1.19 1951-2006 Neurologia e Chirurgia Cranica / Neurology and Cranial Surgery.

 

1954.  SABIN ALBERT BRUCE  1906-1993

Albert Bruce Sabin (1906-1993) è stato un medico e virologo polacco naturalizzato statunitense, famoso per aver sviluppato il più diffuso vaccino contro la poliomielite. Ebreo, nacque nel 1906 nel ghetto di Białystok, una città polacca che all’epoca faceva parte dell’Impero Russo, emigrò negli Stati Uniti nel 1921 con la sua famiglia, dove, nel 1930, acquisì la cittadinanza statunitense variando completamente il proprio nome e cognome. La famiglia Sabin si stabilì a Paterson, nel New Jersey. Un loro ricco parente si offrì di pagare gli studi in medicina al giovane Albert, in modo che poi egli potesse collaborare con lui nel suo studio di dentista: così, a 20 anni, Sabin era uno studente modello di odontoiatria alla New York University. Un giorno però lesse il libro “I cacciatori di microbi” (di Paul de Kruif), e ne rimase affascinato e decise che avrebbe dedicato la sua vita a quello. L’entusiasmo lo portò così a cambiare studi: passò alla facoltà di medicina (sempre a New York), frequentando con passione e successo i corsi di microbiologia. Intanto coltivava la sua passione anche al di fuori dell’università, raccogliendo microbi dovunque capitasse (stagni, polvere, cassonetti della spazzatura, …).

Microbiologo a Cincinnati. Nel 1931 concluse gli studi conseguendo la laurea in medicina: andò a lavorare presso l’università di Cincinnati, in Ohio, dove sarebbe rimasto 30 anni; dal 1946 venne nominato come capo della Ricerca Pediatrica. Qui, in qualità di assistente del dottor William Hallock Park (celebre per i suoi studi sul vaccino per la difterite), sviluppò ulteriormente il suo interesse per la ricerca medica, in modo particolare nel campo delle malattie infettive. Park divenne mentore del giovane e promettente Sabin, e gli trovò pure una borsa di studio quando il parente dentista si rifiutò di continuare a pagargli gli studi. I suoi studi sulle malattie infettive dell’infanzia lo portarono a fare ricerche su quelle provocate da virus e in particolare sulla poliomielite, che a quei tempi mieteva migliaia di vittime, in particolare su bambini a partire dal secondo anno di vita. La scelta di dedicarsi a questa patologia è comunque da attribuirsi al dottor Park, che, in seguito a un’epidemia di poliomielite a New York convinse il suo giovane microbiologo a riprendere le ricerche su quella malattia (che Sabin aveva già, anche se non approfonditamente, studiato in precedenza).

La poliomielite. La poliomielite, una volta denominata “paralisi infantile”, o più comunemente “polio”, è una malattia virale acuta, altamente contagiosa, con manifestazioni diverse, le più gravi di tipo neurologico irreversibile. Si poteva manifestare in vari modi, di solito il malato era preso da improvvisi attacchi di febbre, seguita dalla paralisi irrimediabile di una parte del corpo, dovuta all’attacco da parte del virus (poliovirus) delle fibre nervose del midollo spinale. Negli Stati Uniti d’America questa malattia aveva ucciso o paralizzato migliaia di cittadini. La lotta alla polio non era comunque nuova negli ambienti di ricerca medica, e durava ormai da parecchi anni: nel 1934 due studiosi statunitensi, Brodie e Kolmer, annunciarono la scoperta di un vaccino efficace contro la poliomielite; quando però si procedette alla somministrazione dello stesso, ci furono molte morti. Questo terribile fallimento fece sì che venisse ordinata la sospensione di qualsiasi ricerca ufficiale sul vaccino antipolio, sebbene ufficiosamente molti laboratori continuassero nelle ricerche. Il 3 gennaio 1938, con un appello sui quotidiani, Franklin Delano Roosevelt, allora presidente degli Stati Uniti, colpito da una paralisi che in quel momento fu diagnosticata come dovuta a poliomielite (mentre finora ci sono delle riserve su questo punto) creò la National Foundation for Infantile Paralysis (NFIP). Lo scopo della NFIP era la raccolta di ulteriori fondi per la lotta contro la poliomielite, per accelerare la ricerca di un vaccino e l’aiuto ai malati. In seguito l’opera caritatevole delle NFIP prese il nome di “marcia delle monetine” (March of Dimes): il 20 gennaio di ogni anno (in occasione del compleanno di Roosevelt) tutti i cittadini statunitensi erano invitati a versare un dieci centesimi (un “dime”, decino, è la moneta da 10 centesimi di dollaro) per combattere la polio. La campagna si avvalse di numerose collaborazioni di celebrità di quel tempo. In questo modo furono raccolti milioni di dollari, e la NFIP poté così finanziare ulteriormente le ricerche per un vaccino efficace e sicuro.

Il primo successo e la guerra. Nel 1939 Sabin annunciò alla comunità scientifica la sua prima e importantissima scoperta sulla natura del virus poliomielitico (che attaccava le fibre nervose): dimostrò infatti, contrariamente a quanto creduto fino ad allora, che la sede prediletta di tale virus era l’intestino. Si trattava quindi di un virus enterico e non respiratorio, e la conoscenza del “terreno” dove si sviluppava era un dato fondamentale per la ricerca di un farmaco che lo debellasse. Mentre Sabin proseguiva con le sue ricerche in Europa scoppiò la Seconda guerra mondiale, durante la quale egli perderà anche due nipotine (che non conobbe mai), Amy e Deborah, uccise dalle SS tedesche a Białystok. Quando anche gli Stati Uniti entrarono in guerra Sabin lasciò Cincinnati per entrare nell’esercito: sbarcò prima in Sicilia e successivamente a Okinawa (in Giappone), dove installò un laboratorio da campo. Nel 1947 Sabin, di stanza a Berlino assistette, mentre si occupava dell’ospedale militare, a una terribile epidemia di polio che colpì moltissimi bambini della semidistrutta ex capitale del Terzo Reich.

La ricerca continua. Tornato negli Stati Uniti d’America Sabin riprese le sue ricerche: per condurre in modo migliore gli esperimenti si dota di un colossale laboratorio, con 10000 topi e 160 scimpanzé. Nel 1949, grazie allo stanziamento di 1.370.000 dollari la NFIP poté varare uno studio multicentrico in varie università statunitensi (compresa quella di Cincinnati, dove lavorava Sabin), mettendo a disposizione dei laboratori decine di migliaia di scimmie. Nel frattempo le epidemie di polio nel mondo aumentarono: in particolare in Europa si ebbe la terribile epidemia di Copenaghen (1952) mentre negli USA si verificarono decine di migliaia di casi. Nel 1953, al Children Hospital di Cincinnati, Sabin, dopo lunghi e faticosi esperimenti su reni di scimmia, aveva finalizzato le ricerche per la messa a punto di una sospensione di virus attenuati. Il vaccino di Sabin, sviluppato in concorrenza a quello dell’immunologo Hilary Koprowski, consisteva nello stesso virus della polio, ma appunto “attenuato”, cioè privato della capacità di provocare la paralisi delle fibre nervose. L’organismo in cui veniva immesso il virus attenuato, di fronte a questa minaccia, produceva allora gli anticorpi adatti. Sabin iniziò allora a testare il vaccino sull’uomo: prima su se stesso, poi su due suoi collaboratori: il dottor Ramos Alvarez (un medico messicano suo assistente), e un tecnico afroamericano che lavorava nel suo laboratorio. I primi esperimenti su vasta scala Sabin li potrà effettuare tra dei giovani carcerati che si erano offerti volontari. Infatti lo scienziato polacco aveva ottenuto, dopo lunghe esitazioni, di poter cercare dei volontari tra i detenuti delle prigioni federali di Chillichote (in Ohio): ne troverà centinaia. Questi primi controlli e i successivi ebbero esito positivo, si passò così ai bambini, e le prime furono proprio le due figlie di Sabin, Amy (5 anni) e Deborah (7 anni), chiamate così in ricordo delle nipotine trucidate dalle SS. Dopo un’ulteriore lunga serie di prove del vaccino Sabin presentò alla Commissione per l’immunizzazione del NFIP i risultati delle esperienze condotte, sulle scimmie e gli scimpanzé del suo laboratorio, e poi su un totale di 242 persone.

Estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Albert_Bruce_Sabin

 

Sabin Albert Bruce. – Medico polacco (Białystok 1906 – Washington 1993), naturalizzato statunitense. Laureatosi alla New York University, lavorò in diversi campi della medicina (batteriologia, anatomia patologica, clinica medica e chirurgica) e in varî ambienti scientifici americani e inglesi; prof. alla Children’s hospital research foundation dell’univ. di Cincinnati. Particolare risonanza hanno avuto le sue ricerche nel campo della microbiologia generale (meccanismi della resistenza ereditaria e dell’immunità contro i virus; studio dei virus oncogeni, ecc.) e applicata (allestimento di vaccini preventivi e di tecniche diagnostiche per alcune malattie, tra cui la toxoplasmosi). S. si dedicò in particolare agli studî sulla poliomielite. Nel 1936, in collaborazione con P. Oitsky, riuscì a coltivare su un tessuto nervoso il poliovirus e a dimostrarne la primitiva localizzazione a livello del tubo digerente. Intorno al 1953 ottenne da tre ceppi dello stesso virus mutanti adattativi sprovvisti di azione patogena ma tuttavia capaci di moltiplicarsi nell’organismo umano e di indurre, quindi, uno stato di immunità. In tal modo S. poté allestire nel 1956 un vaccino antipoliomielitico attivo per via orale, che trovò un impiego di massa dal 1961 e rappresentò un ulteriore progresso nei confronti del vaccino di Salk (già sperimentato nel 1952 e usato su larga scala dal 1954-55), ottenuto con virus ucciso e somministrabile solo per via parenterale. Premio Feltrinelli (1964) per le scienze mediche e chirurgiche applicate.

Estratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/albert-bruce-sabin/

 

Steigman A.J., Sabin A.B., Antibody response of patients with poliomyelitis to virus recovered from their own alimentary tract, Exp. Med., 1949, wept 30, 90(4), pg 349-372.

… Discussion. The data presented in this communication permit a better understanding of
the immune response of human beings to infection with poliomyelitis virus.
It can be concluded first of all, that when tests are performed with virus derived
from the patient’s own alimentary tract, it is possible in each instance to demonstrate
that antibody, specific for this strain, either develops or increases in
titer early during the course of infection. The totally unexpected finding that,
as early as 12 to 24 hours after appearance of the first symptom of illness, the
undiluted serum of 7 of the 9 patients was capable of neutralizing the maximum
amounts of the patient’s own virus presented special problems. Thus it became
clear that it was not possible to evaluate the immune response of human beings
to poliomyelitis virus merely on the basis of presence, absence, or slight variations
in amounts of antibody demonstrable in undiluted serum, but that it
would be necessary to investigate it quantitatively by determining the maximal
dilution of serum capable of neutralizing a specified number of infective doses
of virus. At the conclusion of the present investigation Hammon and
Roberts (22) reported similar results in tests on the acute phase sera of 7
paralytic patients, all of which neutralized an undetermined number of infective
doses of the patient’s own virus. These investigators also demonstrated
an increase of antibody titer in sera of 3 patients obtained 45 to 80 days after
onset. The question requiring elucidation was whether the antibody present
soon after onset was specific and the result of a rapid response of the patient to the strain of virus responsible for the illness under investigation, or whether
it was present as a result of a previous infection with a partially related or
even the same strain of poliomyelitis virus. In the present investigation, tests
for Lansing antibody on the same sera showed no correlation with the results
obtained in the tests against the patient’s own virus. Furthermore, the antibody
for the homologous strains of virus was present in the lowest titer during the
acute phase and increased progressively during convalescence, suggesting that
what was found soon after onset might represent the beginning of the antibody
response. However, since no sera were available on these patients prior to the
onset of the present illness, the evidence cannot be conclusive with regard
to the prior origin of the antibody found early after onset.
The pattern of beginning antibody development during the acute phase of the
illness or within 14 days after onset, which this study suggests for human poliomyelitis,
is different from the results obtained in monkeys infected by the
intracerebral or intranasal routes but remarkably similar to those in monkeys
infected by the oral route. Sabin and Olitsky (23) found that the sera of convalescent
paralyzed monkeys failed to neutralize as little as 20 infective doses
of virus at 4 to 5 weeks after the attack and that the antibodies did not appear
until 2 or 3 months after intracerebral or intranasal inoculation of “M.V.”
virus. However, yon Magnus and Melnick (24) showed that after oral or pharyngeal
administration of virus 13 of 17 monkeys, regardless of species, developed
neutralizing antibodies in varying titer by the first day of paralysis. It is perhaps
also noteworthy that the clinical course of the disease in our patients
could not be correlated with the rate of development of homologous antibody,
since improvement and arrest of paralysis occurred early after onset when the
titer of antibody in the serum is low and some weeks before it apparently reaches
its peak. It may appear paradoxical that the only 2 patients without significant
homologous antibody shortly after onset turned out to have a mild non-paralytic
illness, while the 7 patients in the present study as well as the 7 reported by
Hammon and Roberts (22), possessing such antibody, were all paralytic. However,
while it is not certain that future studies will yield similar results, these
observations may perhaps suggest that the rate and quantity of antibody production
as well as the paralytic or non-paralytic outcome of the infection may
depend on the extent of viral multiplication.
One other observation, having a bearing on the significance of the appearance
during convalescence of antibodies for the Lansing virus, is worthy of special
comment. Although most investigations for Lansing antibody in acute and
convalescent sera from patients with poliomyelitis have yielded inconclusive
data, there have been some (12, 13) which might be interpreted as possibly
indicating infection with a Lansing type virus. In the present study, among 24
patients without Lansing antibody during the acute phase, 6 or 25 per cent
were found to have such antibody 3 months later. It was of interest therefore that unlike the early appearance of the antibody for the patient’s own virus,
that for the Lansing virus, with one exception, was absent at 1 month after
onset in those who had it at 3 months. Furthermore, in at least 2 of these, it
was possible to show that the virus recovered from the patient during the acute
phase of the clinically recognizable illness was not antigenically of the Lansing
type. Since the peak homologous antibody response apparently occurs more than
2 weeks after onset, it appeared possible that the late appearance of Lansing
antibody could be the response to a common antigen. However, the possibility
of a subsequent lnapparent or clinically unrecognized infection with a Lansing
type virus must also be considered.

 

Gozzano M., Trattato delle Malattie Nervose, quarta edizione, Vallardi, 1964.

Poliomielite anteriore acuta

 

 

 

 

 

 

 1954. CLIP EMOSTATICHE SECONDO CUSHING.

 

Questa strumentazione era sul tavolo della strumentista dall’apertura alla chiusura delle craniotomie per prendere le clip emostatiche dalla rastrelliera (in basso a sinistra) dove erano state riposte e pronte per essere riprese con la pinza posaclip ed usate per fare emostasi chiudendo piccole arterie soprattutto quelle ai bordi della dura madre.  Vedi Uffreduzzi in Trattato di Tecnica Operatoria, pg 357).

Le clip erano preparate prima degli interventi mediante l’uso di una piattina di argento larga 1 mm e sottile 0,5 mm  che veniva inserita lateralmente alla apertura della pinza fino a battuta. Quindi la pinza veniva serrata e la piattina d’argento veniva tranciata a misura e modellata a V capovolto. Le clip venivano conservate  nella rastrelliera e sterilizzate in modo che fossero sempre pronte per l’uso.

Venivano usare per chiudere piccoli vasi, soprattutto quelli meningei che non si volevano coagulare con l’elettrobisturi.

