ancora recentemente per costume trapanavano minatori che soffrivano per ferite craniche e non di rado gli stessi pazienti richiedevano la trapanazione del cranio (Hudson, 1877; Fletcher, 1882; Lukas-Championniére, 1912; G. R., 1939). Con il crescere della civilizzazione e dei suoi miglioramenti tecnologici la trapanazione cranica è andata scomparendo nelle aree del mondo più avanzate e più popolate. Ma non è sempre regredita nei luoghi isolati dove le comunicazioni sono state limitate; questo è stato particolarmente vero in luoghi montagnosi. Così è successo che queste operazioni continuarono ad essere praticate all’inizio del secolo [‘900] nelle montagne dell’Albania, della Serbia e del Montenegro. (Boulogne, 1869; Védrènes, 1886; Editorial, 1892; Durham, 1909;

Estratto da Margetts Edward L., Trepanation of the skull by the Medicine-men of Primitive Cultures, with particular reference to present day native East African practice, in Brothwell Don and Sandson A.T.,  Disease in Antiquity, Charles C. Thomas, 1967.

 

 

 

 

 

 

1873. MANTEGAZZA PAOLO (1831-1910).

Paolo Mantegazza (1831-1910) è stato un fisiologo, antropologo, patriota e scrittore italiano. … Medico fisiologo e neurologo, antropologo darwiniano, Paolo Mantegazza fu un instancabile organizzatore e divulgatore di cultura. Con il romanzo L’anno 3000: sogno (1897) è anche considerato uno dei precursori ottocenteschi della fantascienza italiana.

Si laureò a 23 anni in medicina e chirurgia all’Istituto Lombardo di Pavia, dopo aver trascorso un periodo di studi anche a Pisa. Subito dopo la laurea partì per l’America del Sud. Questo viaggio aveva due scopi: cercare di far fortuna (nei suoi diari, infatti, scrisse chiaramente di voler diventare “milionario”, sebbene questo obiettivo non gli sia poi riuscito), e continuare i suoi studi, in particolare quelli antropologici. Nel 1858 tornò in Italia e, come medico igienista, resse per un certo periodo la cattedra di Patologia Generale all’Università di Pavia. In questa città egli fondò il primo laboratorio di patologia sperimentale in Europa (dove, negli anni seguenti, si formarono scienziati illustri quali Giulio Bizzozero, Eusebio Oehl e Camillo Golgi (vincitore del Premio Nobel per la medicina nel 1906 grazie alla scoperta della reazione nera[colorazione ai sali d’argento che permetteva di evidenziare i neuroni nei preparati istologici]). Diventato Deputato del Regno d’Italia poco più che trentenne, cominciò una fase fiorentina, e in questa città anche la sua attività scientifica vide un cambiamento: dalla patologia all’antropologia. Nel 1869 fondò nel Palazzo Nonfinito di Firenze, sede dell’Istituto di Studi superiori, la prima cattedra di Antropologia e il Museo nazionale di Antropologia ed Etnologia. Nel 1871, insieme a Felice Finzi fondò la rivista Archivio per l’antropologia e l’etnologia, rivista tuttora in corso. Fondatore della Società Italiana di Antropologia ed etnologia, fu difensore del darwinismo e tra il 1868 al 1875 corrispondente di Charles Darwin.

Fu anche un grande viaggiatore. Svolse l’attività medica e di ricerca etnografica durante il suo soggiorno in Sud America dal 1854 al 1858. Fra il 1870 e il 1890 compì varie spedizioni scientifiche in regioni allora poco conosciute. In Argentina, in Paraguay e in Bolivia è attualmente riconosciuto come un autore classico. Durante la sua permanenza in America Latina venne in contatto con i coqueros, nei quali affermò (sempre nei suoi diari) di aver visto la “più pura felicità”, associandola al consumo di foglie di coca. Come usava al tempo, cominciò a condurre uno studio sugli effetti del consumo di questa sostanza, sia a livello digestivo che a livello nervoso, facendosene anche inviare cospicue quantità dalla Bolivia una volta ritornato in Italia. I botanici Émile Levier e Stéphane Sommier dedicarono al loro amico antropologo il nome di una pianta: la Panace di Mantegazza (Heracleum mantegazzianum). Paolo Mantegazza morì nella sua residenza estiva di San Terenzo di Lerici. Nel 1859 pubblicò il saggio Sulle virtù igieniche e medicinali della coca e sugli alimenti nervosi in generale; aveva infatti osservato (e sperimentato personalmente), nel corso di una sua lunga permanenza in Sud America, l’ampio uso che gli indigeni facevano delle foglie di coca, «la magica pianta degli Incas», descrivendo in termini più che positivi gli effetti provocati dalla sostanza. In quello stesso periodo, in effetti, non pochi medici e scienziati proponevano di utilizzare la coca per fini terapeutici, soprattutto per la cura delle malattie mentali (alle ricerche di Mantegazza si ispirò anche Angelo Mariani). Nonostante il suo nome sia generalmente associato alla cocaina, il suo interesse nei confronti delle droghe fu ben più vasto, mosso da motivazioni e da obiettivi di più ampia portata. Mantegazza si interessò a tutte le droghe e nel 1858 ne propose una classificazione di importanza storica e nel 1871 pubblicò il trattato Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze, in cui sono riportate le conoscenze dei suoi tempi sulle droghe psicoattive. Notevole la sua produzione di scrittore divulgativo. Frutto del suo successo sono in particolare gli Almanacchi d’igiene del 1864, che con la loro enorme diffusione anche nelle famiglie più semplici, contribuirono al consolidamento delle norme igieniche elementari nell’Italia moderna. Con il romanzo L’anno 3000: sogno (1897) è considerato uno dei precursori ottocenteschi della fantascienza italiana.

Estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Mantegazza

Mantegazza Paolo nacque a Monza nel 1831 e morì a San Terenzo, in Liguria nel 1910. Laureatosi a Pavia, viaggò in lungo e in largo per l’Europa e nel 1854 si trasferì Argentina. Là esercitò la professione medica ed iniziò i suoi studi di antropologia. Rientrato in Italia dopo quattro anni, ebbe, nel 1859 la cattedra di  Patologia Generale a Pavia presso la cui Univeersità fondò il primo laboratorio europeo di Patologia Generale. Vi compì i primi esperimenti di innesti animali, dando un formidabile impulso agli studi che culmineranno nella moderna scienza e tecnica dei trapianti. Nel 1870 occupa la prima cattedra italiana di Antropologia, da lui fatta creare presso l’Universita di Firenze. Intelligentissimo ed entusiasta banditore e sostenitore dell’evoluzionismo darwiniano, a questa concezione ispira tutti i suoi studi e le sue ricerche nel campo dell’antropologia, dell’etnografia e della fisiologia. Elegante e limpido divulgarore, acquistò fama con i suoi scritti: Fisiologia dell’amore (Milano, 1873); Fisiologia del piacere (Milano, 1880); Fisiologia del dolore (Firenze, 1880); Fisiologia dell’odio (Milano, 1889) e Fisiologia della donna (Firenze,
1893). Condusse studi fondamentali sulla conformazione del cranio umano e fonda il Museo Antropologico ed etnografico di Firenze, nonché la Societa Italiana di Antropologia. Fu anche letterato e romanziere non spregevole, anche se i suoi meriti maggiori lo consegnano più alla storia delle scienze che a quella della letteratura.

Estratto da Storia della medicina, Armocida G., Bicheno E., Fox B., Jaka Book, 1993.

 

 

 

 

 

1874-1913. Trapanazioni craniche in Oceania: Isola di Ouvea o Willis.

La trapanazione cranica nelle Isole della Lealtà e nella Nuova Caledonia è stata spesso riportata. Una vera trapanazione è stata riportata da Ella (1874) in Uvea [Ouvea o Wallis, a est della Nuova Caledonia oltre le Fiji] per cefalea e vertigini risultante da un colpo alla testa. Un foro è stato fatto nel cranio raschiando con un pezzo di vetro o un dete di squalo. Il difetto è stato riempito (o coperto?) con la scorza di cocco. Egli ha notato le la metà di quelli sottoposti all’operazione morivano per essa, ma scrittori successivi hanno contestato questi risultati (Ford, 1937). Il punto sta nel fatto che la percentuale di Ella era corretta al tempo del suo soggiorno nell’isola. Forse la mortalità è dimunuita delle poche decadi seguenti, in quanto è diminuito l’uso delle fionde e i traumi cranici furono meno frequenti.

Estratto da Margetts Edward L., Trepanation of the skull by the Medicine-men of Primitive Cultures, with particular reference to present day native East African practice, in Brothwell Don and Sandson A.T.,  Disease in Antiquity, Charles C. Thomas, 1967.

 

 

 

 

 

1875. PAUL BROCA (1824-1880), Instructions Craniologiques et craniometriques.

Paul Broca nato nel 1828 scelse gli studi in Medicina, come suo padre, e andò a Parigi. Iniziò, tra i primi, a studiare le malattie attraverso l’uso del microscopio essendo fortemente convinto che l’esame clinico e quelli di laboratorio dovessero procedere assieme. Lavorò presso diversi Ospedali e nel 1959 fondò la Società di Antropologia che si occupava delle origini della famiglia umana, delle razze, dell’intelligenza e di cervello. Una delle questioni affrontate fu se il cervello funzionasse come una unità indivisibile o se fosse costituito da dicerse parti con diverse funzioni. Nel 1861 un uomo di 51 anni  fu trasferito nel servizio di Chirurgia di Bicêtre per una gangrena. L’uomo era epilettico, ospedalizzato da 20 anni, e aveva perso la capacità di articolare le parole pronunciando solamente “tan” e aveva una paralisi all’emilato destro. Deceduto dopo qualche giorno, all’autopsia fu scoperta una lesione nella terza circonvoluzione frontale, davanti alla scissura di Rolando, nella sede che in seguito sarebbe stata chiamata area di Broca o del linguaggio parlato. Il caso clinico venne presentato nel 1861. Venne coniato per l’occasione il termine aphemia che in seguito diventò afasia. In seguito osservò altri otto casi simili che mostravano sempre una lesione a sinistra in seguito a questa osservazione Broca formulò il termine di dominanza cerebrale attibuito all’emisfero sinistro. I risultati autoptici di questi casi vennero presentati nel 1864. Broca non fu il primo a fare questa osservazione che viene attribuita a Marc Dax il quale però non l’aveva pubblicata. Venne invece pubblicata da suo figlio Gustave nel 1865.

Nel 1865 fu fatto Presidente della Società Chirurgica di Parigi e nel 1868 dicenne professore di Clinica Chirurgiza. Nello stesso anno introdusse un metodo di topografia cerebrale che si correlava alla topografia cranica. Nel 1867 esaminò un cranio peruviano con i segni di una trapanazione e nel 1873 studiò un cranio Cro-Magnon scoperto in Francia. Due suoi lavori che definivano il lobo limbico (in seguito associato all’olfatto, furono pubblicati nel 1877 e 1878. Morì nel 1880.

Broca P (1861) Remarques sur le siège de la faculté du langage articulé; suivies d’une observation d’aphémie (perte de la parole). Bulletins de la Société Anatomique (Paris) 6:330–357, 398–407. Broca P (1865) Sur le siège de la faculté du langage articulé.  Bulletins de la Société d’Anthropologie 6:337–393. Broca P (1878) Anatomie comparée des circonvolutions cérébrales. Le grand lobe limbique et la scissure limbique dans la série des mammifères. Revue d’Anthropologie, Sér. 2, 1:385–498

Da Finger S., Paul Broca (1824-1880), J Neurol (2004) 251 : 769–770,

 

1875. Instructions Craniologiques et craniometriques de la Societé d’Antes hropologie de Paris, Rediges par Paul Broca. Paris, Libraire George Masson, 1875

1875 BROCA -INSTRUCTIONS CRANIOLOGIQUES  (scarica PDF 34MB)

 

 

 

1877. FERDINANDO ZANNETTI (1801-1881), La trapanazione del cranio dell’uomo.

Dopo aver studiato medicina all’Università di Pisa ed essersi trasferito a Firenze per esercitare la professione, si fece notare dall’élite scientifica fiorentina come medico e chirurgo di talento, tanto che gli fu assegnata la cattedra di Clinica Chirurgica nella Scuola di Perfezionamento di Firenze e quella di Anatomia presso l’ospedale di S. Maria Nuova di Firenze.

Allo scoppiare della prima guerra di indipendenza si arruolò volontario e venne nominato chirurgo in capo nel reggimento degli studenti toscani che il 29 maggio 1848 prese parte alle battaglia di Curtatone e Montanara. Convinto sostenitore della causa unitaria, nel 1849 appoggiò apertamente la Repubblica Toscana che lo incaricò di istituire un esercito repubblicano, la Guardia Nazionale o milizia civica come veniva chiamata allora, di cui poi divenne generale.Poco prima della caduta della repubblica, quando già si negoziava il ritorno del Granduca, Zannetti si dimise dalla carica e, con la restaurazione dei Lorena, venne epurato per tradimento e gli fu tolta la cattedra universitaria.

Continuò con successo ad esercitare, privatamente, come medico e nel 1859, con la fine del granducato, venne reintegrato all’insegnamento universitario ed eletto alla Consulta Toscana per poi passare, l’anno successivo, al Senato del Regno d’Italia. In veste di celebre chirurgo, di stimato accademico e soprattutto di comprovato liberale fu chiamato, il 23 novembre 1862 a Pisa, ad estrarre la pallottola incastrata nel piede del generale Garibaldi ferito in Aspromonte, evitandogli così l’amputazione.

Da https://it.wikipedia.org/wiki/Ferdinando_Zannetti

 

1877. La trapanazione del cranio dell’uomo riconfermata nella pratica dell’alta chirurgia operatoria da Dottor Ferdinando Zannetti. Prato, Tipografia Giacchetti, 1877.

E’ possibile scaricare il PDF e leggere tutto il libro da: https://books.google.it/books?id=6PBmWsj6z7wC&printsec=frontcover&dq=zannetti+ferdinando+trapanazione&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi16vSqj4LiAhWMCuwKHax2BbIQ6AEIKTAA#v=onepage&q=zannetti%20ferdinando%20trapanazione&f=false

 

 

1880. MOSSO ANGELO (1846-1910).

Mosso Angelo nacque a Torino nel 1846 e morì nella citta natale nel 1910. Si laureò nel 1870 e collaborò con Moleschott. Passò a Firenze, poi a Vienna ed, infine, a Parigi dove lavorò Claude Bernard. Professore straordinario di Farmacologia nel 1877 all’Università di Torino, ebbe l’anno seguente, la cattedra ordinaria. Nel 1879 assunse a cattedra di Fisiologia succedendo al Moleschott che era passato a Roma, e cotinuò l’insegnamento sino alla morte. Con la sua attività di ricercatore, di genile fisiologo ed eccezionale docente seppe fare dell’Istituto di Fisiologia di Torino uno dei massimi centri di studi di fisiologia sperimentale. Delle sue numerosissime opere sono soprattutto da ricordare: Sulla circolazione del sangue nel cervello dell’uomo (Roma, 1879); La paura (Milano,
1884); La fatica (Milano, 1891); La respirazione nelle gallerie e l’azione dell’ossido di carbonio (Milano, 1900) . Fu anche pioniere della medicina del lavoro (come testimonia l’ultimo titolo citato), della ginnastica medica e dell’educazione fisica cui dedicò, in particolare, L’educazione fisica della donna (Milano, 1892) e L’educazione fisica della gioventù (Milano, 1893). Negli ultimi anni si dedicò anche a ricerche e studi di archeologia ed etnologia preistonca, pubblicando sull’argomento numerose opere fra le quali spicca Le origini della civiltà mediterranea, pubblicato a Milano nel 1910.

Estratto da Storia della medicina, Armocida G., Bicheno E., Fox B., Jaka Book, 1993.

 

 

 

 

1882. H. CHARLTON BASTIAN (1837-1915), Le cerveau organe de la pansée chez l’Homme et chez les Animaux.

Henry Charlton Bastian è stato un fisiologo e neurologo inglese. Si Laureò nel 1861 all’University College di Londra. Il suo primo impiego fu come Assistente Medico in patologia al St. Mary Hospital. Nel 1867 divenne professore di Patologia all’University College. Nel 1868 divenne socio della Royal Society. Per gran parte della dua vita si dedicò allo studio del Sistema Nervoso assieme a Hughlings Jackson e a William Gowers ed è riconosciuto d’essere stato un pioniere moderno della scienza neurologica. Per molti anni studiò il linguaggio pubblicando nel 1869 On the Various Forms of Loss of Speech in Cerebral Disease e concluse nel 1898 con Aphasia and other Speech Defects. Si occupò anche delle paralisi conseguenti ad una affezione cerebrale e pubblicò  Paralysis from Brain Disease (1875), Paralyses, Cerebral, Bulbar, and Spinal (1886), e Various Forms of Hysterical or Functional Paralysis (1893). Another important work was his volume on The Brain as an Organ of the Mind, published in 1880, which was translated into French and German ed ebbe parecchie edizioni.

Estratto da http://munksroll.rcplondon.ac.uk/Biography/Details/283

 

1882.  Le cerveau organe de la pansée chez l’Homme et chez les Animaux, par H. Charlton Bastian, Avec 184 figures dans le texte. Tome premiere. Paris Librairie Germer Baillière, 1882

1882 BASTIAN -CERVEAU HOMME ET ANIMAUX  (scarica PDF)

 

 

 

 

 

1882. GOLGI CAMILLO (1843-1926).

Camillo Golgi nasce il 7 luglio 1843 a Corteno Golgi, in alta Val Camonica, dove il padre Alessandro, appena laureato, si è trasferito come medico condotto. Qui frequenta le scuole primarie e rimane per circa quindici anni. Nello stesso periodo studia anche a Edolo e poi a Lovere (BG). Terminati nel 1865 gli studi a Pavia e laureatosi in Medicina con la tesi “Sull’eziologia delle malattie mentali“, discussa con Cesare Lombroso, entra nel laboratorio istologico fondato da Paolo Mantegazza e diretto da Giulio Bizzozero, che sarà suo maestro di ricerca. Per l’urgenza di trovare un lavoro sicuro e pressato dal padre, Golgi decide di partecipare al concorso per un posto di primario chirurgo presso le Pie Case degli Incurabili di Abbiategrasso (fondato nel 1785 nell’ex monastero femminile di Santa Chiara). Golgi vince il concorso e, grazie all’articolo 86 del regolamento interno, gli viene riconosciuto come merito speciale dei sanitari il potersi occupare degli studi anatomo-psicologici. Come laboratorio di ricerca usa una piccola cucina rudimentale, con un microscopio e pochi strumenti. Proprio durante il periodo di Abbiategrasso si contraddistingue per la grande attività di ricerca e in questo senso è essenziale la sua amicizia con Bizzozero, che lo aiuta a mantenere vivo l’interesse per l’istologia e la vicinanza all’università. In quella cucina allestisce un laboratorio di istologia in cui, nel 1873, mette a punto la rivoluzionaria “reazione nera” (metodo di Golgi). Questo metodo permette di colorare selettivamente le cellule nervose e la loro struttura organizzata. La sua scoperta viene conosciuta e apprezzata nella dovuta misura solo molti anni più tardi, soprattutto per merito del suo principale mentore, il patriarca della biologia ottocentesca Rudolf Albert von Kölliker.

Da sinistra: Bizzozero, Koelliker e Golgi.

Trasferitosi a Pavia, ottiene le cattedre ordinarie di Istologia e Patologia generale, indi è nominato rettore dell’Università, incarico che ricoprirà a più riprese (1893-1896 e 1901-1909). Nella sua lunga e indefessa vita di ricercatore compie anche altre importanti scoperte. Ad esempio nel campo della malariologia, dove studia e chiarisce le fasi di sviluppo e riproduzione del Plasmodium malariae, formulando la “legge di Golgi”, che consente di trattare e guarire gli infetti al momento giusto con il chinino. Studia e descrive poi la precisa anatomia e la funzione delle terminazione nervose dei tendini, dette corpuscoli del Golgi, e compie importanti studi sui reni, la corea di Huntington, i bulbi olfattivi, ecc.

Nel 1877 sposa Evangelina Aletti, di tredici anni più giovane, nipote di Giulio Bizzozero. Il viaggio di nozze è a Córteno, l’amato paese natale tra le Alpi di Lombardia, per il quale Golgi serberà sempre grande affetto e si prodigherà per aiutare in mille modi. I due coniugi non avranno mai figli. Si dedica anche alla politica, o meglio all’amministrazione pubblica, ricoprendo tra le altre la carica di assessore all’igiene nel Comune di Pavia. È anche, per lungo tempo, membro e poi presidente del Consiglio Superiore di Sanità. Propone la costruzione del nuovo Policlinico San Matteo e lotta strenuamente perché l’ateneo pavese mantenga e accresca il suo già secolare prestigio.

Golgi potrebbe accontentarsi di dirigere gli studi degli allievi, ma in lui è troppo forte la passione per l’attività di laboratorio fatta in prima persona. Così nel 1898 riprende l’attività di ricerca. Più precisamente riprende, sempre con il metodo elaborato 25 anni prima, gli studi sulla cellula. Questi lo portano alla scoperta dell’apparato reticolare interno, poi e per sempre chiamato apparato o complesso di Golgi, uno dei componenti fondamentali della cellula, cinquanta anni prima dell’invenzione del microscopio elettronico, che la confermerà in pieno. Secondo alcuni tale scoperta, da sola, sarebbe stata degna di un Premio Nobel.

Il Premio Nobel per la Medicina (precisamente “Medicina o Fisiologia”) arriva nel 1906 ex aequo con Santiago Ramón y Cajal, per gli studi sulla istologia del sistema nervoso: Golgi per la messa a punto della reazione nera, Cajal per le scoperte compiute grazie alla colorazione di Golgi (Cajal aveva scoperto che i neuroni sono separati fisicamente l’uno dall’altro, ossia che interagiscono tra di loro non per continuità, bensì per contiguità attraverso la sinapsi e che non sono uniti a formare un’unica rete sinciziale come sosteneva Golgi; formulava quindi la cosiddetta legge della polarizzazione dinamica). Con il Nobel, Golgi raggiunge il massimo della fama internazionale e la sua attività di ricerca non cessa. Inoltre, durante la Prima Guerra Mondiale dirige l’ospedale militare, allestito nell’antico Almo Collegio Borromeo di Pavia e promuove il trattamento riabilitativo dei feriti di guerra, creando un centro per la riabilitazione delle lesioni al sistema nervoso periferico. Dopo il conflitto continua a lavorare nel laboratorio, pubblicando lavori scientifici fino al 1923. Anche nell’ultimo periodo della sua vita Golgi cerca di arginare gli eventuali danni che sarebbero derivati dall’imposizione dell’ateneo milanese. Non si dà per vinto e ignorando il declino delle sue condizioni fisiche decide all’inizio di dicembre del 1924 di recarsi a Roma per sostenere la nascita del nuovo ospedale San Matteo. Infine, il 21 gennaio del 1926 le sue condizioni fisiche divengono critiche e la morte lo coglie a Pavia, città in cui è sepolto insieme con la moglie, accanto alle tombe di Bartolomeo Panizza, suo professore, e Adelchi Negri, suo brillante allievo.

La reazione nera. La prima sfida di Golgi è quella di trovare nuovi metodi istologici, fatto che lo spinge a superare il limite imposto dall’assenza di procedure appropriate di colorazione differenziale dei diversi elementi costitutivi del sistema nervoso. Durante il lavoro di ricerca raccoglie più materiale possibile, non limitandosi a usare un unico reagente, ma portandone vari, per realizzare sempre un controllo accurato dei dati rilevati e dei fatti che da altri vengono messi in luce. In seguito studia le forme istologiche fissate dai liquidi cromatici e la specifica precipitazione di metalli, specialmente del nitrato d’argento, in certe sostanze cementanti e in certe parti delle fibre nervose. È così che ha l’idea che nuovi risultati si potrebbero ottenere applicando metodi di impregnazione metallica ai tessuti fissati, sebbene né dati empirici né teorici dimostrino la correttezza di questo procedimento differente. Arriva così, anche se attraverso diversi insuccessi, alla consapevolezza della scoperta della cosiddetta reazione nera: Acido osmico, Bicromato di potassio,Nitrato di argento. La combinazione di questi reagenti consente infatti la deposizione di argento metallico da una soluzione del suo sale sulla superficie del neurone, evidenziandolo fin nei minimi particolari. Attraverso la reazione nera Golgi riesce subito a mettere in evidenza la ramificazione degli assoni, confutando così la teoria di Otto Friedrich Karl Deiters, allievo di Rudolf Virchow, il quale sosteneva che ciò che contraddistingueva il prolungamento protoplasmatico, ovvero il dendrite, dal prolungamento cilinder axis (assone) era l’assenza di ramificazioni nel secondo. Golgi dimostra invece, attraverso la reazione nera, l’erroneità di tale teoria. Su questa scoperta si fonda quella che poi sarà la futura classificazione di Golgi in cellule di primo e secondo tipo, e proprio su questa distinzione si ravvisa il contributo di Golgi alle neuroscienze in vista dell’interpretazione dei circuiti locali e a distanza. Nega inoltre che il prolungamento protoplasmatico possa sciogliersi nella sostanza granulo-fibrosa interstiziale e le anastomosi. Conseguentemente, la necessità di identificare una continuità tra le sue scoperte circa l’esistenza di ramificazioni dell’assone e il decorso dei dendriti lo porta a elaborare la teoria della rete nervosa diffusa. Occorre ricordare come Golgi sia fortemente influenzato dall’idea reticolarista, che caratterizza un po’ tutte le concezioni della struttura del cervello e che hanno come riferimento il concetto di una comunicazione diretta fra cellule nervose. Probabilmente è rimasto così sorpreso e disorientato nello scoprire la ramificazione degli assoni e l’assenza di anastomosi tra i dendriti che automaticamente deve pensare a un reticolo costituito dall’unione dei vari rami collaterali degli assoni; altrimenti non può trovare una spiegazione fisiologica delle azioni riflesse rese possibili dalla fusione di prolungamenti nervosi. Certamente l’osservazione della sovrapposizione di queste ramificazioni su piani molto vicini è l’elemento che meglio avvalora questa idea di unità funzionale, soprattutto nel caso del cervelletto.

Apparato del Golgi. Nel corso del 1897, studiando i gangli spinali con il metodo della reazione nera, si accorge che in qualche cellula è presente un apparato filamentoso ad andamento convoluto che forma una rete citoplasmatica. La scoperta dell’apparato reticolare interno viene comunicata nel 1898 dalla Società Medico-Chirurgica di Pavia, ma bisogna aspettare la conferma dell’esistenza di questo organulo dall’analisi condotta da Albert J. Dalton e Marie D. Felix con il microscopio elettronico nel 1954. La scoperta dell’apparato reticolare è subito posta al centro del dibattito internazionale, viste le supposte relazioni con gli studi di August Holmgren sui canalicoli nutritizi endocellulari, comunicanti con la superficie esterna della cellula, e gli studi di István Apáthy e Albrecht Bethe sulle neurofibrille. Più precisamente, secondo il ricercatore svedese questo insieme di canali, chiamato trospongio, si identifica proprio con l’apparato reticolare di Golgi. Lo stesso intervento di Golgi al congresso di Anatomische Gesellschaft del 18-21 aprile del 1900 – che per la prima volta si riunisce in Italia e che impegna lo scienziato italiano nella sua organizzazione – definisce l’apparato reticolare interno come una disposizione perinucleare, separato nettamente dalla membrana cellulare tramite una zona di interposizione. Inoltre la dimostrazione dell’erronea interpretazione di Holmgren viene da una ricerca condotta in prima persona da Golgi nel 1907 aggiungendo l’acido arsenioso come liquido fissatore (risultati Società medico-chirurgica di Pavia, 31 gennaio 1908). Un’ulteriore e importante comunicazione è fatta da Golgi circa il lavoro di un suo allievo, Adelchi Negri, il quale aveva dimostrato l’esistenza dell’apparato reticolare interno anche in cellule nervose. Quindi la scoperta di Golgi rappresenta una vera e propria svolta nella citologia. Occorre tuttavia ricordare che Golgi preferisce non pronunciarsi sull’aspetto funzionale dell’apparato reticolare, limitandosi quindi alla descrizione morfologica di quest’ultimo.

Golgi e la malaria. Golgi si interessa alla questione della malaria quando il suo collega di Pavia Francesco Orsi verifica la teoria di Corrado Tommasi Crudeli e di Edwin Klebs e decide di rivolgersi al nostro scienziato italiano in quanto i risultati che ha ottenuto gli hanno fatto sorgere diversi dubbi. Golgi stesso nota per via sperimentale che i dubbi di Orsi sono fondati e che i risultati di Tommasi Crudeli sono certamente viziati da diversi errori metodologici. Il confronto di queste due curve termometriche dimostra come il cosiddetto Bacillus malariae di Klebs, Tommasi Crudeli e Bernardo Schiavuzzi non abbia nulla a che fare con la malaria. Infatti non è possibile rilevare alcuna differenza significativa tra l’andamento della curva prima e dopo l’inoculazione, anche se qualche volta sia presente un transitorio aumento di temperatura. Quest’ultimo, spiega Golgi, è dovuto essenzialmente all’irritazione locale esercitata dall’iniezione. Golgi, infine, conclude la sua trattazione asserendo che il cosiddetto Bacillus malariae di Schiavuzzi appartiene alla categoria di quelli che facilmente si riproducono nei comuni mezzi di coltura in quanto, se fosse dotato di una specifica azione patogena, dovrebbe diffondersi nell’organismo conservando la sua identità biologica e la capacità di riprodursi. Tuttavia Golgi nota, inoculando il B. malariae in alcuni conigli sani, che quest’ultimo non presenta alcuna delle caratteristiche elencate precedentemente. La scoperta fondamentale di Golgi in materia consiste nell’aver individuato il legame tra l’accesso febbrile e la scissione (che Golgi chiama “segmentazione”) del plasmodio. Il successivo 20 dicembre completa la stesura della lettera “Sulla infezione malarica” indirizzata a Ettore Marchiafava e Angelo Celli. Nel 1885 dimostra che i due diversi tipi di febbre malarica, la terzana e la quartana, sono provocati da due specie di plasmodio diverse: Plasmodium vivax, responsabile della terzana benigna, e Plasmodium malariae, responsabile della quartana. Nel 1889 dimostra che gli attacchi febbrili si verificano nel momento in cui i merozoiti (stadio del ciclo del plasmodio) rompono i globuli rossi e si liberano nel circolo sanguigno.

Opere principali. Sulla fine anatomia degli organi centrali del sistema nervoso (1882-1883); Sulla infezione malarica (1886); Sulle febbri malariche estivo-autunnali di Roma (1893).

Estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Camillo_Golgi

1903. Camillo Golgi, Opera Omnia, Istologia Normale (1870-1883), Vol. I, Hoepli, 1903

1903 GOLGI OPERA OMNIA v1 (scaricare PDF 53MB)

 Fig. 1.• (oc. 3, ob. 8, Hartnack). – Varie forme di cellule connettive del cervello e cervelletto. a) Cellula connettiva dello strato superficiale della sostanza corticale dd cervello. b) Cellula connettiva degli strati profondi della corteccia del cervello di un
bambino di due mesi. – Il protoplasma ed i prolungamenti più grossi sono pieni di
goccioline adipose. c) Cellula connettiva dello strato granulare del cervelletto (uomo adulto). – Nel protoplasma vi hanno dei granuli di pigmento. d) Cellula connettiva a nucleo allungato del limite esterno dello strato granulare. – Entro lo strato grigio vi hanno forme cellulari che molto s’assomigliano a questa. e) Cellula connettiva a nucleo tondeggiante dello strato grigio dd cervello. Forme identiche si riscontrano in numero considerevole anche al limite esterno dello strato granulare, ed anche nella parte profonda della corteccia del cervello. f) Cellula connettiva appiattita dalla superficie del cervelletto (cervelletto di bue).
Fig. 2. (oc. 3, ob. 8). – Sezione verticale della sostanza corticale del cervello. – Gli elementi connettivi si vedono più spiccati che nei casi ordinari, perchè il preparato, da cui si ricavò il disegno, venne fatto col cervello di una donna dell’età di oltre 90 anni.
Fig. 3. (oc. 3, ob. 8). – Frammento di sezione della sostanza midollare del cervello, fatta in direzione parallela alle fibre nervose (cervello di bue).
Fig. 4. (oc. 3, ob. 7). – Sezione orizzontale di sostanza corticale del cervello indurita in acido osmico (bambino di 19 giorni). a) Vaso sanguigno sezionato orizzontalmente. b) Cellule connettive fornite di vari filiformi prolungamenti. c) Fili connettivi emananti dalle cellule b, che vanno ad attaccarsi al contorno del vaso a.
Fig. 5. (oc. 3, ob. 8). – Diverse forme di cellule connettive del midollo spinale. a e b) Cellule connettive a prolungamenti filiformi lunghissimi dei cordoni di sostanza bianca (parte profonda). e) Grande cellula connettiva appiattita a guisa di finissima laminella, con prolungamenti assai lunghi in parte pure appiattiti (la cellula da cui venne ricavato questo
disegno misurava 35 micron in larghezza). d, e) Cellule connettive della sostanza grigia. – Forme analoghe si osservano tanto nella così dettta sostanza gelatinosa di Rolando, quanto nella zona di tessuto che circonda immediatamente l’epitelio del canal centrale (sostanza gelatinosa di Stilling).
Fig . 6 (oc. 3, ob. 8). – Frammento di sezione longitudinale dei cordoni di sostanza bianca (parte profonda). In mezzo alle fibre nervose, ad esse immediatamente applicate, si osservano varie cellule connettive appiattite, i cui prolungamenti si insinuano in tutti i sensi tra le fibre nervose medesime, parimenti addossandosi alla loro guaina.
Fig. 7. (oc. 3, ob. 8). – Sezione trasversale di sostanza bianca. – Le cellule connettive, interposte alle libre nervose trasversalmente  tagliate, ci si presentano per la massima parte di fianco od in isbicco. – In vari punti le fibre nervose sono fuoruscite; non restano tuttavia i regolari spazi ad esse corrispondenti, perchè i prolungamenti delle cellule connettive, nelle sezioni di pezzi non molto induriti, tendono a sportarsi.

(Ingrandimento ottenuto coll’oculare n. 3 ed obiettivo n. 8 Hartnaek).

Fig. 1. Cellule connettive dello strato delle fibre nervose (Retina di bue).
Fig. 2. Strato intergranulare del cavallo. – Fra le grandi cellule appiattite si scorgono numerosi piccoli elementi, simili a quelli che compongono lo strato granulare interno, la massima parte dei quali, essendo visti di fronte, sembrano constare semplicemente di un nucleo da scarso protoplasma; alcuni invece, prsentandosi di fianco, si vedono da una parte verso l’interno, in connessione con un robusto filamento (fibre radiate); dall’altra, verso l’esterno, vedansi dar origine ai numerosi filuzzi finamenie varicosi, che attraversando lo strato vanno a connettersi o coi granuli dello strato esterno, o colla limitante esterna.
Fig. 3. Grande cellula appiattita dello strato intergranulare isolata.
Fig. 4. Tre cellule id. id. tondeggianti e più granulose per alterazione prodotta dai liquidi maceranti.

I singoli elementi riprodotti in questa tavola, vennero punto per punto con esattezza scrupolosa disegnati coll’aiuto della camera chiara di Oberhauser.
Il disegno rappresenta, semischematicamente, a 250 diametri circa di ingrandimento,
un frammento di sezione verticale di un bulbo olfattorio di un cane. I tre diversi strati dell’organo sono indicati colle lettere A B C poste a lato.
A indica lo strato superficiale del bulbo, o strato delle fibre nervose periferiche. Esso vedesi essenzialmente costituito dai fasci di fibre nervose provenienti dalla mucosa olfattoria. Questi fasci, fra loro incrociandosi, si dirigono verso i glomeroli olfattori, entro i quali penetrano (in a a a), e si suddividono finamente. In mezzo agli stessi facsi si scorge anche un vaso saguigno, che invia verticalmente verso l’ interno dell’organo varie diramazioni.
B indica lo strato medio, o strato di sostanza grigia. Al confine periferico di questo stanno i glomeroli olfattori; al confine interno trovansi invece le grandi cellule nervose, disposte in regolare serie. Il prolungamenlo essenzialmente nervoso (b b b) (prolungamento-cilinder-axis) di queste ultime cellule, appare con regola invariabile, verticalmente diretto verso gli strati interni del bulbo; i prolungamenti proloplasmatici (b’ b’ b’) si portano invece verso i glomeroli nei quali penetrano e si ramificano complicatamente. Quest’ultimo andamento nel disegno vedesi riprodotto soltanto per uno dei prolungamenti (b“).
Verso il mezzo di questo medesimo strato B vennero disegnate anche due grandi cellule nervose solitarie fusiformi, il cui prolungamento nervoso, colorato in azzurro,
scende, ramificandosi, nello strato delle fibre nervose.
All’ingiro dei glomeroli veggonsi alcune cellule nervose piccole. Di queste i prolungamenti rivolti verso i glomoroli hanno i caratteri dei protoplasmatici, mentre l’unico prolungamento che emana nell’opposta direzione (quello colorito in azzurro) ha
i caratteri dei prolungamenti nervosi.
C finalmente indica lo strato interno o delle fibre nervose provenienti tractus. Nei vani lasciati dagli incrociantisi fasci stanno i piccoli elementi di forma prevalentemente piramidale, e di natura probabilmente nervosa. Nel mezzo dello strato veggonsi anche qui due cellule ben caratterizzate come nervose, sia per la forma e grandezza loro, sia per la presenza di un prolungamento appartenente evidentemente al tipo dei nervosi (quello colorito in azzurro). Le fibrille risultanti dalle suddivisioni di questo prolungamento s’uniscono ai fasci provenienti dal tractus.
Le complicate ramificazioni delle fibre nervose vennero omesse nel disegno, perché non risultasse troppo complicato; il modo di decorrere e di ramificarsi delle medesime fibre, per altro, può essere con approssimazione rilevato verso la periferia dello strato C. Ivi alcune di tali fibre staccansi dai fasci, e ramificandosi complicatamente oltrepassano con decorso tortuoso il confine della sostanza bianca penetrano nello strato grigio, che parimenti attraversano, e molte di esse, ridotte a fibrille finissime, si possono accompagnare fin entro i glomeroli. Lo stroma di cellule connettive venne riprodotto in modo possibilmente vicino al vero, per la quantità e pei suoi rapporti coi vasi, soltanto nelle parti profonde dello strato C, ove di fatto le cellule connettive raggiate sogliono essere assai numerose. Riguardo alle altre parti lo si vede soltanto accennato nella zona di confine tra la sostanza bianca e la grigia, nei glomeroli e nello strato delle fibre nervose periferiche. (Veggansi le parti del disegno colorate in rosso).

Fig. 1. – Zona di passaggio tra muscolo e tessuto tendineo (nel tendine d’Achille della lucertola) con fibra nervosa inviante numerosi rami, ciascuno dei quali mette capo ad una reticella terminale (Preparato ottenuto coll’acido arsenicico e col cloruro d’oro; ingrandimento di circa 200 diametri).
Fig. 2. – Fibra nervosa midollata del tendine d’Achille della Lucertola, che dà origine origine a 4 o 5 rami, ciascuno dei quali, dopo aver perduta la guaina midollare, suddividendosi, dà origine ad una reticella terminale situata negli strati superficiali del tendine. – Qua e là nei punti nodali della rete veggonsi alcuni nuclei di asupetto granuloso. – Le fibrille nucleate,  distribuite in tuno il campo e formanti una rete a grandi maglie, appartengono al 2° sistema di fibrille nervose descritto nel lavoro (Preparato come il precedente; ingrandimento circa 400 diametri).
Fig. 3. – Isolata terminazione nervosa di un tendine di Lucertola riprodotta il più possibile dettagliaumente (Acido arsenicico ed oro; ingrandimento ottenutocon l’Oc. III di Hartnack e sistema n. VII Immers. Gundlach),
Fig. 4. – Disegno che dimostra la distribuzione degli organi muscolo-tendinei in un tratto della parte superiore (regione dorsale superiore) della lamina tendinea appartenente ai muscoli della doccia vertebrale nel Coniglio. – Dalla parte superiore della lamina arrivano tre fasci nervsi (a. a. a.), i quali dànno origine a numerose fibre, ciascuna delle quali va a metter capo in un organo terminale muscolo-tendineo.

Fig. 5. – Apparato terminale muscolo-tendineo dell’uomo. – Una delle sue estremità (a) dà inserzione a numerose fibre muscolari; l’estremità opposta (b) si confonde col tessuto del tendine. – La fibra nervosa midollata, entrante da un lato dell’organo, dà origine, entro l’organo medesimo, a numerose fibre secondarie, le quali, dopo altre suddivisioni, si trasformano in fibre pallide. In alcuni punti del disegno è pure accennata la terminale decomposizione delle fibre nervose Oc. III Obj. 8 Hartnack).
Fig. 6. 7. 8 – Tre esemplari di organi nervosi terminali muscolo-tendinei del Coniglio. – Rapporti identici a quelli indicati nella precedente spiegazione (Oc. III Obj. 7 Hartnack).
Fig. 9. – Organo muscolo-tendineo di Coniglio, presentante alla sua periferia le reticelle terminali a cui mettono capo le fibrille nervose risultanti dalla complicata suddivisione dell’unica fibra midollata di cui esso è provveduto (Oc. III, Obj. 8 Hartnack).
Fig. 10. – Piccolo tratto (veduto a debole ingrandimento) della superficie del tendine del muscolo pronatore rotondo dell’uomo (zona marginale presso l’inserzione delle fibre muscolari) in cui decorrono parecchie fibre nervose dalle quali partono rami che, ora direttamente ora dopo suddivisione, vanno a metter capo a piccole forme di corpuscoli di Pacini.

Fig. 11. – Fascio nervoso, appartenente ad una espansione tendinea profonda del musc0lo pronatore profondo dell’uomo, di cui tre diraimazioni mettono capo a corpi terminali appartenenti al tipo, più o meno modificato, dei corpi di Pacini, ed una, che si suddivide, va ad innervare due corpi muscolo-tendinei (Ingrandimento di circa 30 diametri).
Fig. 12. – Quattro corpi terminali analoghi a quelli da Ciaccio, Krause ed Axel Key descritti per la congiuntiva, ciascuno dei quali è provveduto da una fibra nervosa. In tre di questi corpi, la fibra entrante termina formando un gomitolo; in uno, invece, perduta la guaina midollare, la fibra termina con un leggero rigonfiamenlo come nella maggior pairte dei corpi di Pacini. – Le fibre di cui ciascuno di questi quattro corpi sono fomiti emanano da una sola (Oc. III, Obj. 8 Hartnack).
Fig. 13. – Corpo nervoso terminale, con fibra nervosa formante gomitolo, tolto dal flessore superficiale delle dita dell’uomo (Oc. III, Obj. 8 Hartnack).
Fig. 14. – Rara forma di corpo terminale, d’aspetto identico ai corpi di Pacini, entro il quale penetrano, da punti diversi, tre fibre nervose midollate. – (Dal tendine del muscolo ulnare interno dell’uomo) – (Oc. III, Obj. 8 Hartnack).
Fig. 15. – Gruppo di corpi terminali appartenente alla superficie di una espansione tendinea profonda del muscolo flessore superficiale delle dita dell’uomo. (Oc. III, Obj. 8 Hartnack).
Fig. 16. – Forma piuttosto frequente di corpo nervoso, al quale accedono (?) due fibre midollate – (Da una lamina tendinea del muscolo pronatore rotondo). – Il modo di comportarsi delle fibre nervose entro il corpo è incerto (Oc. III Obj. 8 H.).
Fig. 17. – Rigonfiamento fusiforme (da iperplsia della guaina di Henle) esistente lungo l’andamento delle fibre nervose  e verifivantesi allorchè esse si incrociano con un vaso sanguigno, rasentandone le pareti (Oc. III, Obj. H.). – Il disegno riproduce un rigonfiamento appartenente ad una fibra nervosa del tendine d’Achille; però identica particolarità venne da me trovatat anche in molti altri tendini.