 

 

 

 

 

1954-1961. Autori Vari. Trapanazioni craniche in Medioriente: Monti Zagros

Una incompleta trapanazione cranica è attualmente [1967] praticata in Persia nel Bakhtiari sui Monti Zagros nell’Iran occidentale in seguito ad una ferita alla testa. L’operazione consiste essenzialmente nel rimuovere i frammenti ossei o nel raschiare il cranio per rimuovere la contusione o controllare il sanguinamento. Il tavolato cranico interno non è raschiato, quindi il foro non è realizzato Roney (1954). Bailey (1961), ha riportato un aneddoto di un amico che ha visitato la tomba di Sir Victor Horsley [Londra 1857-1916, Amārah] in Iraq. Due arabi si avvicinarono conversando e riverarono che essi appartenevano ad una vecchia famiglia che comprendeva dei “trapanatori” per otto o nove secoli.

Estratto da Margetts Edward L., Trepanation of the skull by the Medicine-men of Primitive Cultures, with particular reference to present day native East African practice, in Brothwell Don and Sandson A.T.,  Disease in Antiquity, Charles C. Thomas, 1829, pg. 677.

 

 

 

 

1955-1959. Margetts Edward L. La trapanazione nell’Africa Centrale: Uganda, Tanganica e Zanzibar. Tribù Kisii e Tende in Kenia.

Le esperienze sul campo dell’autore si limitano principalmente all’Africa centro-orientale (Kenya, Uganda, Tanganica e Zanzibar) ed in particolare al Kenya, e si propone ora di presentare con maggiori dettagli sulle pratiche di trapanazione cranica in quella parte dell’Africa.
Un osso parietale che mostrava un buco trapanato fu riferito che era stato trovato a Zanzibar e si diceva che fosse nel museo locale (Ingrams, 1931). Ma non potè essere individuato dal curatore nel 1959. Gli abitanti arabi e gli aborigeni dell’isola in tempi più recenti hanno negato alla famigliarità con una vera trepanazione (Margetts, osservazioni sul campo 1955-9).
La trapanazione cranica è praticata dagli uomini-medico in Somalia (Brotmacher, 1955; Drake-Brockman, 1912). Un certo numero di chirurghi somali interrogati da me nel 1958, vicino al confine tra Kenya e Somalia, nelle vicinanze di Wajir e Mandera, non ammettevano familiarità con l’operazione, ma ciò non significa che la pratica non fosse una consuetudine più a nord, verso il corno d’Africa.
Si dice che la Trepanation sia praticata in Etiopia sebbene gli abitanti di Moyale non ne fossero a conoscenza.

I Ganda (Baganda, Waganda), Nkole (Banyankole) e Soga (Basoga) dell’Uganda hanno trattato il mal di testa tagliando nell’osso e poi cauterizzando (Fisher, 1911; Roscoe, 1921-23), e si diceva che per le fratture del cranio i Soga non esitassero ad operare e sondare per rimuovere frammenti di osso (Roscoe, 1924). Queste tribù, abbastanza acculturate, sono inclini a essere particolarmente reticenti nel divulgare informazioni “tribali”, ma per quanto si possa accertare, a quanto pare oggi non trapanano nel solito senso di perforare il cranio intatto (mie osservazioni sul campo 1955-9). I Lugbara (Lugbari, Lugwari, Laccara, Logbwari, Lugbwara, Louagonare, Lubare, Lugori, Lugwaret), nel nord-ovest dell’Uganda, a nord del lago Alberta, trapanano la testa “per far uscire lo spirito malvagio che stava causando un mal di testa intrattabile”. L’operazione è stata eseguita con un coltello con un manico da quattro pollici [10 cm] e una lama da quattro pollici con doppio tagliente e punta a punteruolo (Hailstone, 1961). Il cranio forato di un uomo che è morto dopo l’operazione è stato donato dal Dr. John E. Hailstone al Wellcome Museum, dove è esposto (Fig. 2a, b).

In Sudan, al confine tra Kenya e Uganda, a nord-ovest ad ovest del lago Rodolfo, vivono i Topotha (Toposa, Taposa, Tabosa, Dabosa, Dabossa) e Driberg (1929) che aveva visto l’operazione di trapanazione fece notare a loro l’avevano effettuata con “molta efficenza”.
Altri medici e antropologi con esperienza in Uganda e in Sudan non sembrano avere familiarità con la trapanazione dei Lugbara e Topotha (corrispondenza).

Trapanazione dei Kisii e dei Tende.

Sin dai primi giorni della colonizzazione britannica e tedesca, e senza dubbio prima, i guaritori nativi tradizionali sulle colline a est del lago Vittoria hanno operato sul cranio. I medici, la polizia e i magistrati del servizio coloniale hanno documentato a lungo la pratica nei fascicoli del governo. La trapanazione nel senso più stretto, che fa un buco nel cranio intatto, è ancora eseguita lì da due tribù Bantu, i Kisii (Gisii o Gusii) del sud di Nyanza in Kenya, e, in misura minore, i Tende (Watende , Butende, Kulia, Kulya, Kuria, Kurya, Bukuria, Abakuria) più a sud e verso il Tanganica. Non si comprende come l’abitudine della trepanazione sia diventata così frequente in questa zona dell’Africa orientale. La pratica fu forse introdotta da un paziente itinerante o da un uomo-medicina nativo, e fu continuata e promossa come un’usanza locale incapsulata dalla geografia e dalle limitate migrazioni nell’area. Mentre i funzionari del governo hanno sempre saputo della pratica di trapanazione del cranio da parte di uomini-medicina nativa, a Kisii, apparentemente l’usanza non fu registrata in altre fonti diverse dal governo fino al 1958 (Coxon, 1962; Grounds, 1958; Margetts, 1958-61 ). (Nota. È ora disponibile un filmato dell’operazione di un Kisii che trapana il cranio di un soggetto umano. “Maganga”, distribuito da Warner-Chilcott Laboratories, Morris Plains – New Jersey).

L’operazione negli altopiani di Kisii.

La trapanazione cranica negli altopiani di Kisii viene effettuato principalmente per il mal di testa (ogwatigwa omotwe; testa omotwe; dolore acuto, ogwatigwa) (Nota. Nel dialetto Kisli o Kiswahili non ci sono termini specifici per “trapanazione”, la terminologia è puramente descrittiva) dopo un trauma alla testa, con o senza frattura del cranio.
La trapanazione non viene normalmente eseguita per mal di testa senza precedenti ferite alla testa, e l’operazione non è consuetudine per psicosi, epilessia, vertigini o possessione  da uno spirito.
L’operazione è una procedura semplice ma dolorosa e talvolta con una procedura prolungata, che richiede da una a quattro ore. Gli operatori di solito non sono trapanatori specializzati, ma uomini-medicina in generale che eseguono l’operazione come parte del loro lavoro abituale. Di solito sono apprendisti fino a quando non sono sufficientemente abili e responsabili per eseguire l’operazione da soli. Possono imparare da un estraneo alla famiglia o possono essere istruiti dai loro padri. Apparentemente le donne non praticano l’arte del trapanazione.
Il “chirurgo capo” (un singolare omobari omotwe, plurale ababari emetwe, chirurgo, omobari; testa, omotwe) può pregare o procedere con altre procedure magiche individualizzate prima dell’operazione (okobara), ma non esiste un rituale prestabilito. La testa del paziente può essere o non può essere rasata e lavata. Egli è quindi messo in posizione seduta o sdraiata e contenuto. Di solito è costretto ad appoggiarsi o giacere su un letto di foglie con un piccolo sostegno sotto la testa. Un operatore preferiva piuttosto che il suo paziente si sdraiasse su un piccolo letto in stile europeo con la testa oltre il bordo, quindi di metterlo a sandwich posizionando un altro letto capovolto sopra di lui con un parente seduto ad ogni angolo dello stesso! Il cuoio capelluto è inciso in modo lineare o crociato sul punto del mal di testa e lembi, se necessario, sono retratti con le dita dagli assistenti. Di norma nulla è messo sulla ferita, ma occasionalmente un medicinale (sconosciuto) viene spruzzato in loco per alleviare il dolore, e talvolta un prodotto come il carbone o la pressione locale viene applicato per l’emostasi. Eventuali frammenti di osso, corpi estranei o sangue coagulato vengono rimossi e qualsiasi parte di osso alterato o la linea di frattura viene portato via raschiando il cranio (ekeore) con un coltello affilato raschiante con una punta curva, curvo per evitare la perforazione della dura e del cervello. La raschiatura di solito continua fino a quando il tavolato interno viene aperto e le membrane cerebrali esposte. Meno frequentemente, viene impiegata una sega per realizzare il foro (enseke) (Fig. 3a, b).