 

1903. Camillo Golgi, Opera Omnia, Istologia Normale (1883-1902), Vol. II, Hoepli, 1903.

1903 GOLGI OPERA OMNIA v2 (scaricare PDF 77MB)

 

1903. Camillo Golgi, Opera Omnia, Patologia Genarale,Isto-Patologia (1868-1894), Vol. III, Hoepli, 1903.

1903 GOLGI OPERA OMNIA v3 (scaricare PDF 116MB)

 

 

 

1885. MORSELLI ENRICO (1852-1929).

MORSELLI Enrico nacque a Modena nel 1852 e morì a Genova nel 1929. Laureatosi in medicina a Modena nel 1874, conseguì tre anni dopo la libera docenza in psichiatria ed assunse la direzione dell’Ospedale Psichiatrico di Macerata, che trasformò da antiquatissimo che era in un istituto di esemplare modernità.
Nel 1880 lasciò Macerata per assumere la direzione dell’Ospedale psichiatrico e della Clinica Psichiatrica di Torino, e nove anni dopo ebbe la Cattedra di Psichiatria e Neuropatologia e, poi, di Psicologia Sperimentale all’Universtà di Genova. La sua fama è legata soprattutto agli studi sulle manifestazioni pupillari causate da lesioni del simpatico cervicale, sulle alterazioni osteomalaciche che accompagnano la paralisi progressiva, su i rapporti fra epilessia e pazzia morale, di cui si occupo anche Cesare Lombroso. Le sue osservazioni e le sue scoperte sono consegnate a numerose opere, fra le quali vanno ricordate in particolare: Manuale di semeiotica delle malattie mentali, pubblicato a Milano fra il 1885 ed il 1894; Le nevrosi traumatiche, pubblicato a Torino nel 1913; L’uccisione pietosa, pubblicato, sempre a Torino, nel 1925 e, infine, La psicoanalisi, pubblicato anch’esso a Torino l’anno seguente.

Estratto da Storia della medicina, Armocida G., Bicheno E., Fox B., Jaka Book, 1993.

……………..

Estratto da Mancardi G., Cocito L., Seitun A., La Clinica Neurologica dell’Università di Genova. La storia e il presente. Genova, 2015.

 

 

 

 

 

1887-1897. Autori Vari. Trapanazioni craniche in Medioriente: Caucaso e Monti Zagros

Gli interventi di cauterizzazione e trapanazione cranica sono stati ampiamente praticati nelle Montagne Caucasiche del Daghestan adesso in Russia. [Bibliografia 1887-1897]. Non è noto se questa pratica esiste ancora [1967].

Una incompleta trapanazione cranica è attualmente [1967] praticata in Persia nel Bakhtiari sui Monti Zagros nell’Iran occidentale in seguito ad una ferita alla testa. L’operazione consiste essenzialmente nel rimuovere i frammenti ossei o nel raschiare il cranio per rimuovere la contusione o controllare il sanguinamento. Il tavolato cranico interno non è raschiato, quindi un foro non è realizzato

Estratto da Margetts Edward L., Trepanation of the skull by the Medicine-men of Primitive Cultures, with particular reference to present day native East African practice, in Brothwell Don and Sandson A.T.,  Disease in Antiquity, Charles C. Thomas, 1829, pg. 677.

 

 

 

 

 

1887. DURANTE FRANCESCO (1844-1934)

Durante Francesco. – Nacque a Letojanni Gallodoro (Messina), da Domenico e da Giovanna Galeano, il 29 giugno 1844. Compiuti i primi studi a Messina, si trasferi a Napoli, ove segui i corsi universitari, allievo tra gli altri di O. von Schroen in anatomia patologica, e si laureò in medicina e chirurgia nel 1866. Dopo la laurea fu per alcuni anni a Firenze, ove poté perfezionarsi in istologia sotto la guida di F. Pacini e ottenne la nomina a chirurgo nell’ospedale di S. Maria Nuova. Per completare la propria formazione scientifica, soprattutto nel campo dell’anatomia e dell’istologia patologica, dal 1869 visitò i principali centri di ricerca europei: fu a Vienna, alle scuole di patologia di S. Stricker e di chirurgia di T. Billroth; a Berlino, negli istituti di patologia di R. Virchow e di chirurgia di B. von Langebeck. Si trovava a Berlino nel 1870 quando scoppiò la guerra franco-prussiana ed ebbe cosi l’opportunità di prestare la sua opera con la Croce rossa al seguito della Sanità militare tedesca fino al termine della campagna: per il servizio reso nella cura dei feriti ottenne una decorazione dal re di Prussia.

Nel 1871 frequentò a Würzburg il laboratorio di F. D. von Recklinghausen e l’istituto di R. A. von Koelliker e segui a Londra i corsi di chirurgia tenuti da W. Fergusson e da T. Spencer; nel 1872 fu a Parigi, alla scuola di A. L. Ranvier e nell’istituto di C. Bernard, ove condusse ricerche sperimentali sull’organizzazione del coagulo sanguigno. In questo lungo periodo di formazione ebbe modo di arricchire le proprie conoscenze di anatomia, di embriologia, di anatomia e istologia patologica; inoltre durante la sua permanenza a Berlino cominciò a interessarsi della patologia dei tumori, che sarebbe poi divenuto uno dei suoi principali argomenti di studio, e, a seguito dell’opera prestata nella Croce rossa, avverti la prima inclinazione per l’esercizio della chirurgia.

Tornato in Italia nel 1872, il D. fu chiamato da C. Mazzoni, succeduto in quell’anno a G. Corradi nella direzione della clinica chirurgica dell’università di Roma, allora allogata nella vecchia e angusta sede dell’ospedale di S. Giacomo, col titolo di assistente; nell’anno accademico 1873-74 gli venne affidato l’insegnamento dell’anatomia chirurgica.

Risale a quell’epoca la pubblicazione di alcuni importanti lavori sull’infiammazione delle pareti vasali e sull’organizzazione del trombo e la formulazione della sua geniale teoria sulla genesi dei tumori. In breve tempo seppe affermarsi con buona fama negli ambienti specialistici e accademici. Nel 1876 fu dichiarato vincitore nel concorso per la cattedra di Anatomia Patologica dell’Università di Catania, ma rinunciò alla nomina per non lasciare l’ambiente scientifico di Roma, più congeniale ai suoi studi e ai suoi interessi di ricerca. Nell’università romana si sviluppò poi tutta la sua carriera accademica e scientifica. Nel 1877 vinse i concorsi per la cattedra di clinica chirurgica di Catania e per quella di patologia chirurgica di Padova, ma preferi ancora rimanere nella sede romana, dove ottenne dapprima l’incarico, nell’anno 1877-78, e poi nel 1881 la nomina a professore di Patologia Chirurgica. L’insegnamento della patologia chirurgica era stato istituito in Roma nel 1870, in sostituzione del precedente corso di “chirurgia theoretica et practica”, ma rimaneva una cattedra fondata sull’insegnamento teorico che si teneva in un’aula della Sapienza, senza un istituto né letti. Alla morte del suo maestro Mazzoni, nel 1885, il Durante era però oramai maturo per ottenere la cattedra e la direzione della Clinica Chirurgica. In breve tempo, confermando le qualità di cui aveva già dato ampia dimostrazione, seppe operare la trasformazione della clinica.

Nei primi anni della sua direzione riusci a trasferirla dalla sede piccola e inadatta nell’edificio di via Garibaldi, dove trovò sistemazione migliore e dove rimase, mentre si compivano i lavori di costruzione del nuovo Policlinico. Nell’edificio di via Garibaldi il Durante, accanto all’attività scientifica, seppe far progredire anche un’organizzazione più razionale e adatta alle nuove esigenze, arricchendone le dotazioni tecniche e scientifiche. Procurò nuovi corredi di strumenti chirurgici, allesti il laboratorio con tutto l’occorrente per l’indagine istologica ed ebbe per primo in Roma un apparecchio per raggi X, all’indomani della scoperta di W. Roentgen. Quando poi, nel 1905, riusci a trasferirsi nel nuovo policlinico che egli stesso aveva concorso a promuovere e a fondare, ebbe a disposizione una sede veramente moderna e idonea che poteva ospitare 80 ricoverati e che era ricca di tutto quanto occorreva alla cura dei malati, alla didattica e alla ricerca.

Sia sul piano scientifico sia su quello pratico e organizzativo il Durante seppe innalzare la sua scuola a vertici ambiziosi, ottenendo riconoscimenti e onori scientifici in campo nazionale e internazionale: il suo lungo magistero portò infatti a grande celebrità la chirurgia romana. Nei primi anni tenne il doppio insegnamento della clinica e della patologia chirurgica, finché nel 1897 cedette quest’ultima a G. D’Urso. Tra il 1909 e il 1912 resse anche l’insegnamento della traumatologia, lasciato da F. Scalzi. Tenne la direzione della clinica e la cattedra fino al 1919, quando dovette lasciare la carica per limiti di età.

Era stato delegato del ministero della Pubblica Istruzione al Congresso Medico Internazionale di Washington nel settembre 1887 e aveva raccolto le sue osservazioni in Gli ospedali degli Stati Uniti d’America, in Boll. uffic. della Pubblica Istruzione, XIV (1888). …

Egli aveva avviato la sua formazione universitaria e aveva potuto compiere le prime esperienze professionali e di ricerca nell’epoca in cui la chirurgia stava abbandonando le strade tradizionali e si stava avviando a più sostanziali progressi, verso una tecnica governata da nuovi principi scientifici, germinanti dalle acquisizioni della patologia sperimentale e della fisiopatologia. Se i suoi maestri erano gli epigoni della tradizione chirurgica precedente, per la quale il cranio, il torace e l’addome erano “santuari” che non potevano essere violati se non per riparare le ferite da cause traumatiche, egli poté operare nella nuova era e fu tra i protagonisti principali del sostanziale rinnovamento. Vide il sorgere del trattamento antisettico delle ferite e poté collocarsi tra i pionieri della nuova chirurgia addominale e della chirurgia dell’encefalo.

Già le sue iniziali ricerche embriologiche e anatomiche erano risultate di un certo interesse, come quelle, compiute nel gabinetto anatomico di F. Todaro a Roma, sulla struttura della macula germinativa nelle uova di pollo e sulla innervazione della cornea (Terminazione dei nervi della cornea, in Ricerche dell’Istituto di anatomia, Roma 1873). Sono del primo periodo anche le osservazioni sul mal perforante plantare, che egli seppe interpretare come una ulcera da alterato trofismo.

Tra i suoi primi campi di ricerca chirurgica il Durante aveva affrontato il problema della patologia tumorale. Aveva cercato di chiarire il motivo per cui elementi epiteliali o connettivali aberranti, rimasti inerti per lungo tempo, riprendendo attività in modo tumultuoso e abnorme, per cause di vario genere, sviluppavano forme tumorali di tipo a volte sarcomatoso e a volte epiteliomatoso. La sua idea dei germi embrionali aberranti “inchiki nei tessuti degli adulti” era frutto di originali ricerche sui nei materni dermoidali ed epidermoidali (Nesso fisiopatologico tra la struttura dei nei materni e la genesi di alcuni tumori maligni, in Arch. di chir. prat. [1874]) e nelle sue osservazioni era già completa la teoria ripresa e diffusa da J. F. Cohnheim e successivamente nota come teoria di Cohnheim-Durante. Buoni consensi nel mondo scientifico ebbero i suoi scritti Gli epiteliomi, Roma 1875, e Indirizzo alla diagnosi chirurgica dei tumori, ibid. 1879.

Una indiscussa priorità riconosciuta al Durante è quella di aver operato con successo un paziente portatore di una neoplasia cerebrale: nel giugno 1884, infatti, asportò un vasto meningioma frontale sinistro, del volume di una mela, in una donna di 35 anni, che sopravvisse a lungo dopo l’operazione (Estirpazione di un tumore endocranico (forma morbosa prima e dopo l’operazione), in Bull. d. R. Acc. med. di Roma, XI [1885], pp. 247-252): egli ne dette comunicazione al congresso di Washington nel settembre 1887 e descrisse il procedimento in Contribution to endocranial surgery, in The Lancet, XXXIII (1887), 2, pp. 654-655. Dopo la resezione dell’osso frontale aggredi il tumore, che aveva un punto di impianto sulla dura madre e occupava la fossa cranica anteriore e parte della fossa mediana, deprimendo la volta orbitale e riducendo sensibilmente il lobo cerebrale anteriore sinistro con un prolungamento che scendeva nelle cellule etmoidali: poté cosi operarne l’asportazione completa e ottenne la risoluzione della sintomatologia. La tecnica del “lembo osteoplastico a sezione osteotangenziale ossea discontinua”, adottata dal D., costitui per diversi anni il procedimento migliore di craniectomia temporanea. Le difficoltà di intervento sull’encefalo erano in gran parte legate al problema di esatta localizzazione della lesione e i rischi operatori erano tanti che l’esempio dato dal Durante non ebbe seguito in Italia per lungo tempo. Del resto anche il tentativo di A.H. Bennet e R.I. Godlee, che a Londra operarono un glioma cerebrale nel novembre 1884, non ebbe successo completo. Lo stesso H.W. Cushing venne a Roma per documentarsi su questo eccezionale intervento.

Il Durante tornò a operare il soggetto, per recidiva della neoplasia, nel 1896 (Craniectomia per tumore del lobo frontale sinistro, in Suppl. al Policlinico, II [1896], pp. 418 s.) e affrontò più volte, in seguito, la patologia tumorale del cervello, dandone diverse comunicazioni ai congressi della Società italiana di chirurgia. In alcuni pazienti da lui operati al cranio ebbe l’opportunità di studiare le localizzazioni cerebrali e in particolare il ruolo dei lobi frontali, individuati come sede dei fenomeni psichici, e della metà anteriore del lobo parietale, sede della sensibilità generale. Nel 1894 diede notizia dell’estirpazione di un fibroma della base cranica con un nuovo procedimento operatorio e dell’estrazione di un tumore dell’etmoide. Sempre in tema di chirurgia del cranio aveva proposto un proprio metodo di ipofisectomia per via faringea.

Contributi originali e innovatori diede anche nella chirurgia ossea e articolare. Propose la “resezione cuneiforme” dell’articolazione del ginocchio, che incontrò il favore dei chirurghi e venne preferita alle altre tecniche: formato un lembo semilunare nella regione anteriore del ginocchio e compresavi la rotula, procedeva alla asportazione della capsula articolare, delle cartilagini e delle parti ossee cariate. Poi resecava i condili e vi ricavava una escavazione femorale, mentre all’estremo superiore della tibia ricavava una sporgenza centrale cuneiforme che incastrava nel femore preparato. Studiò la “artroplastica” del gomito, e per primo operò la “astragalectomia parziale o totale” per la correzione della deformità nei bambini con piede torto congenito o per ottenere una solida artrodesi colla fissazione dell’articolazione tibiotarsica e delle ossa residue del tarso dopo lo svuotamento dell’osso nei casi di paralisi.

Nella chirurgia dello stomaco canceroso fu pioniere delle resezioni e lasciò osservazioni importanti sulla formazione dell’ano artificiale e sull’utilità dello stesso come mezzo preliminare di cura nella patologia rettocolica. Illustrò precocemente la tubercolosi del piloro e del cieco e la sua forma cosiddetta neoplastica. Nel 1891 mise a punto un geniale metodo di “lembo plastico” per la stenosi pilorica. Aveva dovuto affrontare un’accidentale lacerazione avvenuta durante la dilatazione di una stenosi cicatriziale del piloro in una ragazza di 16 anni. Poiché le condizioni erano tali da non consentire l’applicazione della piloro-plastica alla Heineke-Mikulicz, dovette tentare con la divulsione alla Loreta e durante la manovra lo stomaco si lacerò longitudinalmente. Nell’urgenza del momento, egli ebbe l’idea di procedere a una plastica per scivolamento che gli permise di ampliare l’ostio ristretto con una guarigione completa del caso. Presentò la sua esperienza con una relazione sui restringimenti pilorici e sulla loro cura al nono congresso della Società Italiana di Chirurgia, nel 1893 (Dei restringimenti del piloro e della plastica gastroduodenale, in Bull. d. R. Accad. medica di Roma, XX [1894]). Ideò un procedimento di asportazione della lingua con preventiva legatura dell’arteria linguale (Nuovo procedimento operatorio per l’estirpazione della lingua, in Atti d. R. Acc. med. di Roma, VI [1880]) e nella laringectomia operò con lembo cutaneo che chiudeva la breccia faringoesofagea per prevenire le complicanze ab ingestis (Estirpazione d’un laringe canceroso, in Bull. d. R. Accad. medica di Roma, IX [1883]).

La sutura dell’arteria ascellare, praticata per la prima volta con successo dal D., fu il frutto di un intervento estemporaneo, per una ferita accidentale dell’arteria occorsa durante una amputazione di mammella. La sutura dell’arteria poplitea fece seguito all’estirpazione di un voluminoso sarcoma della testa del perone.

Attraverso osservazioni cliniche minuziose e ricerche sperimentali di laboratorio il Durante poté proporre e presentare al decimo congresso della Società Italiana di Chirurgia, nel 1895, la nota cura della tubercolosi mediante iniezioni locali di soluzione iodoiodurata, che permetteva la guarigione senza le mutilazioni della pratica precedente. Visti i risultati poco favorevoli della chirurgia nelle affezioni tubercolari, egli, fin dal 1876, aveva cominciato a usare le iniezioni iodoiodurate nella cura delle adenopatie scrofolose identificate poi come adenopatie tubercolari. Chiarita l’efficacia di queste iniezioni, ne estese l’applicazione alle altre localizzazioni tubercolari: impiegando una soluzione acquosa al 5 per cento di iodio, con l’aggiunta di quantità sufficienti di ioduro di potassio, praticava le iniezioni nelle ghiandole linfatiche colpite e nei casi di lupus e di tubercolosi osteoarticolare. Le osservazioni cliniche e gli esperimenti su cavie e conigli gli consentirono di giungere alla conclusione che lo iodio non agiva direttamente sul bacillo della tubercolosi, ma esercitava un’azione sui tessuti aumentandone la vitalità e stimolando l’attività fagocitaria dei leucociti.

Studiando la tubercolosi e la pseudotubercolosi delle ossa e delle articolazioni, era giunto a considerazioni anatomocliniche in cui criticava le posizioni di F. König e di R. von Volkmann: infatti, rifiutando le idee di chi voleva considerare come di natura tubercolare tutte le patologie osteoarticolari croniche, sosteneva che a lato delle forme veramente tubercolari ne esistevano altre, non attribuibili al bacillo di Koch, che defini pseudotubercolari, caratterizzate da decorso meno tumultuoso e da una più facile tendenza alla guarigione definitiva.

La serie dei lavori del Durante comprende un elevato numero di pubblicazioni su diversi argomenti abbraccianti pressoché tutti i campi di applicazione della chirurgia del suo tempo: studiò la genesi e la metamorfosi di un sarcoma giganto-cellulare delle ossa, la patologia e la terapia delle ghiandole linfatiche; al primo congresso della Società Italiana di Chirurgia, nel 1883, discusse il problema dell’osteomielite cronica delle teste articolari, indicando il procedimento da seguire per evitare la cronicità del processo e la formazione di seni fistolosi; presentò nel 1891 una statistica personale di resezioni dell’intestino, studiò l’uretroperineorrafia nei restringimenti uretrali; compì interventi sul pancreas, sulla milza, sul rene e sull’utero. In un contributo del 1893 sugli esiti a distanza dell’isterectomia per via vaginale nel cancro, riferi le proprie esperienze su una casistica di 50 interventi. Nel 1909 fu relatore al XXII congresso della Società Italiana di Chirurgia sulla cura del carcinoma, esaminando i diversi tentativi infruttuosi di molti autori compresi i recenti risultati della cura con i raggi X. Coltivò studi di urologia, rinnovando tutto lo strumentario chirurgico per queste operazioni nella clinica. Sulla scia tracciata dal suo maestro ebbe sempre attenzione per le norme dell’antisepsi, e usò tra i primi l’azione del vapore e la sterilizzazione a secco con alta temperatura.

Nel 1895-98 a Roma fu pubblicata la prima edizione del suo Trattato di patologia e terapia chirurgica generale e speciale, in tre volumi, uno dei migliori e più completi del tempo, sul quale si formarono generazioni di studenti, la seconda edizione fu stampata nel 1904-06, in quattro volumi. Successivamente comparve il Trattato di medicina operatoria generale e speciale, in due volumi, Torino 1907-09, e in seconda edizione ibid. 1921-25, in 4 volumi. Ad ambedue queste opere collaborò N. Leotta. Di un interesse non trascurabile per la storia della medicina si trova testimonianza in un articolo La chirurgia degli Arabi, in Supplemento al Policlinico, V (1899), 25, pp. 786-791, e in Bull. d. R. Accad. medica di Roma, XX (1904), p. 168. Con G. Baccelli fondò nel 1893 e diresse Il Policlinico. Collaborò col Baccelli alla fondazione del grande policlinico di Roma.

Per quasi mezzo secolo fu alla guida dell’insegnamento chirurgico in Roma e dalla sua scuola uscirono chirurghi di notevole valore che raggiunsero posizioni di primo piano. Il 28 febbr. 1898 gli allievi festeggiarono il maestro con la pubblicazione di tre volumi di scritti Per il XXV anno dell’insegnamento chirurgico di F. D. nell’università di Roma, Roma 1898.

Fu preside della facoltà medica. Quando lasciò la cattedra gli successe il suo allievo R. Alessandri.

Ebbe un ruolo di primo piano anche nella vita pubblica. Fu presidente del Consiglio federale degli Ordini dei medici del Regno nel 1899 e presidente dell’Ordine dei medici di Roma. Fu presidente del Consiglio sanitario del Lazio; medico capo del Sovrano militare Ordine di Malta; diede il contributo della sua competenza per i soccorsi alimentari e ospedalieri dopo il terremoto di Messina e Reggio, per il terremoto della Marsica, per l’organizzazione delle unità sanitarie durante la guerra di Libia e la guerra mondiale. Fu presidente delle direzioni sanitarie militari dei corpi d’armata di Roma e di Ancona, membro dell’ispettorato sanitario militare come generale aggiunto. Fu direttore e amministratore dell’Opera nazionale per gli ammalati e invalidi di guerra.

Era stato tra i fondatori nel 1882 della Società italiana di chirurgia, di cui divenne poi presidente. Fu presidente della R. Accademia medicochirurgica di Roma, presidente onorario della Accademia Lancisiana, socio di molte accademie e società scientifiche italiane e straniere. Fu cavaliere del merito civile e commendatore del Regno.

Coprì diverse cariche pubbliche. Fu membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione; consigliere comunale di Roma. Era stato eletto deputato per il collegio di Messina nella XV legislatura del Regno nel 1882, ma la sua elezione venne annullata per sorteggio in base alla eccedenza del numero dei deputati professori. Il 26 genn. 1889 venne nominato senatore del Regno, per la 21ª categoria; prese parte assidua ai lavori del Senato e parlò spesso su problemi concernenti l’istruzione e la professione medica. Fu membro della commissione d’inchiesta sui brefotrofi. Si segnalò tra gli assertori dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1915.

Vedovo di Amalia Cocchi, mori il 2 ott. 1934 a Letojanni, dove era tornato per trascorrere gli ultimi anni della sua vita.

Bibl.: Necrologi in Il Policlinico, sez. pratica, XLII (1934), pp. 1675-77; in Riv. sanit. sicil., XXII (1934), p. 1612; in Boll. e Atti d. Accad. med. di Roma, LXI (1935), pp. 133-143; G. Lusena, La Società italiana di chirurgia nei suoi primi 30 congressi (18831923), Roma 1930, ad Indicem; A. Pazzini, La storia della facoltà medica di Roma, Roma 1961, pp. 214-217; F. Bazzi, F. D., in Castalia, XVIII (1962), pp. 173 ss.; V. Triolo-B. Giovannella, F. D. and the Cohnheim theory of oncogenesis, in Physis, VIII (1966), pp. 199-219; B. Guidetti, F. D., in Surgical neurology, XX (1983), pp. 1 ss.; V. A. Sironi, Contributo alla storia della neurochirurgia in Italia: considerazioni sui primi tentativi di asportazione di tumori cerebrali alla fine dell’800 ed agli inizi del 900, in Medicina e storia, a cura di O. Galeazzi, II, Ancona 1986, pp. 152 ss.; E. Polichetti, Il contributo italiano alla neurochirurgia. Critica storica nella mia testimonianza del recente passato, ibid., p. 159; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale…, Roma 1896, pp. 425 s.; A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori dal 1848al 1922, I, Milano 1922, p. 348; Diz. dei Siciliani illustri, Palermo 1939, pp. 198 s.; I. Fischer, Biographisches Lexikon der hervorragenden Ärzte… [18801930], 1, p. 342; Encicl. Ital., XIII, p. 296, e App. I, p. 535.

Da G. Armocida:  http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-durante_res-a4bfff72-87ec-11dc-8e9d-0016357eee51_%28Dizionario-Biografico%29/

 

1885. Durante Francesco, Estirpazione di un tumore endocranico: (forma morbosa prima e dopo l’ operazione). Bollettino della Reale Accademia Medica, Roma 1885.

1887. Prof. F.Durante: Contribution to endocranial surgery. The Lancet, Oct. 1, 1887,  pg 654-655.

CONTRIBUTION TO ENDOCRANTAL SURGERY.
By F. DURANTE,

PROFESSOR OF SURGERY.

Paper read in the Surgical Section of the International Medical Congress held at Washington, U.S.A., September, 1887.

In May, 1884, C. B –, a woman, thirty-five years of age and a native of Narni, came under my care. Her general appearance was good; she seemed well nourished, although not of a very robust constitution. Externally, she showed no abnormality, except as to her left eye, which appeared somewhat low and drawn outwardly, otherwise the movement as well as the functions of the globe were normal. This deformity had manifested itself only within the three months previous to her visit to me. For a year or more however, she had entirely lost her sense of smell, her memory had become impaired, particularly as to remembering names, and she experienced a peculiar sensation of vacuity which caused her to feel uncertain in her movements. Motion, sense of touch, and sensibility to heat and pain remained natural. From her husband I learnt that she had somewhat changed in disposition; that from being generally happy and bright, she had become sad, melancholic, and taciturn, although she did not seem to brood over the state of her health. The senses of hearing and taste, and the functions of the chylopoietic viscera were perfect; also nothing abnormal was found on a close examination of the nasal and pharyngeal regions. The course of the disease, the loss of memory and of the sense of smell, and the objective and subjective state of the patient led me to believe in the presence of a tumour within the cranium, the pressure of which affected the anterior lobe of the brain and paralysed or destroyed the olfactory nerve. Moreover, the displacement of the globe of the eye led me to believe also that the tumour had penetrated the superior arch of the orbital cavity. Such being my diagnosis, I now proposed to the patient an operation that would remove the offending object, explaining to her the gravity of the operation without reserve. She was brave, and she consented.

To reach the tumour it was necessary to make a large opening in the left frontal bone; so with an incision commencing from the inner angle of the left orbit upwards nearly to the hair line as far as the temporal region, I raised all the soft tissue from the bone in a flap. The bone being exposed, with a sharp scalpel and hammer I removed a large portion of it, commencing at the superior orbital margin, inferiorly, and found that the internal parietes of the frontal sinus had been forced outwardly. The dura mater being now exposed, I examined it, and found that it had been perforated by the tumour just opposite the frontal eminence. With great care I now began to scoop out the tumour. As soon as a considerable portion of the tumour was removed, I detected that it did not adhere beyond the internal surface of the dura mater, and that therefore its enucleation was comparatively easy; and then removed it and carried with it all the adherent portions of the dura mater. The haemorrhage was slight and easily controlled by the haemostatic, a tampon treated with sublimate. The tumour was lobular, of the size of an apple, and weighed seventy grammes. It occupied the anterior fossa at the base of the left cranium, extending to the right and upon the cribriform lamina, which it destroyed. Posteriorly it extended to the glenoid tubercles before the sella turcica. The left anterior cerebral lobe was greatly atrophied; the orbital arch was much depressed, but not perforated by the tumour as I had anticipated. Having stopped the bleeding completely, I now united the wound by first intention, leaving in the cavity occupied by the tumour a drainage tube, which descended to the left nasal fossa through the opening made on the ethmoid by a prolongation of the neoplasm; then I closed the nasal cavity with an iodoform tampon. The operation lasted about an hour. The patient bore the chloroform very well, showing only the weakness following the use of. an anaesthetic and attendant upon loss of blood. On the third day she had fairly recovered, and the wound was healing without suppuration. The drainage worked well, a large quantity of serum tinged with blood flowing through it. On the fourth day, however, the patient was overtaken by sudden prostration, was inclined to sleep, exceedingly disinclined to talk, and complained of mental confusion. I then discovered that the drain had stopped during the night, so I at once removed the tampon, replacing it, however, further down the nasal cavity. The effect was good; the serous fluid began to drip again. Not satisfied with this, I applied a gum-elastic “pump” to the external opening, and drew off about thirty grammes of liquid. The flow was thus re-established, and continued all the following day and night. On the renewal of the flow the alarming symptoms disappeared as if by magic. On the seventh day I removed the stitches and the drainage tube, and on the fifteenth day the patient returned to her home, doing very well. She had lost that sensation of vacuity around her person which made her uncertain in her movements, but had not regained her memory or the sense of smell.

Three months after I presented my patient to the Chirurgical Society at its meeting in Perugia in 1884. She was in a happy frame of mind, and willingly related her experience. She stated that now all her faculties and moral conditions were normal, and that she had even regained her sense of smell. This greatly surprised me, for I felt sure that I had destroyed the left olfactory in removing the tumour, which had destroyed the cribriform lamina of the ethmoid. Upon experimenting, however, with aromatic substances, we found that she could only smell with the right, and that the left was totally insensible, its olfactory having been destroyed either by the pressure of the tumour or by the operation itself. The part of the bone which had been removed was now partially reproduced, the cavity in the region of the operation had disappeared, and the eye had regained almost entirely its normal position. The tumour, under the microscope, presented a multiform fibrocellular structure of sarcoma.

It is now four years since that operation was performed, and my patient is in perfect health. My diagnosis and the operation, apparently so hazardous at the time, are therefore justified by the result. And, though such operations have generally failed, the success of mine should secure proper consideration at the hand of modern surgery.

The progress of experimental pathology and of studies of cerebral localisation every day now smooths our way to the diagnosis of cerebral diseases, so that the cranial cavity may in future justly enter into the dominion of surgery. The frontal and parietal regions can now be successfully attacked by the scalpel of the surgeon, and many affections of the meninges become trophies of rational surgery.

Rome.

 

 

 

1890. ALEC FRASER (…-…), A guide to  operations on the brain.

Fraser Alec. Inaugural address, delivered at the opening meeting of the Royal College of Surgeons Scientific Association, session 1888-9. 11 pp. 89. Dublin, J. Falconer, 1889.

Pubblicazioni. A guide to operations on the brain. 2 p. l., 23 pp., 42 pl. fol. London, J. J A. Churchill, 1890. A case of porenceplaly. 16 pp., 6 pl. 89. Leuces, South County Press, Limited, L1894]. Repr. from:  J. Ment. Sc., Lond., 1894, xl. A unique case of intestinal fistula follow ing celiotomy. 4 pp. 129. Philadelphia, 1895. Repr. from: Med. News, Phila., 1895, LXVI.

 

1890. A guide to  operations on the brain illustrated by forty-two life-size plates in autotype and two woodcut in the text by Alec Fraser, professor of Anatomy, Royal College of Surgeons in Ireland, London J&A Churchill, 1890.

© Biblioteca Spedali Civili, Brescia, Italia

A Lobo Frontale; B Scissura Rolandica; C Lobo occipitale; D Lobo Temporale.           1, 2, e 3 sono le circonvoluzioni.La rappresentazione iconografica di questo libro è un esempio di studio delle localizzazioni della corteccia cerebrale e delle altre strutture cerebrali in profondità nel cervello in funzione dei reperti cranici superficiali. L’autore per maggior attendibilità ha fatto lo studio sul cadavere e quindi lo ha riprodotto “a grandezza naturale” per rendere più precise le misurazioni. Le praparazioni riguardano l’uomo adulto ed il bambino.

 

 

 

 

 

 

 

1891. FREDERICK TREVES, F.R.C.S. (1853-1923), A manual of operative surgery

 

Frederick Treves nacque a Dorchester il 15 febbraio del 1853. Educato da giovane dal noto poeta del Dorset, William Barnes, che gli infuse l’amore per lo studio e la conoscenza, si formò professionalmente presso il London Hospital, uno dei più importanti ospedali europei nonché sede di un’ottima divisione di chirurgia. L’esperienza al London Hospital fu di fondamentale importanza nella sua crescita come medico e come studioso: lì ebbe modo di analizzare il caso di Joseph Merrick, da lui definito l’uomo elefante trattandosi di una forma sistemica di neurofibromatosi che aveva alterato il viso ed il corpo.

Tra il 1899 e il 1902 Treves partecipò come medico militare alla guerra dei Boeri, dove gli fu affidato l’ospedale un ospedale da campo. Anche questa fu un’esperienza decisiva nella sua vita tanto che al suo ritorno in Inghilterra gli vennero conferite molte onorificenze.

Il vero passo in avanti avvenne nel 1894 quando fu nominato chirurgo ufficiale del Duca di York (il futuro Giorgio V) e poi nel 1900 chirurgo della regina Vittoria. Un evento decisivo nella sua carriera di chirurgo reale fu l’operazione chirurgica cui si sottopose il re Edoardo VII nel 1902 prima della cerimonia di incoronazione: Treves riuscì a drenargli un ascesso all’appendice salvandogli la vita e guadagnandosi un ulteriore titolo di Baronetto.

L’operazione interessò molto Treves che iniziò a esaminare più attentamente quell’organo e la sua patologia più comune, l’appendicite (che egli però tradizionalmente definiva peritiflite), tanto da pubblicare numerosissimi saggi al riguardo. Purtroppo tutto lo studio che vi dedicò non bastò a salvare la vita di sua figlia che morì in tenera età proprio di questa appendicite. All’età di 55 anni Treves decise di lasciare la sua attività di medico per dedicarsi maggiormente alla scrittura di libri, articoli, memorie di viaggi e di vita. Morì a Losanna nel 1923.

Estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Frederick_Treves

1891. A manual of operative surgery by Frederick Treves, F.R:C:S:, Surgeon to, and  Lecturer on Anatomy at, The London Hospital; Member of the Board of Examiners of the Royal College of Surgeons. With 422 illustrations. Vol. II.Cassel & Company, London, 1891.

Ossivore di Hopkin

 

 

 

1892. SILVA BERNARDINO.

La presenza a Torino di Forlanini accrebbe certamente la rinomanza della Facoltà Medica torinese, che diveniva antesignana anche nella terapia della tubercolosi. Disgraziatamente, dopo un primo periodo di collaborazione, si creò un forte contrasto in Facoltà fra lui e Bozzolo. Forlanini, infatti, aveva chiesto di diventare titolare di una seconda Clinica Medica, ma Bozzolo non aveva gradito. Il problema era acuito dal fatto che il Ministro aveva abolito la cattedra di Clinica Medica Propedeutica.

Difeso dalla Facoltà, Forlanini rimase peraltro al suo posto per vari anni. Il problema fu risolto con l’apertura di un concorso per professore ordinario di Patologia Speciale Medica a Torino, contestualmente all’apertura di un altro concorso, identico, a Pavia. Il vincitore di Torino fu Forlanini, quello di Pavia fu Bernardino Silva, un allievo di Bozzolo.

Il Ministero accettò che Silva fosse comandato a Torino, e Forlanini a Pavia. Col 1899, si ebbero infine i decreti di trasferimento. Silva restò a Torino, praticamente subalterno a Bozzolo, fino al 1905, quando morì in un incidente di montagna.

Da:https://www.accademiadellescienze.it/storiaescienza/personaggi/carlo_forlanini_20051

Silva B., Un caso di ascesso cerebellare,  Comunicazione alla Società medica di Pavia. Vol. II, La Riforma Medica, Tipografia della riforma Medica, Napoli, 1891.