La maggior parte degli operatori è in grado di distinguere le suture craniche dalle linee di frattura e sembra rendersi conto del pericolo di perforare la dura, sebbene nell’ignoranza di ciò sia talvolta fatto nel caso dell’ematoma subdurale. Di solito, sia i tavolati interni che quelli esterni del cranio sono forati, ma non sempre. Dopo aver rimosso abbastanza osso, la ferita viene lavata con acqua. Si dice che un omobari abbia versato acqua dalla sua bocca sulla ferita – senza dubbio un lavaggio efficace ma non del tutto asettico.
Grasso o burro possono quindi essere applicati con una pelle o un altro applicatore. A volte vengono aggiunte medicine a base di erbe per promuovere la guarigione. Di solito la ferita può guarire per granulazione; il cuoio capelluto raramente viene suturato, secondo il modo nativo comune con suture a forma di otto sui bordi. Si dice che l’operazione causi solo pochissimo dolore, tranne inizialmente quando i tessuti molli vengono tagliati e ritratti [il raschiamento dell’osso non provoca dolore, solo la cute e il periostio sono sensibili]. L’anestesia non è impiegata. Se viene bevuta birra lo è probabilmente dall’operatore, non dal paziente. Le medicine per “uccidere il dolore” hanno probabilmente un effetto magico piuttosto che farmacologico. L’omobari omotwe controlla attentamente il paziente durante il periodo postoperatorio, visitandolo regolarmente fino a quando non viene assicurata una buona prognosi.
Non è raro che un paziente abbia operazioni multiple. Occorre prestare attenzione a garantire l’accuratezza nelle affermazioni fatte dai primitivi sul numero di trapanazioni che hanno avuto. L’africano nativo è incline a esagerare nel parlare della sua “storia medica” (Margetts, 1958). Un Kisii in diverse occasioni variava il numero dei suoi raschiamenti da cinque a trenta. Le operazioni multiple nei Kisii sono più probabilmete ampliamenti delle precedenti aperture, piuttosto che fori aggiuntivi in siti diversi. La commissione pagata dal paziente varia in base alla richiesta dell’omobari, in base alle circostanze, e forse alla capacità del paziente di pagare – la quantità addebitata, in denaro o in merce di base, è nota e varia da 40 a 700 scellini in contanti più la merce.
La mortalità è bassa, forse del 5%. I cattivi risultati di solito finiscono negli ospedali governativi con infezioni locali o meningite, o vengono indagati dalla polizia come morti. Un procedimento giudiziario contro un omobari di solito inizia con l’accusa di omicidio, ma quasi invariabilmente è modificato in un caso di omicidio colposo o di pratica della medicina senza licenza. I tribunali in genere riconoscono che l’operatore non ha in mente alcuna cattiva intenzione e forse è ignaro della legge, nessuna scusante per una persona civile ed istruita, ma spesso è una attenuante per un analfabeta africano.

Tre nativi Kisii trapanati.

Si propone adesso di sintetizzare brevemente tre casi della tribù Kisii viventi che hanno sperimentato operazioni di trapanazione cranica. Sano stati intervistati e fotografati più volte tra il 1958 e il 1959.
Caso uno (Fig. 4). Quest’uomo aveva circa trentacinque anni. Era un ufficiale di polizia in servizio presso l’ufficio del commissario distrettuale a Kisii. Ha subito un colpo alla fronte apparentemente senza fratture. Per persistenti mal di testa diversi anni dopo l’infortunio si recò da un medico nativo che eseguì un trapanazione, con raschiamento con un coltello curvo. Il paziente era mentalmente normale e al momento dell’esame non lamentava mal di testa. Caso guarito!

Caso due (Fig. 5a, b, c). Quest’uomo stava scontando sei mesi per furto e quattro mesi per fuga nella Prigione H.M. di Nairobi. Un albero gli cadde in testa circa il 1° marzo 1958 e questo gli produsse mal di testa. Ha quindi effettuato tre operazioni trapanazione, circa il 15 aprile, il 15 luglio e il 15 novembre 1958. La ragione fornita da lui stesso per le tre operazioni è stata “terminare il lavoro”. Una risposta vaga come questa furono tutte le informazioni ottenute. Il suo omobari era un dottore con un’invidiabile reputazione che nessuno dei suoi pazienti era morto. Prima dell’operazione, il paziente è stato alimentato con pappa contenente una medicina “per fermare il sangue esce troppo in fretta”. Una polvere è stata applicata localmente “per prevenire il dolore”. Il paziente ha affermato che solo il taglio del cuoio capelluto era doloroso, non raschiare l’osso non gli ha dato fastidio. Lui ha detto che l’operatore ha usato un coltello rachiatoio curvo, e ogni sessione ha avuto preso circa quattro ore. Durante questo periodo giaceva a terra tra due letti in stile europeo da cui sporgeva la sua testa e [quattro] volenterosi parenti stavano seduti ad ogni angolo del letto superiore, che era sopra sopra il paziente. Egli disse che non c’ara un grande sanguinamento. Dopo che la procedura fu completata, una medicina fu spruzzata sopra la ferita e del grasso bollito fu applicato con una piuma. Una copertura morbida fu applicata per permettere alla ferita di granuleggiare. L’operazione aveva lo scopo di “rimuovere qualcosa che faceva male all’osso, egli ha tolto l’osso cattivo”.
Il paziente ha dovuto vendere la maggior parte della sua proprietà per pagare il compenso all’omobari. Ha affermato di aver pagato al medico 700 scellini, una pecora, una capra, tre galline e tre tamburi di birra al miglio da quattro galloni. Questo paziente era in qualche modo ritroso e depresso, ma forse questo perché era rinchiuso nel “King Georgi hotel” (la prigione di Nairobi). Non ha lavorato per paura che gli avrebbe “rovinato” la testa. Non aveva una malattia fisica definita e nessuna psichiatrica diagnosticabile.
I raggi-X della testa dell’uomo rivelarono una sola apertura, entrambi i tavolati al vertice del suo cranio erano assenti per nove pollici quadrati.
Anche la sorella dell’uomo fu trapanata due volte dallo stesso operatore. Suo marito l’aveva colpita alla testa con un bastone e le aveva causato un gran mal di testa.

Caso tre (Fig. 6a – f). Il terzo esempio di trapanazione è stata la curiosità più spettacolare che si possa mai sperare di vedere. All’autore piace descriverlo come “Cappello su, cappello giù”. Quando aveva il suo vecchio cappello malandato, sembrava discreto e “normale” abbastanza. Ma quando si tolse il cappello, fui sorpreso nel vedere l’intera parte superiore della sua testa mancante. Le fotografie ai raggi-X hanno rivelato un buco ovale di circa 30 pollici quadrati nell’area nella volta del suo cranio!
Quest’uomo aveva circa cinquant’anni. È stao notato perché aveva portato suo figlio a farsi vedere da medico europeo. Il figlio era disattento, stava trascurando il suo lavoro nella bottega del padre, leggeva costantemente la Bibbia e pregava. Si riprese senza un trattamento specifico. Questo era forse un ritiro schizofrenico.
Intorno al 1940, “Hat on” era un poliziotto tribale. Un giorno, entrando in una capanna, batté la testa sull’architrave della porta. Successivamente, sviluppò un mal di testa vertice. Nel 1945 ebbe una trapanazione, e nei successivi sette o otto anni: ebbe diverse altre operazioni. Il numero esatto era sconosciuto. Il  numero più basso dichiarato dal paziente era di cinque, ma la sua storia variava da una volta all’altra e in un’occasione ne aveva addirittura dichiarate trenta. Mancava abbastanza del suo cranio per rendere la cifra più bassa o più alta del tutto possibile.
Quest’uomo disse che le sue operazioni furono molto dolorose; nulla gli è stato dato per alleviare il dolore.
A causa dell’ampio deficit del cranio “Hat on” temeva per la sua sicurezza, quindi si era dotato di un berretto di plastica da indossare sotto il cappello. Alla fine, lo indossava e ne era abbastanza orgoglioso.
Gli omobari che hanno trapanato questo paziente erano un vecchi di circa settanta o ottanta anni (Fig. 6 f). Operava da quando aveva vent’anni e non ricordava il numero di pazienti che aveva operato, sicuramente oltre cento. Suo padre gli ha insegnato la tecnica e ha affermato di non aver mai perso un paziente. Secondo questo operatore, l’unica indicazione per la trapanazione era il mal di testa a seguito di un trauma. Ha usato un raschietto curvo e disapprovava l’uso della sega. Si aspettava sempre di trovare una frattura durante l’operazione. Sapeva di stare nel posto giustoquando trovava del sangue nero (cioè coagulato).  Molti dei crani operati quasi mai mostravano una linea di frattura, e la notevole quantità di osso rimosso in alcune operazione potrebbe essere stata il risultato della ricerca di qualcosa che non esisteva.

Motivi per la trapanazione del cranio nelle società primitive.

L’operazione di trapanare il cranio è importante per l’archeologia, l’antropologia e la medicina. Ce ne sono poche altre materie di studio che integrano così gli interessi di tutte e tre queste specialità.
Dal punto di vista delle scienze mediche, la trapanazione è affascinante per l’aspetto chirurgico, ma forse ancor di più è intrigante a causa della psicologia dei motivi che la sostengono. Per comprendere meglio questi motivi, è necessario esaminare la copertura psicologica e psicopatologica: in primo luogo l’ambiente culturale in cui viene eseguita l’operazione, nel secondo riguarda il paziente e nel terzo il chirurgo nativo.
Mentre l’usanza della trapanazione appare strana e particolarmente affascinante ad uno straniero, è una prassi comune e non è considerata una curiosità all’interno del quadro della cultura dell’Africa Orientale dove viene praticata. I meccanismi di base del pensiero, della logica, dell’espressione emotiva e del comportamento sono gli stessi in tutte le culture e sono determinati da fonti genetiche, istintuali e possibilmente da fonti razziali. Questi meccanismi variano in modo fluido e dipendente da cultura a cultura, a seconda del progresso della cultura, delle opportunità e dei bisogni che si presentano. Questi meccanismi secondari sono determinati dai diversi impatti della cultura locale specifica e dal contatto e dallo scambio culturale, ad es. il processo di inclusione nel quadro sociale di tali valori sono imposti o offerti da società esterne e quelli richiesti o ricercati dalla specifica società interna interessata, e non escludendo la soppressione, la sostituzione o il rifiuto di alcuni o tutti i valori locali della società particolare indagata.
I valori della “civiltà” sono infatti molto artificiali e consistono principalmente in ulteriore stress e repressione che servono a mascherare i meccanismi di base comuni a tutta l’umanità. I meccanismi basici della mente sembrerebbero essere gli stessi in tutto il mondo. Gruppi di uomini differiscono dai loro vicini (che includono le culture primitive e più “evolute” o “coinvolte”) principalmente a causa di fattori secondari, che possono cambiare all’interno di una variabile cronologica. Questa è una variabile che non viene presa in considerazione in questi giorni di conflitti mondiali. Perché le persone cambino richiede tempo.
Dagli scritti storici del passato, è noto che la trapanazione è stata effettuata per una serie di ragioni medico-chirurgiche. Le indicazioni includevano praticamente tutto ciò che riguardava la testa: le fratture, le infiammazioni, la localizzazione di pus e sangue, epilessia, follia, idiozia, degenerazione morale, vari sintomi della testa (mal di testa, vertigini, sordità, ecc.), la rimozione di corpi estranei dall’interno della testa (reali o falsi, come nelle “pietre della follia” o “pietre della testa”) e il rilascio di pressioni, arie, vapori, umori e demoni e spiriti maligni. Quando furono studiati i teschi trapanati del neolitico europeo e pre-colombiano americano, a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, i motivi per l’operazione nella preistoria dovevano essere indovinati, poiché non c’erano scritti disponibili per spiegare perché la procedura è stata eseguita. Si può presumere che i motivi nel il periodo preistorico fossero gli stessi oltre di quelli che si aggiunsero nel periodo storico.
È anche noto che le ragioni offerte per la trapanazione nelle attuali culture primitive non sono sempre le stesse. Ad esempio, il motivo dei Kisii è quello di alleviare il mal di testa dopo un trauma. Tuttavia, a poche centinaia di miglia di distanza, il motivo Lugbara è far uscire uno spirito malvagio.
Se tutte le “ragioni” della trapanazione vengono messe insieme, il meccanismo comune dietro tutte le indicazioni nell’elenco è quello di rimuovere qualcosa. C’è un continuum, dall’immateriale al materiale, dalla magia e taumaturgia alla scienza – gli spiriti malvagi e demoni, vapori, umori, aria, ipotetiche “pressioni”, pressioni effettive, corpi estranei reali e immaginari, “sostanze sconosciute”, pus, sangue e, infine, pezzi di osso.
Una data cultura può usare una o più di queste “ragioni”, contemporaneamente o in periodi cronologici diversi. Le ragioni scelte dipendono dall’evoluzione psico-mentale dell’individuo e della sua specifica società in particolari momenti di osservazione. Le ragioni possono variare ogni volta che c’è una regressione dell’individuo o della sua cultura. Piuttosto, l’usanza può avere un significato “epidemico”, essendo una moda e una follia all’interno della cultura, a seconda della pubblicità e del grado di regressione.
C’è solo un motivo per l’operazione che non è destinato alla “rimozione di qualcosa”. Questa è un’interessante modifica del trapanazione come amuleto, per proteggere il paziente dallo sviluppo di disturbi che la trapanazione è nota come “cura”. La trapanazione a scopo “profilattico” è stata fatta nelle Isole Bismarck.
Sebbene non sia un motivo per eseguire l’operazione terapeutica, l’ottenimento di amuleti o rondelle craniche ha proprietà magiche, il valore di una protezione o quantomeno in misura minore il significato di “curiosità” o “reliquia”. Gli amuleti dei crani trapanati non sono comuni nelle attuali culture in cui viene eseguita l’operazione.
L’omicidio con apertura post-mortem del cranio ha per scopo di ottenere materia cerebrale e ossa a scopo di stregoneria e ingredienti della medicina magica è ben noto in tutta l’Africa. Qualsiasi apertura regolarmente delineata, specialmente circolare, è molto probabilmente una trapanazione ante-mortem piuttosto che una rottura post-mortem del cranio. Se i bordi dell’apertura sono lisci, in attesa di analisi microscopiche e radiografiche ed escludendo malattie e agenti atmosferici, è quasi certo che l’apertura sia il risultato della trapanazione ante-mortem.
I crani intatti sono usati in tutta l’Africa per vari scopi magici. I crani possono essere forati post-mortem anche per scopi magico-religiosi, come nei culti degli antenati dell’Africa occidentale (Stephen-Chauvet, 1936).
La sovrastruttura psicologica del paziente in cerca di un’operazione di trapanazione cranica può essere così riassunta. Il paziente può aver bisogno di sollievo perché crede che gli spiriti maligni siano nella sua testa (“intrusione spirituale”), plagiandolo come risultato della sua debolezza personale verso un parente defunto, o della sua trasgressione di un divieto tribale o “tabù . “Potrebbe credere che corpi estranei, come ad esempio; pietre, pezzi di vetro o altri oggetti materiali sono stati proiettati nella sua testa “intrusione di oggetti” da parte di un malvagio praticante della magia nera. Questa convinzione può esistere in una persona abbastanza normale di una cultura che di solito crede in questo tipo di magia, o può essere in una persona che ha idee paranoiche legate alla sua
testa. La sua aberrazione mentale può spingerlo a cercare e richiedere un’azione da parte di un uomo-medicina.
Tali pazienti non sono necessariamente del tutto masochisti. Hanno una specie di credenza che riguarda la loro testa in relazione alla presenza di qualcosa, e la loro spiegazione magica di ciò porta alla ricerca di una cura magica. Anche una malattia naturale che causa mal di testa, come la malaria, è spiegata da una base magica di qualcosa dentro la testa, che può uscire o essere rimossa con un foro [nella testa].
C’è una notevole mancanza di manifestazioni d’ansia e paura nel paziente che cerca una trapanazione. La ragione sembrerebbe essere la sicurezza generata dalla suggestione forte e positiva e dalla promessa di cura da parte del chirurgo nativo. Il paziente non pensa in termini di possibile mortalità, è sicuro nelle sue speranze o convinzioni che il disturbo sarà alleviato.