1891 SILVA B -Un caso di ascesso cerebellare (scarica il PDF 3,2MB)

CLINICA MEDICA PROPEDEUTICA DI PAVIA, UN CASO DI ASCESSO CEREBELLARE pel prof. B. SILVA

Luigi B., contadino, d’anni 27, celibe, di Rocchetta ligure, entra nella Clinica medica
propedeutica di Pavia il 5 dicembre 1890. La madre è morta per tubercolosi polmonare
a 40 anni; alcuni fratelli, di cui non ci sa precisare il numero, sono morti in tenera
età, ignorasi per quale malattia. Il paziente sofferse di febbri da malaria (?) all’età di cinque anni, guarite facilmente col chinino. A 16 anni ebbe per tre mesi tosse con escreato abbondante, talora sanguinqlento, e febbre; la tosse ricomparve da qualche tempo. Non ebbe mai sifilide, nè fu alcoolista.
Cinque anni fa scolo purulento dal condotto uditivo esterno di destra e diminuzione dell’udito dallo stesso lato; a questo scolo si aggiunse l’anno scorso (1889) la produzione di
escrescenze carnose nello stesso condotto uditivo , con dolori forti all’ orecchio e fischi, a cui nel settembre si aggiunsero vertigini. Asportati nell’ottobre i polipi del condotto uditivo
esterno, i dolori diminuirono notevolmente, comparendo solo ad accessi e meno intensi, mentre le vertigini si esagerarono. Nel novembre ricomparvero i dolori più violenti talora con vomiti, che si verificavano per lo più dopo il pasto, se specialmente questo era
abbondante.
All’entrata in Clinica i dolori erano vivi ‘ cominciavano al condotto uditivo esterno irradiandosi in avanti al bulbo oculare, in addietro alla nuca; lo stato vertiginoso era grave; l’ammalato aveva la sensazione continua di movimento in senso orizzontale degli oggetti esterni; nel volgere gli occhi in alto, come nei movimenti del corpo, la vertigine aumentava; nella posizione seduta lo stato vertiginoso era più grave che nel decubito orizzontale, ancora maggiore se l’ammalato tentava di reggersi in piedi. In questa posizione il paziente traballava, come in preda a paura ignota e minacciando ad ogni momento di cadere, coi segni di crescente dispnea non resisteva a lungo in piedi. Anche ad occhi chiusi il paziente accusava senso di vertigine. Non ebbe mai perdita della coscienza.
All’orecchio sinistro il paziente non avvertì mai alcun disturbo. Alvo ed orinazioni regolari.
Non avvertì mai febbre.
Quando il giorno dopo l’entrata in Clinica il paziente fu presentato nel corso di Nemopatologia, offriva ancora le note di uno stato vertiginoso piuttosto grave. Anche tranquillo, nella posizione orizzontale, il malato aveva la sensazione come se fosse in una barca e gli oggetti esterni gli girassero continuamente attorno. La sua fisonomia esprimeva l’ ansia e lo spavento. I fenomeni, come è detto, si esacerbavano nei movimenti; l’andatura era come quella di un ubbriaco, titubante, e il paziente non poteva camminare se non sorretto. Vivi dolori tormentavano il malato nella regione temporo-occipitale di destra, specialmente in corrispondenza del condotto uditivo. Questo all’ispezione mostrava uno scolo abbondante purulento, le pareti coperte da strato difterico, qua e là da tessuto necrosato facilmenle sanguinolento, per cui non si potè vedere il fondo del condotto uditivo, anche pel dolore che si suscitava coll’applicazione dello speculum. L’apofisi mastoide non era tumefatta; alla pressione era indolente.
L’udito a destra era abolito, a sinistra appena leggermente diminuito con sclerosi della
membrana del timpano; sentiva a sinistra il battito dell’orologio a 40 cm. di distanza.
Il polso era 70, il respiro 22, la temperatura fra 36°,5 e 37°. Fu medicato con jodoformio
e lavande boriche.
In presenza di tale sintomatologia il primo pensiero fu quello di · attribuire i fenomeni
offerti dal nostro paziente all’alterazione dell’orecchio: vertigine ab aure laeso.
Il decorso ulteriore parve per un certo momento dare ragione alla diagnosi. Dal 6 all’11
dicembre, in seguito all’uso della chinina, le vertigini diminuirono notevolmente e così
pure il dolore all’orecchio; anche i fenomeni locali del condotto uditivo esterno pareva an-·
dassero migliorando. Si sospese dopo il giorno 11, secondo i dettati di Charcot, il chinino,
e per non istare inerti si ricorse all’uso della pilocarpina per iniezioni ipodermiche, consigliata in queste forme di vertigini.
Senonchè lo stato dell’ammalato invece di migliorare, come accade abbastanza frequentemente di osservare in queste affezioni, nella settimana di riposo che sussegue a quella della somministrazione del chinino, andava peggiorando.
Il giorno 14 dicembre si manifestò di nuovo vomito, che dal primo dicembre non era mai
più comparso; l’appetenza, conservatasi fino allora normale, scomparve dal giorno 15 in
avanti; il giorno 18 ricomparvero dolori vivi al capo, specialmente localizzati alla regione
frontale, e da quell’epoca l’ammalato si mise a decombere sul lato sinistro del corpo raggomitolato sopra sè stesso come sta chi ha molto freddo. Invitato ad alzarsi o a muoversi sul letto, o per soddisfare i propri bisogni, poteva bensì fare ogni movimento; però appena eseguito detto movimento ritornava nella posizione di prima sul fianco sinistro. Contemporaneamente si manifestò uno stato generale di dimagramento e marasma, che andò sempre più accentuandosi in seguito, mentre a rari intervalli si aveva qualche vomito delle materie ingeste.
Si riprese il chinino il giorno 22 dicembre e lo si continuò, con qualche giorno di riposo, alla dose di  ½ gr. ad 1 gr. al giorno fino al 1° gennaio 1891.
Ciò nondimeno i sintomi andarono aggravandosi; il peso del corpo che al 5 dicembre
(giorno d’entrata in clinica) era di chgr. 38, si ridusse ancora fino a 34,600 (il giorno 26
dicembre).
È a notare che il malato non offrì mai durante tutto il tempo che stette in clinica temperature superiori a 37°, nè inferiori a 36°; in genere avea T. di 36°,6 a 36°,9 (all’ascella); il polso era di 68-70, qualche rara volta scese a 61; il respiro 20-22 al 1′.
Le orine erano in genere scarse, sempre prive di albumina e di zucchero.
Di fronte a questi sintomi, persistenza, anzi aggravarsi dello stato vertiginoso, malgrado
la cura, posizione coatta del corpo, dimagramento generale dell’ammalato, persistenza del
vomito, non esitai a pensare che oltre alle lesioni auricolari, forse causa prima della vertigine, vi fossero anche altre lesioni più gravi centrali, già preesistenti o sopravvenute in
seguito, e precisamente un ascesso cerebrale.
Infatti noi sappiamo che fra i più frequenti momenti etiologici degli ascessi cerebrali vi
hanno le lesioni suppurative croniche dell’orecchio medio; secondo le più recenti statisliche la metà dei casi di ascesso cerebrale avrebbe tale causa, nell’ altra metà dei casi interverrebbero come causa o il trauma, o altri processi piemici, oppure lesioni tubercolari, bronchiti putride, pneumoniti, etc.
È noto inoltre che è più specialmente nelle lesioni dell’orecchio destro, per ragioni che
Körnen ha tentato di spiegare, che si osserva la complicanza dell’ascesso cerebrale; di più, in genere, questi ascessi risiedono lontano dalla lesione auricolare, nei ¾ dei casi nelle
circonvoluzioni temporali, in 1/6 nel cervelletto, e nel resto in altre parti dell’encefalo;
quando è maggiormente colpita la superficie superiore della rocca l’ascesso risiede in genere nelle circonvoluzioni temporali, e nella fossa endocranica posteriore, quando la suppurazione interessa specialmente le cellule dei processi mastoidei.
Nel caso nostro, mancando ogni segno di lesione dei nervi basilari , non era nemmanco
da discutere l’eventuale insorgenza di una complicazione meningea.
Per quanto riguarda i sintomi di ogni ascesso cerebrale, sia che insorga nel decorso di un’otite media purulenta, sia che avvenga per altra causa, dessi sono di tre specie:
1° Sintomi che sono dipendenti dalla suppurazione per sè.
2° Sintomi che sono dipendenti da aumentata pressione endocranica.
3° Sintomi dovuti alla sede dell’ascesso: sintomi di focolaio.
Fra i sintomi del primo gruppo può avere importanza capitale la febbre, che però nell’otite
media purulenta può venire anche per questa causa: nel caso nostro mancò sempre.
Fra i sintomi del secondo gruppo la cefalea predomina insieme con il dolore alla percussione del cranio; anche nelle lesioni dell’orecchio abbiamo la cefalea così detta faringo-timpanica, indipendentemente da ogni complicazione di ascesso cerebrale; questa esisteva nel nostro caso. Gli altri sintomi del 2° gruppo; rallentamento del polso, sonnolenza, coma, respiro stertoroso o di Cheyne-Stokes, papilla da stasi, etc. sono più frequenti nei tumori; negli ascessi cerebrali possono mancare. Il vomito è frequente anche nella vertigine di Menière e in quella ab aure leso. Nel nostro pazicnte esisteva solo questo ultimo sintoma e mancavano tutti quegli altri segni accennati che si attribuiscono ad aumentata pressione endocranica.
Restano i sintomi di focolaio. Qui si presentano due possibilità:
O l’ascesso risiede nelle regioni così dette latenti dell’ encefalo, in quelle zone di cui
ignoriamo i sintomi consecutivi alla loro lesione, e allora ogni tentativo diagnostico è
vano; non si può che giocare ad indovinello.
O l’ascesso risiede in una regione del cervello, le cui funzioni sono fino ad un certo punto
note e la cui lesione dà sintomi riconoscibili, e allora la diagnosi può talora essere relativamente facile; questi sono i casi meno frequenti, specialmente negli ascessi consecutivi a lesione dell’orecchio medio.
Difatti in tali casi l’ascesso più frequentemente risiede nelle circonvoluzioni temporali, e
dovrebbe aver per conseguenza la sordità verbale, ma poichè, come dice Barr, la grande maggioranza dei casi di otite suppurativa cronica è bilaterale, e quindi accompagnata per
sè da sordità, è chiaro che il sintoma in questione può anche non dare segno di sua esistenza, perchè coperto da altro più grave.
Nei casi invece in cui l’ascesso risiede nel cervelletto allora desso o può colpire zone così
dette latenti, come gli emisferi cerebellari, e allora non dà segni per cui lo si possa diagnosticare o risiede nel verme o nel peduncolo cerebellare medio, e allora i sintomi sono gli stessi che dà una lesione auricolare, come si sa dalle esperienze sugli animali e dall’osservazione clinica.
È noto che, affezioni del peduncolo cerebellare medio inducono sintomi specialissimi, fra
cui primeggia la vertigine, la quale d’ordinario è assai intensa e qualche volta non si limita
ad un semplice senso di giramento, ma dà luogo ad un effettivo e in volontario moto di rotazione, ad un movimento forzato del tronco sul suo asse longitudinale, talvolta verso la
parte della lesione, tal’altra in senso opposto.
Tuttociò può semplicemente ridursi alla tendenza irresistibile a giacere su di un fianco.
(Gowers. Diseases of theBrain, London, 1885). Vi può essere pure nistagmo. Tali fenomeni probabilmente dipendono da irritazione attiva e non da distruzione del tessuto nervoso. Spesso vi hanno segni dipendenti da lesione unilaterale del ponte.
Nel caso nostro quindi il marasmo rapido, segno frequente degli ascessi cerebrali, la tendendenza a giacere su di un fianco, e i sintomi vertiginosi, se dovevano far pensare, data la presenza della otite, ad una complicazione di ascesso cerebrale, naturalmente doveano anche indicarcene la sede nel peduncolo cerebellare medio del lato della lesione (come in tali casi avviene).
Mancava il nistagmo nel caso nostro , sintoma però non necessario delle lesioni peduncolari. In favore di tale concetto parlavano pure altri sintomi comparsi proprio negli ultimi giorni di vita del paziente. Infatti in un esame fatto in data 3 gennaio abbiamo trovato clono del piede, esagerazione dei riflessi rotulei; questi fenomeni, che per sè soli non avrebbero importanza, potrebbero parlare nel caso nostro in favore di una lieve alterazione (da compressione) del fascio piramidale.
La morte del paziente avvenne dopo tre giorni di stato saporoso; questo sintoma si osserva
anche negli ascessi cerebrali.
Resta difficile però stabilire l’epoca dell’insorgenza della complicazione cerebrale; l’ascesso
si è fatto dopo l’operazione dei polipi, o solo verso la metà di dicembre in Clinica, quando
contemporaneamente si notò l’aggravarsi dei sintomi esistenti, e la comparsa di nuovi? Per chi ha esperienza clinica e conosce la difficoltà di simili diagnosi appare difficile la soluzione del quesito.
Difatti l’ insorgere di un ascesso cerebrale consecutivo a lesione dell’orecchio medio è
sempre subdolo, e Bergmann dice a ragione a pag. 31 della sua classica monografia sul
trattamento chirurgico delle affezioni cerebrali (E. von Bergmann, Die chirurgische Behandlung der Hirnkrankheiten, Berlin, 1889): “l’esacerbazione acuta dello scolo
dall’orecchio non ha nulla da fare con l’insorgere o con l’ ingrossarsi dell’ascesso cerebrale. I nuovi sintomi che, data tale evenienza, per caso insorgessero, anche quando consistano
in vertigine, cefalea, insonnia e malessere, non sono da ritenersi quale espressione della
supposta lesione cerebrale, ma piuttosto da attribuirsi all’affezione auricolare fattasi più grave.”
Ora nel caso nostro nemmanco questo aggravarsi dei sintomi auricolari ci dava argomento
per la diagnosi; mancava la febbre, solita a verificarsi nelle complicanze di ascesso cerebrale, e tutti gli altri segni potevano spiegarsi con la lesione auricolare esistente. Solo
in via razionale abbiamo potuto pensare all’ascesso cerebellare, fondandoci specialmente
su due sintomi: il marasmo e la tendenza irresistibile del paziente a stare raggomitolato
e sul fianco sinistro.
L’autopsia diede pienamente ragione alla diagnosi fatta. Si trovò “anemia del ponte e del midollo allungato”. La superficie dell’emisfero cerebellare destro nella parte esterna, era rammollita così che nell’asportazione della massa cerebrale si perforò, lasciando sfuggire
del pus denso, gialliccio; tagliato si trovarono due ascessi della grossezza di una ciliegia,
circondati da una capsula connettiva, ricca di vasi.
Dei due ascessi, il superiore un po’ più grosso, occupava quasi tutta la parte bianca dell’emisfero cerebellare destro, circondato dalla corteccia cerebellare, e anteriormente e
posteriormente limitato dalla sostanza bianca che costituisce la continuazione dei peduncoli cerebellari , anteriore e posteriore; il lobo medio del cervelletto non era in nessun modo interessato.
L’ascesso inferiore, un po’ più piccolo, occupava lo spessore del peduncolo cerebellare
medio, appena questo usciva dal ponte; un piccolo sepimento trasversale, come una lamina costituita da tessuto in apparenza sano, divideva i due ascessi nel punto in cui il peduncolo si espande a costituire la sostanza bianca del lobo cerebellare laterale. Non potei stabilire se i due ascessi potevano eventualmente comunicare fra di loro, dato lo stato
di cattiva conservazione e spappolamento nel quale mi fu consegnato il pezzo anatomico.
Nel resto dell’autopsia non v’era nulla di interessante, all’infuori dell’otite bilaterale, purulenta a destra, già diagnosticata in vita.
Quello ch’è notevole da constatare si è che anche dopo morte non ci è dato risolvere i
quesiti postici, quando l’ammalato era vivo. Ci fu impossibile dedurre dallo stato anatomico dei pezzi, l’epoca probabile dell’ insorgere dell’ascesso, che, dato lo stato congestizio delle pareti, pareva di origine relativamente recente. Non sappiamo dopo morte ancora stabilire quali dei sintomi offerti dal paziente si devano attribuire alla lesione auricolare, e quali alla lesione cerebellare. È lecito credere che all’entrata in clinica il paziente avesse già l’ascesso dell’emisfero cerebellare, che coll’aggravarsi dei sintomi, e con la comparsa tendenza a posarsi sul fianco sinistro sia coincisa la formazione dell’ascesso peduncolare. L’ascesso dell’ emisfero non poteva per sè dare segni di sua presenza. All’ascesso peduncolare si può attribuire questo sintoma unico della posizione coatta; i sintomi di vertigine e di vomito, esistenti già da mesi, devonsi con maggiore verosimiglianza attribuire alla lesione auricolare.

1892. Silva, Appunti di Malattie Nervose.

1891 SILVA -CASI CLINICI DI NEUROLOGIA (scarica il PDF 93MB)

Manoscritto riprodotto mediante tecnica litografica ad uso degli studenti del corso del prof. Silva degli anni 1891-92. Sono riportati i seguenti casi clinici:

  • Paramioclono multiplex, pg. 2
  • Neurite crurale destra, pg. 13
  • Vertinine ab aure lesa e vertigine di Méniere pg, 18
  • Emicorea. Pg, 41
  • Paralisi pseudobulbare, pg.54
  • Emiparesi destra, pag. 85
  • Dei Tremori, pg. 93
  • Anosmia, pg 104
  • Paraplegia da compressione del midollo spinale, pg. 108
  • Mixoedema (cachessia pachidermica), pg. 124
  • Isterismo, pg. 144

Nell’ultima pagina è scritto: Avvertiamo che qui sono riferiti parecchi casi clinici trattati dal Prof. Silva nelle sue lezioni, come ad esempio di emiplegie, perché questo argomento fu svolto ampiamente l’anno scorso. Oltre a questi dovrebbero essere riferiti: un caso di epilessia accompagnata da spiccati caratteri somatici degenerativi, due di emiplegia da trauma al cranio in cui fu eseguita la trapanazione, uno di corea isterica, ecc. Ma la ritrettezza del tempo ci costringe nostro malgrado ad ammetterli.

Alcune immagini nel testo.

 

 

 

 

 

1893. A. D’ANTONA (1842-1913), La nuova Chirurgia del Sistema Nervoso Centrale.

 

D’ANTONA, Antonino. – Nacque a Riesi (Caltanissetta) il 18 dic. 1842 da Antonino e da Concetta Debilio. Compiuti in Sicilia gli studi classici, si trasferì a Napoli, dove si iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università. Fu guidato, fino dall’infanzia, dalle cure di uno zio paterno, l’arciprete Gaetano D’Antona, che lo seguì anche negli anni della sua formazione universitaria. A Napoli ebbe maestri illustri di medicina e fu particolarmente vicino alle figure di O. Schrön, A. Cardarelli e F. Palasciano.

Ottenne la laurea nel 1866 e si indirizzò subito verso il campo prediletto della chirurgia. Intese perfezionare le sue attitudini e il suo metodo nello studio e nella ricerca, dedicando ancora qualche anno alla propria formazione. Desideroso di ampliare la sua istruzione attraverso la conoscenza dei principali ambienti scientifici italiani ed europei, compì viaggi di studio all’estero e per circa tre anni, dal 1866 al 1869, frequentò le più rinomate cliniche chirurgiche dell’epoca: fu a Vienna, dove conobbe C. A. T. Billroth e ne seguì la scuola, a Berlino, a Lipsia, presso J. F. Cohnheim; a Londra gli fu maestro T. S. Wells, che strinse poi con lui una solida amicizia.

Questo tirocinio in centri clinici di rilevanza internazionale gli procurò una eccellente formazione, orientata verso gli aspetti più moderni e stimolanti della chirurgia, e lo preparò alle nuove applicazioni della disciplina che affrontava in quegli anni profondi rinnovamenti scientifici. Tornato a Napoli, venne chiamato alla clinica universitaria di C. Gallozzi. Tuttavia, seguendo un costume assai diffuso e fiorente in Napoli a quell’epoca, si diede presto alla pratica dell’insegnamento privato. In questa attività conseguì un immediato successo: tenne uno studio aperto e frequentatissimo da molti allievi fino a circa il 1881; fondò e gestì per diversi anni una piccola “casa di salute” nella quale ricoverò e operò molti pazienti riportando buone affermazioni professionali.

In quegli anni diede alle stampe i suoi primi lavori scientifici: studi sulla flogosi, sul processo ulcerativo, sulle infezioni chirurgiche, sulla patologia e la clinica chirurgica delle affezioni osteo-articolari. Le sue prime pubblicazioni e l’esercizio fiorente della sua attività di docente privato ne consolidarono l’immagine di studioso e di buon didatta negli ambienti accademici. Nel 1881 vinse il concorso per il titolo di professore di patologia chirurgica nell’università di Padova. Nel 1884 ottenne la nomina a professore ordinario e la cattedra di patologia chirurgica nell’università di Napoli. Non trascurò mai la pratica clinica. Fu chirurgo all’ospedale dei Pellegrini e nel 1888 vi occupò anche l’ambito posto di anatomopatologo.

Nel 1885 gli si offrì la possibilità di coprire la cattedra di clinica chirurgica nell’università di Modena, ma vi rinunciò per non lasciare Napoli: in questa città infatti aveva oramai acquisito una larga rinomanza che lo collocava tra i membri principali della reputata scuola chirurgica napoletana. Il D’Antona si distinse soprattutto come patologo chirurgo, sia in campo scientifico, sia in quello didattico; i suoi insegnamenti erano sempre molto frequentati ed egli dettò una serie molto nota di lezioni di patologia chirurgica, che non vennero però raccolte organicamente in stampa. Quando, a seguito della legge Baccelli del 1889, all’insegnamento della patologia chirurgica fu aggiunto quello della propedeutica clinica, il D’Antona prodigò ogni sua cura perché nella scuola da lui diretta gli allievi potessero acquisire solide basi teoriche e pratiche per la loro formazione professionale. Sotto la sua guida si formarono molti eccellenti chirurghi, tra i quali E. Tricomi, G. D’Urso e G. Pascale, che rinnovarono radicalmente la chirurgia ospedaliera e privata; dalla sua scuola uscirono in quegli anni numerose pubblicazioni sue e dei suoi allievi. Nel maggio 1896 fu delegato, insieme a E. Bottini, a rappresentare la Società italiana di chirurgia a Berlino nel XXV anniversario della Società tedesca di Chirurgia.

Il 25 ottobre 1896 fu nominato senatore del Regno; tuttavia partecipò poco ai lavori del Senato. Nel 1903, succedendo al Palasciano e al Gallozzi, fu preposto alla cattedra e all’istituto di Clinica Chirurgica. Nella sua lunga attività scientifica e clinica il D’Antona si occupò di molti argomenti della patologia e della clinica chirurgica, diede importanti contributi in diversi settori e lasciò numerose pubblicazioni.

Tra i lavori sulla flogosi il più noto è quello Della infiammazione (Napoli 1876),opera dei primi anni di ricerca, che ne metteva in evidenza le doti di studioso e le capacità di sintesi scientifica. Sulla scorta dell’esperienza maturata nei suoi viaggi di studio, egli dava una completa rassegna delle principali teorie contemporanee sul problema, discutendole alla luce di sue personali osservazioni. Il D’Antona collegava il processo infiammatorio all’intervento di un agente flogogeno in grado di interferire nei meccanismi delle correnti nutritive e circolatorie, alterandole profondamente. Nel 1883 raccolse nel volume Saggi di chirurgia addominale. Trenta laparatomie (Napoli 1883) le note relative alla varia casistica operata nella sua casa di salute. Alla chirurgia addominale dedicò sempre gran parte della sua attività e molti suoi lavori successivi trattarono argomenti di clinica e tecnica chirurgica di questo settore. Si interessò della chirurgia della milza, eseguì interventi di splenectomia e di splenopessia. Nel 1885, precedendo di un anno E. Bergmann, al quale viene spesso attribuita la paternità di questo intervento, introdusse la tecnica della nefrectomia paraperitoneale; del resto, si occupò con frequenza di chirurgia renale, pubblicò una casistica di ventidue nefrectomie e descrisse un nuovo metodo di sutura e di innesto degli ureteri. Si interessò della terapia chirurgica della tubercolosi e presentò una relazione sulla tubercolosi gastrointestinale al convegno internazionale contro la tubercolosi tenutosi a Roma nel 1912.

Si dedicò con interesse anche alla chirurgia del Sistema Nervoso: cervello, cervelletto, midollo spinale. Fu tra i cultori degli studi di topografia cranio-cerebrale insieme a C. Giacomini, G. Chiarugi, P. Broca, F. Padula. Ideò un suo metodo per la determinazione della topografia cranio-encefalica fondato, come già quello di T. Kocher, su linee tracciate sul capo, a partenza da punti precisi, alle quali corrispondevano i solchi, i giri e le aree da delimitare. Nei due volumi La nuova chirurgia del sistema nervoso centrale (Napoli 1893-1894) raccolse tutto il corpo dei suoi studi e dei suoi contributi originali, riunendoli in una trattazione che integrava tutto il panorama delle conoscenze più aggiornate del settore.

L’attività del D’Antona spaziò insomma in tutti i campi della chirurgia. Si occupò anche di ortopedia e di traumatologia. Le sue osservazioni sui traumatizzati del terremoto di Messina e Reggio nel 1908 gli permisero di mettere in evidenza alcune particolarità delle lesioni e di descrivere la sindrome da schiacciamento. Ancora, ebbe larga esperienza in ginecologia; in molti lavori diede precisa documentazione di una ampia casistica personale in tema di isterectomia e di ovariectomia. Si occupò di chirurgia vascolare e della toracoplastica delle fistole toraciche. In campo più strettamente tecnico, il D. è ricordato soprattutto per l’introduzione del metodo antisettico nella scuola chirurgica napoletana, cui conseguì una sensazionale flessione della mortalità operatoria. L’antisepsi propugnata dal D. completava quindi il perfezionamento delle tecniche operatorie realizzato dal Gallozzi, rendendo possibili i grandi progressi della moderna clinica chirurgica.

Il nome del D’Antona fu però, negli ultimi anni, legato anche alle spiacevoli vicende di un processo che lo vide imputato di omicidio colposo per un caso di responsabilità professionale. Si trattò di una lunga e tribolata questione che ebbe vasta risonanza, anche fuori dall’ambito locale, per la notorietà scientifica dell’imputato e per la sua appartenenza al Senato del Regno. Un paziente operato dal D’Antona nella casa di cura dell’Ospedale della Pace, nell’ottobre del 1900, venne a morte qualche settimana dopo l’intervento. Si trattava, secondo il chirurgo, dell’esito naturale della malattia che egli aveva diagnosticato, al tavolo operatorio, come cancro (cfr. A. D’Antona, Brevi chiarimenti di fatto intorno al mio processo, Napoli 1904). Tuttavia all’autopsia era stata rinvenuta nella cavità addominale una garza chirurgica dimenticata durante l’operazione. Su richiesta dei parenti del paziente, si aprì un processo che ebbe alterne e contraddittorie vicende e che vide comparire, in qualità di periti, alcuni tra i più illustri nomi della medicina del tempo. Dopo una prima conclusione di non darsi luogo a procedere, per mancanza di indizi nel 1901, fu avviato un secondo processo nel 1903. Nel febbraio 1904 si aprì la discussione della causa davanti a tutto il Senato riunito in Alta Corte di giustizia, sotto la presidenza di G. Finali. Dopo un dibattito lungo, reso laborioso anche dalla complessità dei diversi pareri peritali, il D’Antona venne assolto per non aver commesso il fatto. Nella memoria dell’opinione pubblica, però, il nome del chirurgo restò fatalmente legato per molto tempo a quel processo. Negli ultimi anni il D’Antona diede ancora numerose e valide prove delle sue qualità di clinico e di docente, attraverso i molti lavori scientifici propri e dei suoi allievi. Nell’autunno del 1912 comparvero i primi segni di una grave malattia. Le sue forze declinarono in breve tempo, ma egli resse l’insegnamento ancora per tutto un anno accademico. Nell’estate seguente le sue condizioni di salute si aggravarono. Morì in Napoli il 21 dic. 1913.

Bibl.: Necrol. in Annuario d. Univers. di Napoli, 1914-15, pp. 295-301; G. Pascale, La chirurgia moderna e la scuola napoletana (PalascianoGallozziD’Antona), in Annali di chirurgia, VI (1927), pp. 1-63; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, p. 315; L. Torraca, Il processo D.,in La Riforma medica, LXV (1950, 34, pp. 931-37; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 1062; I. Fischer, Biograph. Lex. der hervorragenden Ärzte…, I, p. 32; Encicl. Ital., XII, p. 351

Estratto da Giuseppe Armocida, http://www.treccani.it/enciclopedia/antonino-d-antona_(Dizionario-Biografico)/

1894. A. D’antona, La nuova Chirurgia del Sistema Nervoso Centrale (Cervello, Cevelletto, Midollo Spinale), Lezioni dettate nell’Ospedale Clinico di Napoli raccolte e pubblicate dal Dr. Giuseppe Janni. Vol. II. Con 5 figure intercalate nel testo. Napoli, Tipografia Angelo Trani, 1894.

 

 

 

 

1894. RAMON Y CAJAL SANTIAGO (1852-1934)

Santiago Ramón y Cajal nacque nel 1852 a Petilla de Aragón, una piccola località di montagna della regione spagnola di Navarra. Fu il primogenito di Antonia Cajal Puente, figlia di un tessitore, e di Justo Ramón Casasus, medico chirurgo. La formazione medica del padre fu affidata a un medico di campagna che lo iniziò all’arte del bisturi e, in un secondo momento, alle “barbierie chirurgiche” dove i barbieri di quel tempo rimuovevano anche ascessi, denti e appendici. La coppia ebbe altri tre figli: Pedro, Paula e Jorja. Nel 1860, quando Santiago aveva circa otto anni, uno scioccante evento turbò la quiete del piccolo paesino in cui viveva: un fulmine distrusse il campanile di una chiesa, causando gravi lesioni al parroco e traumatizzando i bambini del paese fra cui Santiago. Ramón y Cajal cominciò quindi a sviluppare un senso di timore nei confronti dell’incontrollabile forza della Natura, accompagnato, tuttavia, da una segreta ammirazione per essa, culminata con l’avvento dell’eclissi totale di Sole dello stesso anno, l’unica completa degli ultimi tre secoli. Questi episodi lo portarono a credere che l’uomo, disarmato di fronte all’incontrastabile potere della Natura, potesse trovare un alleato eroico e poderoso nella Scienza, strumento di previsione e dominio.Nel 1861 per volere del padre, Santiago fu iscritto come alunno esterno, privatista, al collegio degli Scolopi di Jaca per completare gli studi primari e per essere allontanato dalle tentazioni della pittura, della caccia e della vita picaresca alle quali Santiago si dedicava con sempre maggior frequenza. Si trasferì quindi in casa dello zio materno Juan, tessitore. Cajal detestò sin dal principio i metodi didattici del collegio dei religiosi, i quali abusavano di autoritarismo e di castighi corporali. Per curare quelle che suo padre chiamava “deviazioni artistiche e letterarie”, Ramón venne in seguito indirizzato all’apprendistato di barbiere, seguendo le orme del genitore. La barberia dove cominciò era un negozio rudimentale, dove si era soliti discorrere di politica e dove il mastro barbiere, Acisclo, cospirava a favore della rivoluzione repubblicana che scoppiò nel 1868, quando Ramón aveva circa sedici anni e viveva con la sua famiglia ad Ayerbe. Nel 1870 si trasferì con la famiglia a Saragozza dove cominciò gli studi medici. L’anno dopo venne nominato aiutante di dissezione e assistente della cattedra di Anatomia nella Facoltà di Medicina presso l’Università di Saragozza stessa. A 21 anni, nel 1873, conseguita la laurea, venne chiamato a prestare servizio militare e i primi mesi nell’esercito trascorsero nei reggimenti di Burgos e Lerida, fronteggiando gli attacchi dei carlisti. Nel 1874 venne sorteggiato per occupare un posto nella sanità militare dell’esercito a Cuba, provincia spagnola che chiedeva l’indipendenza. In quest’occasione, data la lunghezza del viaggio e il cambio di continente, lo promossero al grado di capitano. … Dopo diverse settimane, dopo aver fantasticato di battaglie gloriose e grandi riconoscimenti, gli risultava insopportabile il fatto che i suoi unici nemici fossero insetti e microbi. Contrasse la malaria, e anche a causa della scarsa alimentazione egli si indebolì con grande velocità. Venne quindi trasferito prima ad Haiti e poi in altri ospedali dove gli fu diagnosticata una cachessia paludica grave e dove lo giudicarono non idoneo per la campagna militare, riportandolo in Spagna.

Recuperata la salute, grazie alla paga ricevuta prestando servizio, Santiago riuscì ad acquistare un microscopio e altri strumenti di micrografia, diversi utensili da laboratorio e sostanze chimiche, reattivi, droghe e materiale bibliografico indispensabile per la messa a punto del suo primo studio neuroistologico. Era il 1875, l’anno della scoperta della sua vocazione scientifica. Era già aiutante della cattedra di Anatomia ma, per un avanzamento di carriera nel campo della docenza, era necessario il dottorato in Medicina, a quel tempo conferito solo dall’università di Madrid. Qui conobbe il cattedratico Maestre San Juan, che lo indirizzò all’amore per l’Istologia e qui, conferita la laurea, iniziò la sua personale ricerca.

Dal 1880 cominciò a pubblicare diversi lavori scientifici tra cui Manual de Histología normal y Técnica micrográfica (1889) e Manual de Anatomía patológica general (1890). Cajal scrisse più di 100 articoli scientifici in francese o tedesco. Alcuni di questi apparvero nel 1888 sulla Revista Trimestral de Histología normal y patológica (Rivista trimestrale di Istologia normale e patologica) e altri apparvero sotto il titolo di Trabajos del Laboratorio de Investigaciones biologicas de la Universidad de Madrid (Studi del Laboratorio di ricerche biologiche dell’Università di Madrid). Nel 1887 il programma medico subì dei cambiamenti presso le università spagnole e l’Istologia, da dottorato qual era, divenne una vera e propria laurea. Si promossero quindi nuove cattedre che portarono Ramón y Cajal a trasferirsi a Barcellona e a Madrid. A Barcellona trovò un ambiente favorevole per organizzare un primo laboratorio dove condurre i propri studi e apprendere la tecnica di tintura cromo-argentea di Camillo Golgi, che gli permise di visionare al meglio dendriti e assoni della rete neuronale. In un primo momento soggiornò in un appartamento economico e modesto presso l’Hospital de la Santa Creu dove si trovava la Facoltà di Medicina, successivamente, invece, si trasferì in una casa lussuosa con un proprio laboratorio e un grande giardino, adatto per tenervi gli animali in corso di sperimentazione. Grazie alla collaborazione con il dottor Rull riuscì ad ottenere un’aula abbastanza grande destinata a dimostrazioni ed insegnamenti di Istologia e Batteriologia, dotata di un buon microscopio Zeiss e di stufe di sterilizzazione. Benché avesse pochi alunni e l’aula fosse molto piccola, riuscì ad insegnare molto meglio a Barcellona che a Madrid, dove invece la massa trepidante di quattrocento alunni turbava l’ordine dell’aula stessa. Ancora poco esperto di Anatomia patologica, decise di approfondire questa branca della Medicina dedicandosi ad autopsie e passando abitualmente alcune ore presso la sala di dissezione dell’Ospedale Santa Cruz dove recideva tumori, studiava le infezioni e i batteri. Quasi tutti i casi clinici qui affrontati, riguardanti i processi di infiammazione ed infezione, i tumori e le degenerazioni dei tessuti, porsero le basi per la redazione del Manuale di Anatomia Patologica Generale pubblicato nel 1890. Sempre a Barcellona entrò a contatto con il Café Pelayo, un caffè dove si riunivano gli intellettuali del tempo, soprattutto professori universitari, per discutere e tenere tertulie. Qui conobbe Victorino Garcia de la Cruz che diventò poi un suo grande amico e che Cajal stesso definì come “uno dei commensali più piacevoli” lì incontrati. I due sostenevano spesso idee differenti ma avevano molte cose in comune come il culto dell’arte e della fotografia. Cinque anni dopo, nel 1892, vinse la cattedra di Istologia a Madrid. Sin dal principio lo impressionarono le abitudini dei nuovi colleghi: in Facoltà, come in generale in tutta l’Università, nessuno prestava attenzione all’altro, nessuno si curava di nessuno, come se in una città così grande come Madrid non vi fosse il tempo di dedicarsi alle relazioni umane. Nonostante ciò anche nella capitale spagnola riuscì a coltivare alcune, anche se pochissime, importanti amicizie come quella con Benito Hernando, cattedratico di Terapeutica: un uomo molto modesto che disprezzava il lucro e i falsi valori e che si dedicava con devozione ed affetto agli amici e alla famiglia. A lui Cajal resterà sempre grato per come lo accolse sin da quando si trasferì a Madrid e per la grande generosità dimostrata nei suoi confronti e in quelli della sua famiglia. Nel 1897 pubblicò l’opera “Regole e consigli sulla ricerca scientifica”, con la quale il grande istologo offriva una serie di consigli ai giovani studenti, cercando di promuovere l’entusiasmo per i lavori di laboratorio. Voleva quindi rafforzare la fede e dissipare i dubbi dei giovani scienziati spiegando quanto fosse importante la preparazione scientifica, quali fossero le peggiori malattie della volontà e del giudizio e, infine, come sviluppare un’indagine con metodo scientifico. “Textura del sistema nervioso del hombre y de los vertebrados” (Tessuto del sistema nervoso dell’uomo e dei vertebrati), la sua opera più importante fu pubblicata nel 1904. L’anno successivo fu segnato dalla consegna di uno dei più importanti riconoscimenti a cui uno scienziato potesse aspirare: la Helmholtz Medal, conferitagli dall’Accademia Imperiale delle Scienze di Berlino. Cajal passò alla storia anche per la polemica dai toni molto accesi con Camillo Golgi. Questa famosa diatriba ebbe un momento culmine nel 1906 durante la giornata dell’assegnazione del premio Nobel per la Medicina che i due condivisero. L’italiano fu il primo ad esporre la teoria della “rete diffusa”, ma Ramón y Cajal intervenne a smentire il predecessore, convinto che ogni neurone costituisse un’unità a sé stante (Teoria del Neurone) per cui le cellule nervose fossero tra loro contigue ma non continue. In particolare, Cajal ipotizzò che una sorta di fenomeno induttivo permettesse la trasmissione dell’impulso nervoso grazie a particolari sostanze tra le cellule. Golgi, freddo e accademico, e Ramón y Cajal, impulsivo ed entusiasta, non resistettero alla tentazione di discutere e difendere le proprie idee anche in un’occasione regale ed ufficiale come quella. Oltre alla teoria dei neuroni, Ramón y Cajal sosteneva anche la legge della polarizzazione dinamica per la quale si spiega la trasmissione a distanza dell’impulso elettrico, il grande ostacolo che la teoria dei neuroni doveva sormontare per spiegare il ricorso a impulsi nervosi ricevuti ed inoltrati dalle varie componenti del neurone. La dimostrazione della teoria del neurone avvenne negli anni ’50 grazie all’utilizzo del microscopio elettronico, dando pienamente ragione a Cajal. Nel 1917 pubblicò “Recuerdos de mi vida“, un’autobiografia incentrata sulla propria infanzia e gioventù e sul proprio lavoro scientifico. Nel 1921 uno dei suoi alunni gli diagnosticò una forma di arteriosclerosi. Di età ormai avanzata, Ramon y Cajal accusava anche problemi cardiaci, epatici e nefritici e le sue condizioni peggiorarono notevolmente nel 1934. Lo stesso anno pubblicò “El mundo visto a los ochenta años” e morì il 17 ottobre per delle ustioni che lo portarono alla morte.

Estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Santiago_Ram%C3%B3n_y_Cajal

 

 

 

 

 

 

1894. GIUSEPPE ZUCCARO (…-…), Nuova trefina e nuovo metodo di trapanazione temporanea del cranio.

 

 Nuova trefina e nuovo metodo di trapanazione temporanea del cranio: comunicazione fatta nella seduta 30 marzo alla sezione chirurgica dell’XI. Congresso Medico Internazionale in Roma, del Dr Giuseppe Zuccaro, 1894.

Signori, se c’è una resezione temporanea del cranio, non ce n’è tuttavia una trapanazione temporanea. Questa operazione non può essere eseguita con il trapano abbiamo le trefine così come le abbiamo avute finora. Credendo che sarebbe utile aprire grandi brecce nel cranio, con formazione di lembi osteoplastici, senza causare il minimo scuotimento e agitazione alla scatola cranica e al suo contenuto, ho immaginato un particolare trefina.

Trefina di Zuccaro, da Padula, Chirurgia Cranica, pg. 178.

Vi presento, signori, lo strumento. Ha qualcosa della bussola e della trefina. Consiste di una maniglia e un cilindro d’acciaio, che termina in con un punto quasi conico. A due centimetri dalla punta, un’asta scorre trasversalmente in una finestra quadrata del cilindro verticale e una vite linea fissa il punto desiderato.
Questa barra orizzontale, un vero raggio di un cerchio, porta anche, alla sua estremità, una finestra quadrata in cui si fissa una lama in acciaio resistente, ben temperata, fissabile con una vite. Questa lama realizza con l’asse dello strumento un angolo convergente di quindici gradi e taglia l’osso obliquamente. Lo spessore di questa lama è

 

 

 


 

 

 

1895. FABRIZIO PADULA (1861-1933), Chirurgia Cranica.

 

Padula Fabrizio, di famiglia agiata, compì gli studi presso il liceo classico di Potenza. Conseguito il diploma superiore, si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia a Napoli, laureandosi con il massimo dei voti. Dopo aver vinto un concorso nella Regia Marina, si trasferì a Venezia per prestarvi servizio medico e, dopo quattro anni, si spostò a Roma, insegnando medicina operatoria all’università romana e ricoprendo la mansione di medico del Municipio della capitale. Fu assistente di Francesco Durante a Roma. Libero docente in Anatomia Chirurgica e Medicina Operatoria nel 1896, tra il 1903 e il 1904 vinse i concorsi per la cattedra di medicina operatoria alle università Palermo, Genova e Napoli, optando per quest’ultima. Dal 1904 occupò la cattedra di Medicina Operatoria a Napoli. Accanto alla docenza nell’ateneo napoletano, Padula, durante la prima guerra mondiale, prestò servizio come capo reparto di chirurgia nell’ospedale di Marina di Napoli e poi come consulente medico di Corpo d’Armata, con il grado di maggior generale.

Fu anche consulente delle ferrovie, curando i ferrovieri con minori corrispettivi, e prestò la mansione gratuitamente a favore dei ceti meno abbienti. Oltre alla fama di chirurgo, Padula fu anche scultore e pittore, come ne fanno testimonianza le opere nella sua “Villa delle Fate” a Capodimonte e “Villa Padula” poi “Hotel Garden” a Pineto (TE, stupenda costruzione in stile veneziano a ridosso della Pineta Litoranea Pinetese, entrambe le ville sono state edificate agli inizi del Novecento. Si spense a Napoli nel 1933.

Sono da ricordare di lui gli studî sul ginocchio valgo statico (1882), sulle vie che debbono seguire i proiettili penetranti nell’orbita (1887), sulla fisiopatologia del cammino dopo asportazione dello sciatico (1889), sulla fisiopatologia del cuore e dei grossi vasi dopo pericardiectomia (1890), sull’ernia crurale, ecc.; i volumi sulla chirurgia cranica (Roma 1896), e sull’anatomia chirurgica dell’arto superiore (Roma 1904; quello sull’inferiore rimase incompiuto).

Estratto da: Mario Donati, http://www.treccani.it/enciclopedia/fabrizio-padula_%28Enciclopedia-Italiana%29/ ,  e   https://it.wikipedia.org/wiki/Fabrizio_Padula

1905. Fabrizio Padula, Chirurgia Cranica, Le operazioni che si praticano sulle ossa del cranio, metodi e processi operatori relativi. Roma, 1905.

Visionare tutto il libro al link: https://archive.org/details/b21698788/

 

 

 

 

1895. GIOVANNI MINGAZZINI (1859-1929), Il cervello in relazione con i fenomeni psichici.

 

MINGAZZINI Giovanni, nacque ad Ancona il 15 febbraio 1859 da Ferdinando, ingegnere, e da Cesira Franceschelli. Nella prima età si trasferì con la famiglia a Roma. Immatricolato nell’anno 1877-78 presso la Facoltà Medica dell’Università di Roma, già da studente dimostrò interesse per gli studi di anatomia frequentando l’istituto di F. Todaro, con il quale si laureò nel 1883. In quell’ambiente compì le sue prime esperienze, nutrendosi a una scuola aperta all’avanzata delle dottrine evoluzionistiche, in cui prendeva vigore un movimento positivistico di interpretazione biologica dei dati anatomo-fisiologici e in cui ricevevano impulso gli studi di embriologia comparata. Per l’impegno profuso in qualità di giovane neolaureato, il Mingazzini fu insignito dei premi Corsi e poi Maggi. In quegli anni coltivò anche un’esperienza clinica, addestrandosi all’esercizio pratico della medicina negli ambienti ospedalieri: dopo la laurea, infatti, il Mingazzini aveva intrapreso la carriera ospedaliera nell’arcispedale romano di S. Giovanni, ottenendo presto, tuttavia, di poter privilegiare gli studi e la carriera accademica. Divenuto nel 1885 assistente nell’istituto anatomico diretto dal suo maestro, nel 1889, conseguì la libera docenza in anatomia umana normale.

Il Mingazzini si era perfezionato con una esperienza biennale a Monaco di Baviera, presso il laboratorio del manicomio di quella città. Con Todaro aveva affrontato gli aspetti anatomici e fisiologici del sistema nervoso, raggiungendo presto una riconosciuta competenza anche in campo clinico-neurologico. Le prime pubblicazioni, che risalgono al periodo trascorso nell’istituto di anatomia, affrontano quasi esclusivamente lo studio del Sistema Nervoso Centrale. Poco dopo la laurea, nel 1884, il M. aveva già dato alle stampe un piccolo manuale di anatomia che conobbe una ristampa nel 1889 (Manuale di anatomia degli organi nervosi centrali dell’uomo: ad uso dei medici e degli studenti di medicina, Roma 1889). Mentre si inseriva nella corrente biologica di interpretazione anatomo-fisiologica, il Mingazzini non perdeva il contatto con l’insegnamento di J. Moleschott e poi di L. Luciani, e di G. Sergi per quel che riguardava il settore antropologico, coltivando specialmente gli studi di morfologia e istopatologia cerebrale. Tali interessi lo condussero all’ospedale romano di S. Maria della Pietà nella sua sede della Lungara, dove era stato chiamato come settore anatomopatologo nel 1891 e dove fondò un laboratorio anatomopatologico particolarmente avanzato nelle indagini strumentali, che presto si avvalse di una ricca collezione di preparati istologici. Se dapprincipio aveva subito una forte impronta di stampo evoluzionistico, in un secondo momento il Mingazzini non rimase indifferente alle proposte del neocostituzionalismo, aderendo a un modello che si andava affermando allora nella scienza medica italiana. Nel 1905 subentrò a C. Bonfigli nella carica di direttore del manicomio, mantenendo l’incarico fino al 1924, anno della chiusura. Non smise per questo l’insegnamento universitario: dopo la libera docenza in anatomia normale, nel 1894 conseguì anche quella in neuropatologia e psichiatria. L’incarico ufficiale gli venne nel 1896, quando successe a E. Sciamanna nell’insegnamento della clinica di malattie nervose e mentali. Nominato nel 1900 straordinario nella stessa materia, il Mingazzini ottenne l’ordinariato nel 1910; infine, nel 1921, succedendo ad A. Tamburini, divenne direttore della clinica di malattie nervose e mentali, reggendola poi fino al 1929. Sotto la sua direzione, iniziata nel 1905, la clinica neurologica cambiò sede, spostandosi dal manicomio ai locali di patologia medica nel policlinico Umberto I e nel 1924 trovò una collocazione in un proprio edificio nel quartiere universitario.

Il M. è considerato il fondatore della scuola neurologica romana nonché uno fra i massimi interpreti italiani degli studi specialistici raccolti sotto il titolo di «neuropatologia», termine che evidenzia il particolare carattere anatomo-clinico di tale indirizzo di ricerche. In quattro decenni di attività professionale, sviluppò l’esplorazione minuziosa delle funzioni del sistema nervoso centrale, analizzandone morfologia e fisiologia anche nei risvolti patologici e clinici. È evidente il ruolo che le tecniche anatomiche svolsero nel suo lavoro come strumento privilegiato di conoscenza in ambito neurologico. I suoi studi hanno permesso un avanzamento notevole nel campo della neurologia e anche della psichiatria, settore disciplinare che si andava affermando a Roma con orientamento in senso neurologico, nonostante le difficoltà incontrate per essere riconosciuto in ambito universitario come separato dalla neurologia.

All’atto di nascita della Società italiana di neurologia (Roma, 8 apr. 1907) – evoluzione della Società frenopatica (1861) e poi freniatrica (1873) – il Mingazzini fu uno dei due vicepresidenti con E. Morselli, mentre il presidente fu L. Bianchi. In quello stesso anno si tenne la prima riunione della corrispettiva società tedesca (cfr. Note sopra il primo congresso della Società di neurologia tedesca tenuto a Dresda (settembre 1907), in Il Policlinico, sez. pratica, XIV [1907], 44, pp. 1391-1394), la Deutsche Gesellschaft für Neurologie, che si era costituita da pochi mesi con W.H. Erb e H. Oppenheim. Appariva indebolita la tradizione di associare le discipline neurologiche con quelle psichiatriche e la neuropatologia sembrava stringere un nuovo sodalizio con la chirurgia, in particolare con le branche della otorinolaringoiatria e oftalmologia. Nel 1921, riconosciuto ormai come un caposcuola, il Mingazzini inaugurò la neonata cattedra di clinica delle malattie nervose e mentali. Egli si faceva difensore del concetto di P. J. Moebius nella prospettiva di fondare istituti per i malati nervosi poveri (Sulla necessità di ospedali per i malati nervosi poveri, in Il Policlinico, sez. pratica, XXI [1914], 4, pp. 144 s.). La sua personale adesione alla nosologia tedesca risulta anche dalla considerazione delle cefalee come psicosi nevralgiche (si veda la prefazione del M. al libro dell’allievo M.A. Broglio, Contributo allo studio clinico dell’emicrania, Roma 1905), al cui proposito dichiarava di condividere la teoria sulle psicosi «consecutive ad irritazione spinale» delineata da W. Griesinger. Sullo stesso binario, si collegava a Griesinger e H. Schüle per quel che riguarda le «disfrenie nevralgiche», rivendicando in diversi lavori l’entità delle «psicosi nevralgiche». Nello Studio clinico sulle psicosi nevralgiche (in sensu lato) – in Riv. sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni menta­li, 1899, vol. 25, pp. 401-444, 563-606, in collab. con G. Pacetti – il Mingazzini ampliava la già abbondante casistica che sembrava provare l’esistenza delle forme psicopatiche in rapporto causale con le nevralgie.