E ora rivediamo le possibili motivazioni da parte del trapanatore stesso. Nei moderni gruppi di cultura primitiva, di solito è un uomo-medicina di alta reputazione. Le sue somministrazioni sono pensate per il bene del suo paziente. A volte, ovviamente, può essere una persona ingannevole e disonesta, ma questo è insolito. Sa che può curare il suo paziente. L’uomo-medicina medio e il praticante della magia bianca devono essere distinti dalla minoranza psicopatica che è astuta e disonesta e che cerca guadagno e gratificazione personale senza riguardo al benessere del paziente.
Le credenze dei trapanatori trepanner si basano in parte sulla fisiopatologia razionale, in parte sulla magia. Egli opera perché sa che nella maggior parte dei casi il paziente è sollevato dalla sua sofferenza, qualunque essa sia.
Egli può, per motivi chirurgici razionali, rimuovere frammenti ossei, sangue cattivo e simili. Egli potrebbe cancellare una linea di frattura. Una persona malata che si lamenta di un senso di pressione (variamente descritto) può essere curata alleviando questa pressione. Quindi qualsiasi organo sferoidale, come la testa, spinge a fare un buco per dare esito all’agete che produce la pressione. L’altro visibile organo sferoidale, l’occhio, per un motivo simile è stato trapanato in culture altamente evolute che hanno sviluppato un’elaborata tecnologia chirurgica. Similmente, rigonfiamenti simili a sfere possono essere forati, come nella vescica urinaria, nell’addome ascitico e simili.
In molte psicologie primitive, la testa è la dimora dell’intelletto e dell’anima. Il cranio è una casa, una casa. Le emozioni e i principi vitali si trovano altrove, di solito nel cuore. È quindi ragionevole pensare ad un buco nella testa come per l’uscita dell’anima, o uno spirito straniero che vi abita, come la porta di una casa. L’attività mentale associata alla testa (pensare, pensare) si trova nella testa e nel cervello. Qualsiasi anomalia di questa attività mentale può essere trattata utilizzando gli orifizi naturali per mettere medicine all’interno del cranio o per estrarne la malattia. Il primitivo può credere che i canali uditivi e le narici conducano direttamente al cervello. Quindi la via migliore per entrare o uscire dal cranio sarebbe in un buco artificiale.
Non tutti i gruppi culturali che credono nell’ingresso di uno spirito malefico nella testa, o nella presenza di corpi estranei o in malattie semi-razionali come “acqua nella testa” o “vermi nella testa” trapanano il cranio per cercare sollievo, anche se le loro teorie di base le psicopatogenesi possono essere simili. Questo può essere spiegato solo dal caso e dalla dispersione a causa delle migrazioni.
Come nel paziente, l’esperto trapanatore nativo sembra essere relativamente liberi dall’ansia per l’esito della operazione. Come il dottore esperto e fiducioso ovunque, è sicuro della sua abilità, e ha sviluppato una filosofia che lo protegge dal fare cose sbagliate.

Estratto da Margetts Edward L., Trepanation of the skull by the Medicine-men of Primitive Cultures, with particular reference to present day native East African practice, in Brothwell Don and Sandson A.T.,  Disease in Antiquity, Charles C. Thomas, 1829, pg. 678. Vedi filmati: https://www.youtube.com/watch?v=xHbJzojXx38; https://www.youtube.com/watch?v=w5kZ0qL_7Fo; https://www.youtube.com/watch?v=MoSjoXFqIGI

 

 

 

 

 

1956.  STEREOTASSICO DI COOPER.

 

In alto, l’apparecchio Stereotassico di Cooper per infiltrazione delglobus pallidus . Sotto a sinistra due immagini schematiche (frontale e laterale) di una pneumoencefalografia che mostra la presunta posizione del globus pallidus come targhet per il controllo del tremore parkinsoniano. A destra il casco in posizione sul cranio e la cannula per infiltrare il globus pallidus.

CANNULA PER CHEMOPALLIDECTOMIA DI COOPER

Mediante la cannula per chemopallidectomia di Cooper venivano iniettati cc 0,5-0,75 di una soluzione di cellodin all’8% in etanolo che essendo più viscoso dell’etanolo puro rende la neurolisi più lenta ed afficace.

Da Saint Barnabas Symposium on Surgical Therapy of extrapyramidal Disorders, Irving S. Cooper and Associates, from neurosurgical services of St. Barnabas Hospital and The New York University-Bellevue Medical Center, N.Y., 1956.

 

 

 

 

MARTELLETTI PER RIFLESSI OSTEOTENDINEI

 

 

 

 

PINZE OSSIVORE

 

Ossivora di Olivecrona

 

Ossivora GENTILE FRANCE

Ossivora di Laksell STILLE

Ossivora semplice

Tagliateca GENTILE FRANCE con accessori di spessore diverso.

Tagliateca

 

 

 

CANNULE PER ASPIRAZIONE LIQUIDI

 

Le cannule per l’aspirazione del liquido di lavaggio introdotte da Cuhing sono state usate in neurochirurgia per rimuovere il sangue dopo aver lavato il campo chirurgico con soluzione fisiologica. La punta dell’aspiratore non tocca mai il tessuto cerebrale, potrebbe aspirarlo, ma sulla punta aspirante viene sempre posizionato un cotonino per evitare di danneggiare il tessuto cerebrale. Inizialmente gli aspiratori erano cannule di vetro, in seguito, per esigenze particolari sono stati prodotti e usati spiratori metallici di varia forma.

 

 

 

 

 

1970. CLAMP PER CHIUDERE LA CAROTIDE.

 

La clamp per chiudere la carotide era in uso negli anni ’70 per la chiusura controllata (con EEG) e lenta (2-3 giorni) della carotide interna da cui dipendeva un aneurisma cerebrale giudicato inoperabile. Lo scopo era quello di ridurre l’afflusso di sangue in aneurismi cerebrali che per le loro dimensioni andavano oltre ogni possibilità chirurgica e ad elevato rischio di rottura. Naturalmente si era ben coscienti che nel chiudere una carotide si correvano grossi rischi per il paziente, per cui venivano fatti preliminarmente delle prove di chiusura manuale della carotide al collo  sotto controllo Elettroencefalografico per verificare la tolleranza della chiusura stessa senza effetti collaterali.

Dopo aver isolato chirurgicamente al collo la carotide su cui si voleva applicare la clamp veniva passata una pinza passafili sotto la stessa, con una pinza curva (in alto), una fettuccia in gomma morbida. Alzando la carotide con la fettuccia in gomma morbida si poteva inserire la parte inferiore della clamp a forma di U sotto la carotide e la parte superiore con la vite andava inserita sopra la carotide nell’apposita scanalatura. Sulla vite esterna si inseriva un tubicino metallico che faceva da guida ad un piccolo cacciavite che inserito sulla vite centrale faceva scendere la piastrina mobile contro la base della clamp riducendo così, gradualmente, lo spazio dove si trovava la carotide fino a chiuderla.

 

 

 

 

 

1970. AGHI PER CAROTIDOGRAFIA, BRACHIALGRAFIA RETROGRAFA.

 

Aghi per carotidografia e brachialgrafia.

La carotidografie le brachialgrafie retrograde sono state eseguite fino alla fine degli anni ’70 per studiare i vasi cerebrali e i loro spostamenti per effetto dei tumori cerebrali. L’introduzione della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC realizzata nel 1974) ha permesso di “fotografare” il contenuto della scatola cranica mostrando per la prima volta la morfologia cerebrale e dei ventricoli in vivo. Da allora gli studi angiografici divennero sempre più rari.

Carotidografia

L’ago ha una punta a flauto ed è dotato di un mandrino che lo ostruisce al momento della puntura dell’arteria carotide secondo il flusso ematico. Tolto il mandrino esce il sangue che conferma la corretta introduzione nel lume dell’arteria, quindi l’ago viene introdotto ulteriormante l’ago nel lume per mantenere la sua stabilità durante l’iniezione del mezzo di contrasto. Tenendo l’ago con la mano sinistra, veniva collegata una sinistra con 5 ml di mezzo di contrasto e tirate conpemporaneamente le cinque lastre che fotografavano il contrasto all’interno dei vasi cerebrali. Con la stessa procedura veniva eseguita l’angiotomografia carotidea per studi di dettaglio.

Nell’attività di neuro-diagnostica è stata inserita anche l’angiotomografia per lo studio dei dettagli morfologici degli aneurismi cerebrali da cui ne è conseguita una ralazione:

Giunta F., Bollati A., Lenzi A., Marini G., Orlandini A., Bergonzini R., L’angiotomographie dans l’etude des aneurismes cerebraux, IX Congrès de Radiologie de Culture Latine, Venezia, 15-19 ottobre 1974.

L’impiego dell’angiotomografia nello studio degli aneurismi cerebrali richiede una collaborazione tra il neurochirurgo ed il radiologo, dato per scontato che in questi casi più che in altri le modalità tecniche e metodologiche devono essere correlate alle problematiche cliniche.

In effetti, l’angiotomografia nei malati portatori di un aneurisma cerebrale ci impongono dei problemi molto importanti, perchè si tratta sempre di soggetti molto delicati che possono, talora, peggiorare improvvisamente in seguito a stress anche modesti. L’intervento del neuroradiologo deve pertanto essere molto prudente in questi ammalati durante l’esecuzione di esami con mezzo di contrasto e soprattutto nella selezione di coloro che dovranno essere studiati con una tecnica complessa come l’angiotomografia.

Nella maggior parte dei casi una angiografia standard, soprattutto se è completata dalle proiezioni oblique, è sufficiente per la diagnostica: l’angiotomografia  non deve quindi essere considerato come un esame di routine, ma trova una indicazione solo se il neuroradiologo deve risolvere dei problemi diagnostici particolari, come: -dimostrare l’esistenza o meno di un aneurisma; -precisare il punto di impianto del suo colletto. Inoltre l’angiotomografia permette: -di fare una diagnosi differenziale degli aneurismi con un colletto e le dilatazioni aneurismatiche fusiformi; -di stabilire i rapporti tra la formazione aneurismatica e le arterie più vicine.

Abbiamo osservato nel periodo 1971-1974, 88 casi di aneurismi cerebrali; l’angiotomografia è stata praticata solamente in 25 casi nella necessità di raccogliere elementi diagnostici affidabili per l’intervento chirurgico.

Nei primi casi della nostra serie l’angiotomografia è stata fatta su una sola lastra, ad una profondità stabilita in precedenza. Più recentemente abbiamo adottato una cassetta multilastre, che dà delle immagini senza dubbio di minore definizione ma ugualmente valide per la diagnostica. L’angolo di pendolamento è stato di 30°, con tempi di esposizione di un secondo. Per ciascuna angiotomografia si iniettano 4 ml circa di mezzo di contrasto, riperuti due o tre volte al massimo.

In conclusione, noi pensiamo che l’angiotomografia possa dare al neurochirurgo delle informazioni essanziali che l’angiografia standard talora non può dare; questi dati possono rappresentare degli elementi decisivi nella scelta della tecnica operatoria.

 

 

 

 

 

AGO PER PUNTURA SUBARACNOIDEA LOMBARE E SUBOCCIPITALE

 

La puntura subaracnoidea lombare veniva utilizzata per eseguire la pneumo-encefalografia per lo studio dei processi espansivi cerebrali, soprattutto quelli endoventricolari,  saccoradicolografie per le ernie del disco lombo-sacrali e mielografie per i processi espansivi midollari.

Anche per la terapia del dolore neoplastico incoercibile vengono utilizzati gli stessi aghi lombari per la neurolisi dei nervi: nervo trigemino nel dolore facciale e le radici spinali per i dolori periferici.

Nell’ambito della Terapia del Dolore Neoplastico è stata acquisita una notevole esperienza ed è stata portata una innovazione: la neurolisi del trigemino nel dolore neoplastico facciale. L’esperienza acquisita è stata portata al Congresso:

1975, settembre, 5-8. Firenze. First World Congress on Pain, sponsored by International Asociation for the Study of Pain.

“In un caso riportato da Wilkinson nel 1964 la soluzione del fenolo in cisterna magna ha causato l’improvvisa comparsa di una paraplegia. Nel settembre del 1973, durante l’iniezione intratecale di fenolo al 5% in glicerina a livello di C2 si sono osservati la comparsa di un formicolio al lato destro del naso, nistagmo, movimenti clonici delle palpebre di destra e della bocca a destra senza effetti collaterali pericolosi. In seguito a questo si è considerato che forse il fenolo non era poi così pericoloso come si era pensato in precedenza qundo viene iniettato in cisterna magna.

Ventitre iniezioni di fenolo sono state somministrate nella cisterna magna di venti pazienti. Il paziente veniva messo in posizione laterale e, dopo l’anestesia locale della cute, venivano iniettati da 0,5 a 1,4 ml di fenolo in glicerina al 5% . Nella maggioranza dei casi il quinto, settimo e ottavo nervo cranico sono stati interessati. Il solo effetto a lunga durata osservato è stata una cefalea diffusa, che era dovuta probabilmente alla perdita di liquor. Il sollievo dal dolore risultava immediato dopo l’iniezione, e durava da alcuni giorni ad alcuni mesi.

Gli autori conludono che soluzioni di fenolo iniettati in cisterna magna è un trattamento facile, sicuro e ripetibile per il dolore alla faccia e alla bocca dovuto ad un cancro.”

 

 

 

 

 

1977. KANDEL e PERESEDOVA, Stereotactic clipping of arterial aneurysm and arterious malformations, J. Neurosurg. 1977, 4, 12-23.

Scatola contenente il posaclip stereotassico: DISPOSITIVO KANDEL-PERESEDOVA PER IL CLIPPING STEREOTASSICO DEGLI ANEURISMI DEL CERVELLO

IL PORTACLIP  STEREOTASSICO CON LE CLIP IN PRIMO PIANO

La scatola con il posaclip stereotassico mi è stato donato negli anni ’80 da Aldo Spallone, neurochirurgo di Roma, che avevo conosciuto ad un Congresso della Società Italiana di Neurochirurgia. Il prof. Spallone aveva lo aveva ricevuto da colleghi e amici neurochirurghi di Mosca che lui aveva visitato tempi addietro. Il motivo del dono era di fare un presente a chi aveva introdotto l’utilizzo il primo casco stereotassico entrato in Italia agli inizi degli anno ’80.

Di seguito la pubblicazione  del dispositivo sul Journal of Neurosurgery nel 1977.

Stereotaxic clipping of arterial aneurysms and arteriovenous malformations. Edward I. Kandf.l, M.D., D.Sc., and Vyacheslav V. Peresedov, M.D., Neurosurgical Clinic, Institute of Neurology, Moscow, USSR

In carefully selected cases of arterial aneurysms and deep-seated arteriovenous malformations (AVM), when direct attack may be dangerous or impossible, the authors advocate stereotaxic clipping. A special device and technique for its application are described. The instrument is introduced through a trephine opening and clipping is monitored by angiography. Successful results have been obtained in 10 operations performed on eight patients, three of whom had arterial aneurysms (two internal carotid and one anterior cerebral-anterior communicating) and five with AVM’s.

Key Words • aneurysm surgery • arteriovenous malformation • stereotaxic surgery • arterial aneurysms • stereotaxic clipping

In spite of remarkable advances in the surgery of cerebral arterial and arteriovenous aneurysms, the intensive search for new methods of operative treatment is continuing in an effort to reduce the rate of serious complications and mortality. Stereotaxic techniques have undergone outstanding development during the last two decades. One of the most important advantages of the stereotaxic method is that it avoids manipulation of blood vessels and retraction of the brain, which leads to vasospasm, brain edema, and the danger of aneurysm rupture.