Grazie ai suoi frequenti soggiorni all’estero, rinsaldò i legami con la Germania, e contribuì ad accrescere il prestigio della scienza medica italiana anche in altri Paesi d’Europa e in America. Nel settembre 1887 aveva partecipato al XII congresso dell’Associazione Medica Italiana tenutosi a Pavia, presentando nella sezione di Anatomia e Fisiologia una serie di osservazioni anatomiche sopra crani e cervelli di criminali e soffermandosi sul valore morfologico dei caratteri atavici rilevati caso per caso (Sopra 30 crani ed encefali di delinquenti italiani, ibid., 1888, vol. 14, pp. 1-48). Già in questo lavoro si delinea una tesi che appare sostanzialmente differente da quella di C. Lombroso, in quanto faceva procedere le deduzioni in senso inverso a quello descritto da Lombroso, dalle evidenze anatomopatologiche a quelle di ordine clinico, talché le tare degenerative sarebbero consistite negli esiti di anomalie e arresti di sviluppo contingenti, piuttosto che ereditari o costituzionali. Già in questa fase del suo lavoro, il Mingazzini appare attento ai dati rigorosi dell’osservazione morfologica e dell’esperimento, dati che S. Maria della Pietà forniva in abbondanza soprattutto dopo che negli anni del suo primariato come anatomopatologo, diede un forte impulso alla pratica dell’autopsia. Il primo gabinetto fisiopatologico, che con lui divenne il laboratorio di anatomia patologica, fu eletto a cenacolo prediletto da un gruppo di neurologi che era in stretti rapporti scientifici con la scuola neuropatologica di Monaco, diretta da Franz Nissl. Il suo interesse per la neuropatologia tedesca si riversò anche sul patrimonio librario del laboratorio, che il Mingazzini arricchì di una serie di traduzioni di opere straniere (cfr. 1800-1950. Un catalogo per la pazzia. La Biblioteca «Cencelli» del Santa Maria della Pietà in Roma, Manziana 1992).

Campo di interesse prediletto del Mingazzini rimase quello anatomico, eccellendo per completezza e sicurezza di conoscenze. Studiò la fine struttura del nucleo e delle connessioni con le fibre arciformi del bulbo. Si dedicò allo studio del nucleo lenticolare e della regione prelenticolare (Sulla sintomatologia delle lesioni del nucleo lenticolare, Riv. sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali, 1901, vol. 27, pp. 68-93, 484-503; 1902, vol. 28, pp. 317-389), arrivando a stabilire l’esistenza di una nuova sindrome putaminale acuta chiamata anche «emiparesi lenticolare di Mingazzini», dovuta alla lesione di quella parte anatomica. Sulla scorta di numerosi preparati anatomici da tagli seriali praticati tra il ponte e il nucleo lenticolare dimostrò che le emiparesi dovute alla lesione del nucleo non sono sempre causate dal danno delle fibre motrici della capsula interna, potendo venire dalla distruzione di fibre supplementari associate alla via piramidale o al fascicolo rubrospinale. Indagò il decorso delle fibre cerebello-ponto-cerebellari, ampliando le conoscenze anatomiche delle stazioni di raccordo di quel complesso sistema (Intorno al decorso delle fibre appartenenti al pedunculus medius cerebelli ed al corpus restiforme, in Arch. per le scienze mediche, XIV [1890], 11, pp. 245-262). Le afasie furono un tema molto discusso dal Mingazzini che, d’accordo con S.E. Henschen, sostenne la dottrina per la quale nei primi anni di vita la funzione del linguaggio è comune ai due emisferi, subendo in un secondo tempo la perdita funzionale dell’area destra di Broca, con l’arresto delle connessioni all’area acustica di sinistra (Le afasie, Roma 1923). Al Mingazzini si lega un argomento che porta il suo nome, nel quale le vie fasico-motorie provenienti dall’emisfero destro si incrociano con quelle di sinistra, originando un fascio di fibre verbo-articolari che hanno il compito di trasportare ai nuclei bulbari il segnale motorio corrispondente alla immagine verbale ricevuta dalle fibre motorio-fasiche (Note cliniche ed anatomo-patologiche sopra la sede delle vie verbofasiche e verboartriche, Firenze 1916). Attraverso i reperti anatomopatologici e in base alla contemporanea osservazione clinica, egli riscontrò oltre a una afasia sensoriale pure una contrazione del linguaggio parlato nei pazienti con perdita bilaterale dell’area di Broca, con una emissione quasi esclusivamente monosillabica. Tale constatazione gli consentì di sostenere l’idea che l’area di Broca dovesse conservare il ricordo delle immagini motorie prodotte non già dalle parole ma dalle singole sillabe, poi ordinate sulla base dei comandi provenienti dall’area verbo-acustica.

Il Mingazzini affrontò diverse forme degenerative dell’encefalo e si occupò anche della patologia tumorale cerebrale, centrando l’attenzione sulla sintomatologia e ponendo le prime basi per una classificazione clinica dei tumori del lobo temporale (Contributo clinico ed anatomico allo studio dei tumori del lobo parietale, in Riv. sperimentale di freniatria e di medicina legale delle alienazioni mentali, 1898, vol. 24, pp. 655-673; Contributo allo studio dei tumori incipienti della superficie cerebrale e del midollo spinale, ibid., 1901, vol. 27, pp. 912-945). Considerò inoltre un ventaglio molto ampio di neoplasie che colpiscono con maggiore frequenza il Sistema Nervoso Centrale (Ascessi e tumori dell’encefalo. Osservazioni cliniche ed anatomopatologiche …, in Riv. di patologia nervosa e mentale, 1919, vol. 24, marzo-aprile, pp. 65-90; maggio-agosto, pp. 129-164). Per svolgere pienamente lo studio sui tumori, negli anni Venti si era recato al manicomio di Amburgo dove poté studiare, esaminare e fotografare una coppia di cervelli di scimmie antropomorfe, utili per le sue ricerche comparative specialmente in rapporto alle varietà morfologiche delle solcature e all’insula.

Il lavoro sui tumori occupò gli ultimi anni di attività del Mingazzini e la sua morte impedì la desiderata pubblicazione di uno specifico trattato. Aveva affrontato l’esame del Cervelletto con riguardo alla sua duplice funzione di accumulatore di forza e di regolatore della sinergia dei movimenti, redigendo quella classificazione delle lesioni croniche del cervelletto che venne poi unanimemente accettata.

Pubblicò alcuni lavori sull’infezione da sifilide e sulle sue conseguenze per l’asse cerebro-spinale, nel periodo in cui si aprivano le vie di una efficace terapia (La cura del Salvarsan nella sifilide nervosa, e la reazione di Wassermann, in Il Policlinico, sez. pratica, XVIII [1911], 49, pp. 1545-53) e fu tra i primi in Italia ad applicare la malarioterapia nella demenza paralitica. Aveva studiato il decorso del Nervo Ipoglosso, esplorandolo nelle scimmie e giungendo alla definizione precisa dei gruppi di cellule che innervano le corde e il velopendulo. Uno dei suoi ultimi lavori fu quello sul callosum, dove raccolse le nozioni anatomiche, fisiologiche e cliniche sulla importante via commensurale dell’encefalo (Der Balken. Eine anatomische, physiopathologische und klinische Studie, Berlin 1922). Nella sua vasta produzione scientifica trovò spazio anche una certa attenzione alle problematiche criminologiche, che allora venivano anche indagate con gli strumenti della neuromorfologia (Sul significato della depressione parieto-occipitale, in Riv. sperimentale di freniatria e di medicina legale, 1892, vol. 18, pp. 122-127).

Il Mingazzini aveva partecipato alle attività della Società freniatrica e più in generale al movimento freniatrico italiano, ma anche in psichiatria difese sempre l’autonomia dell’organicismo cui aderiva, fondato innanzitutto sui rilievi anatomoclinici. Pur simpatizzando con Lombroso, con il quale collaborò al volume La perizia psichiatrico-legale (Torino 1905), il Mingazzini non si mostrò particolarmente sensibile alle teorie lombrosiane, mantenendosi aderente a criteri puramente anatomopatologici e neurologici che non permettevano astrazioni e generalizzazioni criminologiche. La distanza che mise tra il suo pensiero ed altre correnti che fiorivano all’interno dell’antropologia, con ripercussioni evidenti sulle predisposizioni medico-legali e psichiatriche, emerge bene nel saggio Il cervello in relazione con i fenomeni psichici (studio sulla morfologia degli emisferi cerebrali dell’uomo), Torino 1895, dedicato significativamente a Todaro. Nel saggio, oltre a raccogliere quanto fino allora prodotto sulla correlazione tra organi e funzioni cerebrali, presentava i punti salienti di una letteratura che negli ultimi anni si era occupata dei fenomeni cerebrali di carattere psichico. Il Mingazzini si muoveva con certa disinvoltura nel campo della morfologia della corteccia cerebrale, cercando tra le solcature la stimmate somatica della sospetta degenerazione tra le razze allora dette «inferiori» oppure tra le differenze di sesso. Dalle comparazioni riportate in numerose figure e quadri sinottici, non risultavano segni netti a favore delle ipotesi biologiche sostenute da una parte del consorzio scientifico, neppure nei casi del delinquente, dell’idiota, del sordomuto o dei microcefali nei quali le abnormità del cervello avrebbero dovuto essere state dominanti. Tra i due fronti opposti, sostenendo gli uni il ruolo dell’atavismo, gli altri quello della condizione patologica nella degenerazione, il Mingazzini trovò un ragionevole compromesso affermando la necessità di entrambe le cause. In tal modo ridimensionò il campo della antropologia criminale, indebolendo le basi della classificazione dei «tipi» della scuola criminale positiva.

Maestro autorevole e sempre attivo in campo accademico, il M. diede vita a una scuola compatta e internazionalmente riconosciuta. Fra i suoi allievi si contano G. Amantea, A. Clementi e G. Perusini, nonché il suo primo assistente, G. Fumarola, che gli dedicò lo studio sulla Diagnostica delle malattie del sistema nervoso (Roma 1922), in cui veniva chiaramente esemplificato l’indirizzo della scuola romana, come quella che metteva «al primo posto l’anatomia» e poi a seguire la fisiologia. Il Mingazzini collaborò all’opera curandone la prefazione e due capitoli: il primo sulla Anamnesi e l’ultimo Sulla diagnosi nelle malattie nervose, per cui si atteneva a un esame neurologico molto accurato, ripartito sostanzialmente nelle tre parti della motilità, dei riflessi, della sensibilità, nell’esame del linguaggio sostanziale, delle prassi e dello psichismo. Nei casi più difficili si arrivava comunque a formulare, sulla base del complesso sintomatologico, i tre capisaldi di ogni sindrome morbosa: lo stato, la base e la forma, restando in attesa di qualche segnale che conducesse alla formula diagnostica definitiva clinica e anatomo-patologica. Una delle sue opere più importanti in questo senso, oltre ai numerosi contributi sparsi su vari argomenti, è la raccolta di Lezioni di anatomia clinica dei centri nervosi (illustrate con numerose figure nel testo e una tavola separata) ad uso dei medici e degli studenti (Torino 1908), che divenne poi l’omonimo trattato con due edizioni ravvicinate (Anatomia clinica dei centri nervosi, ibid. 1908 e 1913), la seconda delle quali accresciuta di quasi un terzo rispetto alla prima. Il Mingazzini morì a Roma il 3 dic. 1929.

Fonti e Bibl.: Necr., A. Piazza, G. M., in Rendiconti dell’Ist. marchigiano di scienze, lettere ed arti (Ancona), V-VI (1929), pp. 25-27; E. Riva, Prof. G. M., in Riv. sperimentale di freniatria, LIII (1929), pp. 546 s.; G. Fumarola, G. M., in Il Policlinico, sez. pratica, 1929, n. 51, pp. 1900-1902; E. Medea, G. M. Cenno necrologico, in Rendiconti dell’Ist. lombar­do di scienze e lettere, s. 2, LXII (1929), pp. 805-807; G. Fumarola, G. M., in Annuario della R. Università degli studi di Roma 1928-1929, Roma 1929, pp. 449-452. Si vedano inoltre: C. Ferrio, La psiche e i nervi. Introduzione storica ad ogni studio di psicologia, neurologia e psichiatria, Torino 1948, p. 347; A. Alessandrini, G. M. (1859-1929), in Minerva medica, XLVIII (1957), 94, pp. 3962 s.; A. Pazzini, La storia della facoltà medica di Roma, Roma 1961, I, pp. 229 s.; II, p. 512; F.M. Ferro et al., M. e i neuropsichiatri della Scuola romana tra ’800 e inizio del ’900: analisi delle cartelle dell’ospedale S. Maria della Pietà, in Lo sviluppo storico della neurologia italiana: lo studio delle fonti, a cura di G. Zanchin – L. Premuda, Padova 1990, pp. 171-180; O. Scarpino et al., Originalità del contributo di G. M. allo sviluppo della neurologia, ibid., pp. 233-241; C. D’Angelo, La nascita e gli sviluppi del «Laboratorio di anatomia patologica ed istopatologia», in L’ospedale S. Maria della Pietà di Roma, Bari 2003, II, pp. 267-270; F. Liggio, Il laboratorio di anatomia patologica ed istopatologia dell’ospedale psichiatrico provinciale «Santa Maria della Pietà» di Roma dall’inaugurazione della nuova sede in Monte Mario (1914) alla definitiva chiusura (1995), ibid., III, pp. 189-200; G. Alemà, Profili e idee: M., Cerletti e Gozzano, in Atti del XXXVIII Congresso della Società italiana di neurologia, Firenze … 2007 (pubbl. on line: http//syllabus.neuro.it/2007); Enc. Italiana, XXIII, p. 361.

Estratto da G. Rigo – G. Armocida, http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-mingazzini_(Dizionario-Biografico)/

 

1895. Giovanni Mingazzini, Il cervello in relazione con i fenomeni psichici (studio sulla morfologia degli emisferi cerebrali dell’uomo), con un’introduzione del prof. Sergi e 43 figure. Torino, Fratelli Rocca Editori, 1895.

 

 

 

 

 

 

1896. FREUD SIGMUND (1856-1939) e la nascita della Psicoanalisi.

Sigismund Schlomo Freud nacque nel 1856 e si trasferì a Vienna con la famiglia nel 1860, a causa di sconvolgimenti politico-economici. … Il giovane Sigmund non ricevette dal padre un’educazione tradizionalista, eppure già in giovanissima età si appassionò alla cultura e alle scritture ebraiche, in particolare allo studio della Bibbia. Questi interessi lasciarono notevoli tracce nella sua opera, anche se Freud divenne presto ateo e avversò tutte le religioni, come lui stesso ben esplica nel suo L’avvenire di un’illusione. Nella Vienna di quel periodo erano presenti forti componenti antisemite e ciò costituì per lui un ostacolo, che non riuscì però a limitare la sua libertà di pensiero. Dalla madre e dal padre ricevette i primi rudimenti. Poi fu iscritto ad una scuola privata e dall’età di nove anni frequentò con grande profitto per otto anni l’Istituto Superiore “Sperl Gimnasyum”. Sino alla maturità, conseguita a diciassette anni, dimostrò grandi capacità intellettuali tanto da ricevere una menzione d’onore. Nel 1873 si iscrive alla facoltà di medicina dell’Università di Vienna rettore Karl von Rokitansky . Durante il corso di laurea maturò una crescente avversione per gli insegnanti che considerava non all’altezza; offeso per essere discriminato in quanto ebreo sviluppò un senso critico che, di fatto, ritardò l’ottenimento della sua laurea in Medicina e Chirurgia (conseguita nel marzo 1881). Successivamente lavorò nel laboratorio di zoologia diretto da Ernst Wilhelm von Brücke, qui prese contatto con il darwinismo, e iniziò la sua amicizia con l’internista Josef Breuer. Il lavoro di ricerca però non lo soddisfaceva e dopo due anni cambiò lavoro e conobbe Brücke, nell’Istituto di fisiologia, dove condusse importanti ricerche nel campo della neuro-istologia degli animali in cui dimostrò che gli elementi cellulari del sistema nervoso degli invertebrati sono morfologicamente identici a quelli dei vertebrati . Freud lasciò l’istituto dopo sei anni di permanenza, anche se le ricerche effettuate gli assicuravano una carriera nel settore, perché era animato da grande ambizione e valutava troppo lenti i successi conseguibili in quel campo. Freud fu enormemente colpito da Brücke, tanto che nella sua autobiografia lo cita come colui che maggiormente influì sulla sua personalità. L’aspirazione all’indipendenza economica lo spinse a dedicarsi alla pratica clinica, lavorando per tre anni presso l’Ospedale Generale di Vienna con pazienti affetti da turbe neurologiche. Questa disciplina, molto più remunerativa, gli avrebbe permesso di sposare Martha Bernays, parente del celebre spin doctor Edward Bernays con il quale Sigmund Freud ebbe una cospicua corrispondenza epistolare. Fu mentre lavorava in questo ospedale, nel 1884, che Freud cominciò gli studi sulla cocaina, sostanza allora sconosciuta. Scoperto che la cocaina era utilizzata dai nativi americani come analgesico, la sperimentò su se stesso osservandone gli effetti stimolanti e privi, a suo dire, di effetti collaterali rilevanti. La utilizzò in alternativa alla morfina per curare un suo caro amico, Ernst Fleischl, divenuto morfinomane in seguito ad una lunga terapia del dolore. Ma, la conseguente instaurazione della dipendenza da essa, più pericolosa della morfina, fece scoppiare un caso che costituì una macchia nella sua carriera, anche in considerazione del fatto che un altro ricercatore, utilizzando i suoi studi, sperimentò la cocaina quale analgesico oftalmico, ricavandone rilevanti riconoscimenti in ambito internazionale. Rinunciò pertanto alle forti aspettative di ricavare successo da queste ricerche. Il caso di Fleischl, che ebbe numerosi episodi paranoidei, nonché allucinazioni e deliri, spinsero il medico a pubblicare il saggio: “Osservazioni sulla dipendenza e paura da cocaina”. Dopo la pubblicazione smise di farne uso e di prescriverla. Nel 1885 ottenne la libera docenza e ciò gli assicurò facilitazioni nell’esercizio della professione medica. La notorietà e la stima dei colleghi gli permise una facile carriera accademica, sino ad ottenere la cattedra di professore ordinario. È sempre di quest’anno la notizia della distruzione delle sue carte personali, avvenimento che si ripeté nel 1907. Successivamente, le sue carte furono attentamente custodite negli “Archivi Sigmund Freud” e gestite da Ernest Jones, suo biografo ufficiale e da alcuni membri del circolo psicoanalitico. Il lavoro di Jeffrey Moussaieff Masson portò chiarimenti e una feroce critica sulla natura del materiale soppresso.

Nel biennio 1885-1886 iniziò gli studi sull’isteria e con una borsa di studio si recò a Parigi, dove era attivo Jean-Martin Charcot. Questi, sia per i suoi metodi che per la sua forte personalità, suscitò notevole impressione sul giovane Freud. Le modalità di cura dell’isteria attraverso l’ipnosi, insegnatagli da Charcot, furono applicate da Freud dopo il rientro a Vienna, ma i risultati furono deludenti, tanto da attirarsi le critiche di numerosi colleghi. Il matrimonio con Martha Bernays era stato più volte rimandato a causa di difficoltà che apparivano a Freud insuperabili e quando, il 13 maggio 1886, riuscì a sposarsi, visse l’avvenimento come una grossa conquista. Nel 1886 iniziò l’attività privata aprendo uno studio a Vienna; utilizzò le tecniche allora in uso, quali le cure termali, l’elettroterapia, l’idroterapia e, tecnica in uso dal 1700 ritenuta in grado di agire sul sistema nervoso, ma priva di risultati apprezzabili, la magnetoterapia. Utilizzò allora la tecnica dell’ipnosi e, per migliorare la stessa, compì un altro viaggio in Francia, a Nancy, ma non ottenne i risultati che si aspettava. Il 23 settembre 1897 venne iniziato nella Loggia Massonica dei Figli dell’Alleanza B’nai B’rith (associazione filantropica ebraica) di Vienna, un anno dopo la fondazione. Freud era professore di neuropatologia, e le teorie sulla psicoanalisi avevano poca eco e considerazione nella scuola di medicina dell’epoca. Una chiave di volta nel processo evolutivo delle teorie di Freud fu l’incontro con Josef Breuer – importante fisiologo che poi, in diverse circostanze, sostenne Freud anche finanziariamente – intorno al caso di Anna O.(Berta Pappenheim). Breuer curava l’isteria della paziente attraverso l’ipnosi nel tentativo di guarirla da sintomi invalidanti tra i quali un’idrofobia psicogena. Sono di questo periodo le prime intuizioni sui ricordi traumatici. Il metodo, definito catartico – che fu descritto nel 1895 in Studi sull’isteria di Breuer e altri – venne successivamente utilizzato in modo sistematico da Freud.

La nascita della psicoanalisi.

Generalmente si usa datare la nascita della psicoanalisi con la prima interpretazione di un sogno scritta da Freud, un suo sogno della notte tra il 23 e il 24 luglio 1895, riportato anche ne L’interpretazione dei sogni come “il sogno dell’iniezione di Irma”. La sua interpretazione rappresentò l’inizio dello sviluppo della teoria freudiana sul sogno. L’analisi dei sogni segna l’abbandono del metodo ipnotico utilizzato in quella fase del suo sviluppo, che a ragione si può definire l’inizio della psicoanalisi. Altri legano la nascita della psicoanalisi alla prima volta in cui Freud usò il termine “psicoanalisi”, cioè nel 1896 dopo aver svolto un’esperienza di 10 anni nel settore della psicopatologia, quando scrisse due articoli nei quali, per la prima volta, parla esplicitamente di “psicoanalisi” per descrivere il suo metodo di ricerca e trattamento terapeutico. La psicoanalisi è la traduzione dal tedesco del neologismo impiegato da Freud dal 1896 per indicare: un procedimento per l’indagine di processi mentali altrimenti inaccessibili; un metodo terapeutico che trae le sue origini dall’indagine psicoanalitica avente per fine la cura delle nevrosi; un insieme di concezioni psicologiche (teoria della psiche). Dopo aver pubblicato l’articolo “Morale sessuale e le malattie nervose moderne”, nel quale espresse le sue riflessioni sulla civiltà, Freud nel 1909 venne invitato negli Stati Uniti insieme allo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung e all’ungherese Sándor Ferenczi. Poco dopo a New York si aggiunse a loro Ernest Jones, giunto dall’Inghilterra. In questo contesto ebbero luce le “Cinque conferenze sulla psicoanalisi”. Freud aveva 53 anni e alla Clark University fu insignito del titolo di Dottore. Inoltre Freud ebbe modo di incontrare il filosofo statunitense William James. Secondo una versione diffusa della storia della psicoanalisi, in Europa il discorso freudiano era tacciato di “delirio”, di ossessione per il sesso e di rovina della società mettendo in piazza indecenze e perversioni. Secondo alcuni, c’era l’impressione che la comunità umana rifiutasse il suo discorso e che volesse ridurre lui e i suoi seguaci al silenzio per impedir loro di nuocere. Questa “folla inferocita” non avrebbe spaventato il medico viennese; anni dopo egli accusò Jung di codardia, invitandolo a non utilizzare più il termine ‘psicoanalisi’ per le sue teorie, basate su una teoria della libido desessualizzata; Jung allora utilizzerà il termine “psicologia analitica”. …

Quando nel 1933 Hitler prendeva il potere in Germania, le origini ebraiche di Freud costituirono un problema. Nello stesso anno, il suo nome entrò nella lista di autori le cui opere dovevano essere distrutte. La situazione diventò seria a partire dal 1938, anno in cui l’Austria venne annessa al Terzo Reich. La figlia Anna fu arrestata brevemente dalla Gestapo; i nazisti cominciarono a vessare Freud, che spesso dette loro somme di denaro per cacciarli da casa propria, dove spesso facevano irruzione. All’inizio si accontentavano di questo, ma presto la situazione diverrà insostenibile. A Freud venne data la possibilità di compilare una lista di persone da salvare dalle leggi razziali e quindi dalla futura deportazione (di cui ancora non si parlava [ufficialmente]) e i nazisti acconsentirono alla sua emigrazione, previo pagamento delle due tasse prescritte a cui Freud riuscì a far fronte, nonostante le finanze e i guadagni fossero in netto declino; nella lista egli non incluse le sorelle (quattro di loro moriranno nei campi di sterminio), ma sua moglie Martha, i figli e i nipoti, le proprie domestiche e il suo medico personale con la famiglia di questi. L’ex paziente e amica Marie Bonaparte gli fornì il denaro per il viaggio e l’appoggio necessario. Freud partì da Vienna insieme a diciassette persone, tra amici e familiari. …

Freud si era ammalato di carcinoma della bocca già negli ultimi anni viennesi: nel 1923 aveva subito due operazioni per una leucoplachia al palato, dovuta al fumo, ma negli anni successivi la lesione ricomparve trasformandosi in un epitelioma del cavo orale, con metastasi ossee, con il quale convisse per 16 anni. Freud fumò sigari per la maggior parte della sua vita, e ciò, probabilmente, favorì l’insorgere della malattia. Nonostante varie cure e ben 32 operazioni[28], alla fine dovette subire l’invasiva asportazione della mascella, che lo costringerà a lavorare quasi esclusivamente in silenzio, effettuando sedute ascoltando solamente i pazienti e all’inserimento di una protesi. Anche in seguito all’asportazione della mascella a causa del cancro continuerà a fumare. Si dice infatti che abbia fumato una scatola di sigari al giorno sino alla morte. Sull’uso e abuso di cocaina da parte dell’illustre studioso della psiche parimenti molto si è dibattuto. Nel 1939, un anno dopo essere giunto a Londra e aver subito l’ultima operazione e la radioterapia, il cancro era in fase terminale, e venne dichiarato inoperabile. Il 21 settembre 1939, Freud, consumato fra atroci sofferenze, sul letto di morte mormorò al dottor Max Schur, proprio medico di fiducia: “Ora non è più che tortura e non ha senso” e poco dopo ancora: “Ne parli con Anna, e se lei pensa che sia giusto, facciamola finita“. Freud si affidò al sentimento della figlia e il medico aumentò gradualmente la dose di oppiacei. Morì due giorni dopo, senza risvegliarsi dal sonno tranquillo che la morfina gli aveva provocato. …

Estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Sigmund_Freud

 

Freud Sigmund, fondatore della psicanalisi (Freiberg, Moravia, 1856 – Londra 1939). Le sue teorie hanno avuto un enorme impatto su tutti i settori della cultura (psicologia dell’arte, della religione ecc.) e hanno influito sulle ricerche antropologiche (B. Malinowski, A. Kardiner, M. Mead) e sugli indirizzi di medicina psicosomatica (F. Alexander). … Conseguì il diploma al Leopoldstädter Gymnasium e (1873) s’iscrisse alla facoltà di medicina dell’università di Vienna. Frequentò il seminario filosofico e il corso di logica di F. Brentano, nel primo e secondo anno, accanto alle lezioni di anatomia, chimica, fisica, botanica e zoologia: lo zoologo C. Claus gli affidò una ricerca sulle gonadi delle anguille, da cui nacque una prima memoria, presentata nel 1877 all’Accademia delle scienze. Ma il maestro nel quale s’imbatté, e che assunse per lui il valore di alto esempio intellettuale, fu il fisiologo E. W. Brücke, proveniente dalla scuola berlinese di J. Müller. Nell’Istituto Fisiologico Freud portò a termine alcune ricerche di anatomia microscopica del sistema nervoso, che rivelarono la sua attitudine all’osservazione più che alla sperimentazione. Ma quest’atteggiamento faceva parte, in lui, di un più generale interesse, d’impronta goethiana, per la natura, nonché per gli “enigmi” del mondo e la loro soluzione, come avrebbe notato nel poscritto del 1927 alla memoria Die Frage der Laienanalyse (“Il problema dell’analisi profana”, 1926); e si ricollegava con la sua vocazione giovanile alla “conoscenza filosofica” (soddisfatta in seguito attraverso la psicologia), di cui si trova traccia nell’epistolario col medico berlinese W. Fliess, alla data del 2 aprile 1896. Anche le ricerche eseguite presso Brücke furono pubblicate dall’Accademia delle scienze (1877, 1878 e 1882). Nel 1881, superati gli esami riepilogativi, detti rigorosi, si laureò in medicina e, su consiglio di Brücke, che lo aveva invitato a riflettere sulla sua modesta condizione economica, rinunciò al laboratorio e si avviò alla pratica professionale. Il tirocinio nell’Ospedale Generale di Vienna lo mise a contatto con il clinico medico e neurologo H. Nothnagel e con il neuropsichiatra T. H. Meynert; questi, insieme a Brücke, patrocinarono la richiesta della libera docenza, “Privatdozenz”, in neuropatologia, che Freud conseguì nel luglio 1885, per titoli e dopo un esame orale e una lezione sui fasci midollari del cervello. Nell’Ospedale, aveva intanto conseguito un posto di assistente, che gli assicurava un modesto introito: mentre con la sua generosità J. Breuer, medico e fisiologo di elevato prestigio, con il quale pubblicherà le Studien über Hysterie (“Studî sull’isteria”, 1895), si era sostituito al padre, colpito dalla crisi borsistica del 1873, e non più in grado di aiutarlo. Ma lo sguardo andava ormai oltre la professione; a uscire dalla quale lo aiutò il conferimento di una borsa di studio, che gli consentì di trascorrere alcuni mesi a Parigi, presso J.-M. Charcot, massima autorità europea della neuropatologia. Il periodo trascorso alla clinica parigina della Salpêtrière determinò una svolta, dalla medicina organicistica alla psicologia e psicopatologia: termini che costelleranno le lettere a Fliess, con il sapore della scoperta di una dimensione nuova dell’uomo e della vita. Charcot si affacciava in quegli anni su una patologia nervosa senza lesioni riconoscibili, al cui centro stavano l’isteria e l’ipnosi. Su quest’ultima, le vedute di Charcot e della sua scuola tentavano di sostenere un rapporto con un antefatto traumatico, mentre a Nancy A.-A. Liébeault e H. Bernheim ritenevano che l’ipnosi potesse essere praticata a qualsiasi soggetto, con l’impiego della “suggestione”. Freud restò presso Charcot dall’ottobre 1885 al febbraio dell’anno successivo; andò a Nancy nell’estate 1889, e di fronte alle esperienze di Bernheim intuì l’esistenza di “potenti processi mentali”, esclusi dalla sfera cosciente. Tra i due viaggi, si collocano il matrimonio (1886) con Martha Bernays – conosciuta nel 1882, futura madre dei suoi figli e compagna di tutta una vita – e la fine dell’amicizia con Meynert, segno di una frattura, anche intellettuale; mentre nella pratica professionale Freud aveva reintrodotto il laboratorio, quello fisiologico, mai dimenticato, di Brücke. Le traduzioni in tedesco dei testi di Bernheim (De la suggestion e Hypnotisme) e di Charcot (Leçons du mardi), eseguite rispettivamente nel 1888-89, 1892 e 1892-93, contribuivano a fare di lui il portatore di idee nuove, con il corollario dell’isolamento e dell’ostracismo di ambienti ufficiali. Ma la nascita del Freud psicopatologo avveniva simultaneamente alla maturazione del neurologo, quest’ultima attestata nei primi anni Novanta dai lavori sulle afasie (1891) e sulle monoplegie e diplegie infantili (1891 e 1893). Nel 1893, il nuovo corso si manifestò con l’Étude comparative des paralysies motrices organiques et hystériques, e con la “comunicazione preliminare” agli Studien über Hysterie. La paralisi isterica non è simulata, e deriva dall’isolamento d’una determinata rappresentazione rispetto al flusso psichico: quanto ai suoi rapporti con il sistema nervoso, è “come se l’anatomia non esistesse”. La psiche contiene un “inconscio”, fatto di ricordi traumatici a forte carica affettiva, di natura prevalentemente sessuale. Questa è la griglia teorica, nella quale sono inseriti i cinque casi clinici degli Studi: uno, il più famoso, Anna O. (Berta Pappenheim), di Breuer, gli altri di Freud. All’ipnosi subentrava la tecnica delle associazioni verbali libere da parte del paziente. L’opera usciva, ad amicizia finita tra i due autori: una fine legata, come nel caso di Meynert, a un dissidio sostanziale d’idee tra il neurologo Breuer e un Freud ormai psicopatologo. Proprio sullo sfondo di psicologia, psicopatologia e “metapsicologia” – capace di condurre “dietro la coscienza” – si collocava l’amicizia con l’otorinolaringoiatra berlinese Fliess. A Fliess sottopose schematiche trattazioni dei concetti che venne elaborando, a fondamento della “psicanalisi”. Il termine compare la prima volta nel 1896, in francese e in tedesco, quando la psicologia freudiana ha già chiarito a sé stessa il proprio carattere di teoria non descrittiva, ma causale, interessata alle motivazioni riposte dell’accadere psichico. … Ma non si può ignorare l’importanza, anche a questo riguardo, del tormentato rapporto con C. G. Jung, cominciato nel 1907, impostato in maniera nobile e tuttavia unilaterale da F., e mescolatosi poi con le vicende internazionali del movimento psicanalitico, nelle quali Jung aveva incarnato l’esigenza dell’apertura, scientifica e culturale, dell’analisi. La svolta del 1915 derivò dagli antefatti sommariamente ricordati, e si dette come insegna un termine emerso nel carteggio con Fliess, “metapsicologia”, ma rinnovandone il significato. … E l’inconscio diventava lo stato iniziale, preverbale, della psiche, compreso, in parte più o meno larga, lo stesso Io. Le opere degli anni successivi vanno viste come il soddisfacimento dell’esigenza di rigore definitorio, coerenza e compatibilità, sostituitasi a un’epistemologia diversa, osservativo-fenomenologica. Ciò vale per Jenseits des Lustprinzips (“Al di là del principio di piacere”, 1920), Massenpsychologie und Ich-Analyse (“Psicologia delle masse e analisi dell’Io”, 1921), Das Ich und das Es (“L’Io e l’Es”, 1922), Hemmung, Symptom und Angst (“Inibizione, sintomo e angoscia”, 1926), Die Zukunft einer Illusion (“Il futuro di un’illusione”, 1927) e Das Unbehagen in der Kultur (“Il disagio della civiltà”, 1930). Il passaggio alla seconda topica di Io, Es e Super-Io avvenne propriamente in L’Io e l’Es, mentre con Inibizione, sintomo e angoscia le sindromi ossessive, minacciose per l’organizzazione dell’Io, si portavano al centro dell’osservazione analitica. Anche l’autoconsapevolezza del sistema usciva rafforzata dal nuovo corso, meno vincolato da premesse materialistiche ed empiristiche. … E nel postumo, denso e problematico Abriss der Psychoanalyse (“Compendio di psicanalisi”, 1940), si accennerà ancora al dato inspiegabile della coscienza e all’enigma dello psichico: quello che egli avrebbe certamente ambito di svelare. … È necessario aggiungere le chiusure pregiudiziali e le aperture problematiche, sovente simultanee, fino all’ultimo: come in Der Mann Moses und die monotheistische Religion (“L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, 1939), dove la religione è ricondotta a nevrosi dell’umanità, e fatta subito dopo confluire negli enigmi del mondo, al pari della coscienza e della psiche.

Nei mesi successivi all’annessione dell’Austria alla Germania hitleriana, Freud dovette lasciare Vienna, dove lo studio e l’abitazione di Berggasse 19 (oggi sede del Sigmund Freud Museum) erano divenuti il punto di riferimento per allievi ed estimatori. Partì nel giugno 1938 alla volta di Londra, dove prese dimora in 20 Maresfield Gardens (anche qui, attualmente, ha sede un museo intitolato a Freud). Morì il 23 settembre dell’anno successivo, per gli sviluppi di un carcinoma della mucosa orale, manifestatosi nel 1917, e per il quale era stato sottoposto dal 1923 a interventi chirurgici e protesi. Alla ricorrenza degli ottant’anni, era stato eletto socio corrispondente della Royal Society. …

Il movimento psicanalitico freudiano, dapprima isolato e osteggiato dal mondo accademico e dalla scienza ufficiale, ebbe successivamente universali riconoscimenti. Il 1908 è un anno cruciale: la Società psicologica del giovedì (così venne designato il gruppo che, a partire dal 1902, aveva preso a riunirsi in casa di Freud e del quale facevano parte, fra gli altri, A. Adler, M. Kahane, R. Reitler, W. Stekel e, in un secondo momento, P. Federn, M. Steiner e O. Rank) si trasforma (15 apr.) in Società psicanalitica di Vienna, presieduta dallo stesso Freud; K. Abraham dà vita alla Società psicanalitica di Berlino e, a Salisburgo, si tiene il primo congresso internazionale di psicanalisi, che vede anche, però, il sorgere dei primi dissapori all’interno del movimento, soprattutto tra la componente viennese e quella zurighese, di cui il rappresentante di maggior spicco era Jung. Nel 1909, accogliendo un invito dell’anno precedente esteso anche a Jung da parte di S. Hall, F., con Jung e G. S. Ferenczi, si recò negli USA per un corso di lezioni alla Clark University di Worcester (Massachusetts). L’affermazione della psicanalisi negli S.U.A. venne sancita dalla fondazione/”>fondazione (1911) della Società psicanalitica americana da parte di E. Jones. Nel 1913 Ferenczi fondò la Società di Budapest. La creazione della Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse (1920), che seguiva l’apparizione di varie altre riviste (tra cui Jahrbuch für psychoanalytische und psychopatologische Forschungen, 1908, e Imago, 1911), segnava la più ampia diffusione della psicanalisi. Il numero dei discepoli di Freud aumentò progressivamente e le sue dottrine uscirono dalla ristretta cerchia degli iniziati, assumendo importanza via via crescente. Ma il movimento fu, sin dai primi anni, contrassegnato da una serie di dissensi interni, che portarono al sorgere di indirizzi diversi, spesso in vivace polemica con le posizioni freudiane originarie. Nel 1911 si ebbe la secessione di Adler, nel 1914 quella di Jung (le due più significative); nel 1912 si era avuta quella di Stekel, mentre successivamente si staccarono da F. anche due dei suoi discepoli più intimi, Rank e Ferenczi. Accanto a queste dissidenze, in tempi più recenti si formarono, specie in America, nuovi indirizzi, i cui principali esponenti furono la K. Horney, E. Fromm e H. S. Sullivan: l’accento venne posto principalmente sull’importanza dell’ambiente e sul condizionamento esercitato dai rapporti interpersonali e sociali sui fattori biologici dell’individuo. Notevole sviluppo, in senso ortodosso, ha poi assunto la psicanalisi infantile, soprattutto con l’opera di A. Freud e di M. Klein. Le teorie freudiane, a parte la loro profonda influenza su tutti i settori della cultura (psicologia dell’arte, della musica, della religione, ecc.), hanno permeato ricerche antropologiche (B. Malinowski, A. Kardiner, M. Mead, ecc.) e indirizzi di medicina psicosomatica (F. Alexander).

Estratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/sigmund-freud/

 

 

 

 

 

 

1896 MAURICE AUVRAY (1968-1945), Les Tumeurs Cérébrales.

 

 Les Tumeurs Cérébrales par Maurice Auvray, prosecteur de la Faculté de Mèdecine, ancien interne laureat des Hopitaux de Paris, membre adjoint de la Societè Anatomique. Avec 29 figures dans le texte. Paris, Librairie Bailliere et Fils, 1896.

1896 AUVRAY -TUMEURS CEREBRALES (scarica il PDF 100MB)

 

 

 

 

 

1897. Trapanazione cranica in Afganistan.

Tra le trbù che abitano le montagne nell’Hindu Kush a nord di Kabul, nel nord-est dell’Afganistan e nel Dardistan, dove l’India del nord incontra il moderno Pakistan, la pratica della cauterizzazione cranica per disturbi alla testa sono stati riportati da Zaborowski (1897). Come in Daghestan e altrove in aree primitive, soprattutto in Africa, l’intervento è molto simile  nell’intento operatorio di trapanare [rimuovere] il tavolato esterno del cranio tagliando, raschiando,  forando e segando.

Estratto da Margetts Edward L., Trepanation of the skull by the Medicine-men of Primitive Cultures, with particular reference to present day native East African practice, in Brothwell Don and Sandson A.T.,  Disease in Antiquity, Charles C. Thomas, 1829, pg. 678.

 

 

 

 

 

1898. PIERRE SEBILEAU (1860-1953), Thérapeutique chirurgicale des maladies du Crane.

Pierre Sebileau (1860-1953) è stato patrigno del chirurgo plastico Léon Dufourmentel. Venne accolto come medico interno all’Ospedale di Bordeaux (dal 1879) e a Parigi (dal 1884) dove in seguito lavorò come prosettore nel 1888. In seguito divenne chirurgo dell’Hôpital Lariboisière specializzandosi nel campo della otorinolaringologia. Nel 1893 divenne professore Associato alla Facoltà di Medicina di Parigi. Oltre ai suoi studi sull’orecchio, il naso e la gola, Sebileau rivolse i suoi studi alle malattie genito-urinarie e ai reni.

Estratto da https://en.wikipedia.org/wiki/Pierre_Sebileau

1898. Pierre Sebileau, Thérapeutique chirurgicale des maladies du Crane, Professeur Agrégé a la Faculté de Medicine de Paris, Chirurgien des Hopitaux. Avec figures dans le texte, Paris, Octave Doin, Editeur, Place de l’Odeon, 8, 1898.

1898 SEBILEAU -THERAP CHIR MALADIES DU CRANE. Scaricare PDF 68 MB

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fig 001Fig. 1 I solchi e le circonvoluzioni cerebrali.

fig 002Fig. 2 I centri corticali motori e sensitivi.

fig 003Fig. 3. I centri motori del lobo fronto-parietale secondo Warnot e Laurent (superficie esterna).

fig 004Fig. 4. I centri motori del lobo fronto-parietale secondo Warnots e Laurent (superficie interna)

fig 005Fig. 5. I centri corticali motori e sensitivi secondo Debove e Achard, 1893.

fig 006Fig.6. Punti di repere della superficie del cranio, secondo Chipault.

fig 009Fig. 9. Topografia cranio-cerebrale secondo Chipault.

fig 010Fig. 10. Trapano di Charriére con la sua corona [sega circolare]. (secondo Chipault)

fig 011Fig. 11. Come si applica il trapano.

fig 012Fig. 12. Trefina a mano (secondo Chipault)

fig 013Fig. 13. Trapano di Poulet.

fig 014Fig. 14. Craniotomo di Poirier.

fig 015Fig. 12. Pinza-trapano di Farabeuf.

fig 016Fig.13. Sgorbia e martello.

fig 017Fig. 14. Spatola di Lannelongue.

 

 

 

 

 

1800 (seconda metà). RACCOLTA DI STRUMEMTI CHIRURGICI

 

Alcuni di questi strumenti, già in uso nell’800, hanno mantenuto la loro efficacia fino alla metà del ‘900.

Trefina marchiata DEMAUREX. Vedi Padula 1895, Auray 1896, Sebileau 1898.

 

Trefina LUER A PARIS. Sul manico è innestata una punta per foro da 16 mm con un meccanismo di blocco regolabile secondo lo spessore della teca. Vedi Treves 1891.

 

Trapano a manovella marchiato GENTILE FRANCE. E’ montata una punta per fori da 6 mm con stop alla profondità regolabile. Accanto, una punta per fori esplorativi nel caso di una emorragia epidurale. Vedi Sebileau 1898, Monod 1904.

 

Punte intercambiabili con meccanismi di regolazione della profondità del solco sulla base dello spessore della teca da utilizzare con un trapano a manovella e adatti a produrre fori cranici da 18 o 23 mm. Vedi Sebileau 1898, Monod 1904.

 

Pinza ossivora adatta anche alla asportazione  o sollevamento di frammenti affondati.

 

Pinza ossivora a cucchiaio marchiata GENTILE FRANCE. Il piede smusso va inserito sotto la teca, mentre il rebbi superiore, a cucchiaio, è adatto ad asportare un frammento di osso tecale. Vedi Padula 1895.

 

Tenaglia tagliateca marchiata con un “serpente che avvolge un bastone con pomolo sormontato da una corona“. L’uncino si inserisce tra osso e dura e nel serrare la pinza si taglia una fessura nella teca. Gli unicni hanno tre spessori: 1, 1,5 e 2 mm. Vedi Padula.

 

Tenaglia tagliateca marchiata STILLE SWEDEN. Vedi Padula.

 

Tenaglia tagliateca marchiata GENTILE FRANCE. Vedi Padula.