In the literature we found no description of stereotaxic clipping of arterial or arteriovenous aneurysms through an ordinary burr hole. Development of such a technique was prompted by the feasibility and accuracy of modern stereotaxic surgery and the discrete angiographic target made by an aneurysm or an artery located deep in the brain. After our special devic for stereotaxic clipping was constructed in 1972, we performed many experiments on technical models, animals, and cadavers. The preliminary reports describing our method of stereotaxic clipping have been published previously.’10 The first operation on a patient with a previously giant, inoperable hemispheric arteriovenous aneu rysm was performed in 1973. To date we have carried out 10 operations on eight carefully selected patients. It is the purpose of this paper to present details of the instrumentation, operative technique, and clinical results of the stereotaxic clipping of arterial and arteriovenous aneurysms.

Instrumentation

Our special device for stereotaxic clipping (Patent No. 452336) was constructed for use with our previously described stereotaxic apparatus (Fig. I).6,7 The device was made in two models differing only in the size of the outer diameter of the tube (2.9 and 3.6 mm, respectively). The surgeon chooses a suitable device before the operation depending on the measurement of the diameter of the artery or the neck of the aneurysm as seen angiographically. If the artery or neck is 3 mm in diameter, the thinner device with the 5 mm clip opening must be used; if the artery diameter is about 5 mm, the device with the 7 mm clip opening should be used.

The device is a stainless steel tube 17 cm long with a conical narrowing at one end. At the other end is a special structure for controlling clip movements and disconnecting the clip from the device. There are also two metal pivots for inserting into the tube. One has a thin terminal segment that protrudes from the tip of the tube for several millimeters. This pivot is inserted into the tube before its stereotaxic introduction into the brain. The thin tip must reach the target point and its location must be angiographically verified. The second pivot carries on its tip a special clip and replaces the first one through a collet designed for this purpose.

The special removable stainless steel clips of different sizes (Fig. 1 right) permit the clipping of Vessels from 1 to 7 mm in diameter. The chosen clip is easily attached to the tip of the second pivot before its insertion into the cannula. The clip passing the conical narrowing at the tip of the cannula is consecutively squeezed and opened.

Operative Technique

Careful study of both projections of the preoperative angiograms is essential. The target point must be chosen in accordance with several factors. The afferent artery (or arteries) must be clipped far enough from the arteriovenous aneurysm to avoid dangerous contact with angiomatous tissue or large draining veins. It is necessary to check the orientation of the target vessel in frontal, sagittal, and horizontal planes, because the insertion of the tube and the clip perpendicular to the vessel or the aneurysmal neck is of utmost importance. The site for the burr hole is selected to avoid insertion of the device through a functionally important brain area.

The operation is carried out under neuroleptoanalgesia or general or local anesthesia with routine premedication. The patient’s head is placed supine in the stereotaxic frame and fixed by two sharp pins. A 25-mm burr hole is made by coronal trephine; the burr hole can be placed at any point, but we prefer to make it near the coronal suture. The stereotaxic apparatus with clipping device attached is fixed in the burr hole. Because repeated intraoperative angiography is essential, a needle or catheter is inserted percutaneously into the carotid artery.

The target point is transferred from the angiograms to the plain films and stereotaxic calculation is made for the correct orientation of the clipping device. The calculated angles of correction are checked on the protractors of the stereotaxic device. All operations are made under the control of an image amplifier with television monitoring. (Image amplifier manufactured by Optische Industrie “De oude Delft,” Delft, Holland)

After coagulating the cortical point, the first pivot is inserted through the cannula into the brain until it touches the target point. This movement is checked by consecutive angiography using Polaroid film. The first pivot is replaced by the second, which carries the squeezed clip. By turning a special ring of the control structure on the outer end of the device, it is possible to open the clip and check the degree of the opening in millimeters. Careful and slow introduction of the clip a little deeper permits accurate application upon the vessel or aneurysmal neck.

Before clipping, blood pressure is lowered by intravenous Arfonad to 60 to 70 mm Hg. If the next angiogram verifies the correct position of the clip, turning of the ring squeezes the clip until its full closure. Another angiogram is performed to show the effective clipping of the aneurysm or the afferent artery. Immediately after clipping, the patient is awakened so that normal function of the contralateral extremities can be confirmed. If function is satisfactory, neuroleptoanalgesia is repeated and blood pressure is increased gradually. The clip is released from the pivot by pushing a button on the outer part of the device. Under television control the tube is withdrawn from the brain.

If it is necessary to clip two or more vessels, the entire procedure is repeated. In case of failure such as partial or wrong clipping, or development of hemiparesis, the clip may be opened and withdrawn into the tube by slightly turning the ring on the outer end of the device. The duration of the clipping operation is between IV2 and 2 hours.

Summary of Cases

Each of the eight patients in this series was examined preoperatively by bilateral axillary and carotid angiography and, when necessary, by angiography in oblique projections and with cross compression. Cerebral blood flow (CBF) was investigated in five patients before and after operation using the Kety-Schmidt method as modified by us.8

Arterial Aneurysms

Four stereotaxic clipping operations were carried out on three patients aged 44, 46, and 49 years. In the initial stage of our study we selected three types of arterial aneurysms to investigate the possibilities offered by the new method: a supraclinoid aneurysm, an anterior communicating aneurysm, and an anterior cerebral artery aneurysm.

The supraclinoid aneurysm of the internal carotid is the most common type of aneurysm. The narrow necks of the majority of these aneurysms make them particularly suitable for stereotaxic clipping, as the following case illustrates.

Case I. This 49-year-old woman was admitted after two severe subarachnoid hemorrhages (SAH’s) 17 months and 1 month respectively before admission. After admission her general condition was satisfactory. She had paralysis of the left third nerve, light hemiparesis of the right side, and signs of sensorimotor aphasia. A four-vessel angiographic study demonstrated a bilobed supraclinoid saccular aneurysm (14 X 7 mm in lateral projection) arising from the left internal carotid in the region of its junction with the posterior communicating artery (Fig. 2 A). The aneurysmal neck was narrow. There was mild spasm of the carotid.

In April, 1974, stereotaxic clipping of the aneurysm neck was carried out under general anesthesia. A trephine opening was made 3 cm posterior from coronal suture and 3 cm to the left of the midline. The stereotaxic apparatus with clipping device was installed, and a catheter was percutaneously introduced into the left common carotid artery. The target (aneurysmal neck) was transferred from angiograms to the plain films (two views) and stereotaxic calculations were made. The tip of the first pivot reached the target point at a depth of 76 mm. The pivot was then replaced by another with a compressed clip. It was put on the aneurysm neck and its position was confirmed by control angiography (Fig. 2 B and C). Arterial pressure was lowered to 70 mm Hg.

The patient was awakened for several minutes for a check of movements, but no
changes were noted. The clip was closed slowly by means of the button on the external part of the device. One more control angiogram showed that the aneurysm neck had been clipped and that there was non-filling of the aneurysm. The clip was then released and the device was withdrawn. The operation was performed under continuous television monitoring. The bone button was then put in place. The duration of the operation was 1 hour and 40 minutes. There were no postoperative complications and no neurological changes. The patient could walk 3 days after surgery.

Control angiography 2 weeks later demonstrated the elimination of the aneurysm (Fig. 2 D and E). The lumen of the internal carotid artery at the level of the clip was not changed. At 16 months postoperatively the patient’s condition was good, and she returned to work. Aphasia and third nerve paralysis have disappeared completely.

In spite of a remarkable improvement in the results of direct attack on anterior communicating artery aneurysms, the technical difficulties and rate of complications remain serious unsolved problems. Logue11 and Ahmed and Sedzimir1 proposed the open clipping of the dominant anterior cerebral artery for thrombosis of aneurysms of the anterior communicating artery. We believe that the stereotaxic clipping of the neck of such an aneurysm may be done in exceptionally rare cases, but that clipping of the dominant anterior cerebral artery is also technically possible. This point of view is confirmed by the following case.

Case 2. This 44-year-old man began to suffer from sudden headaches and repeated vomiting in December, 1974, and on one occasion he lost consciousness for 3 hours. Initially he showed signs of meningeal irritaion; he had slight pyramidal signs on the ight side and bloody spinal fluid. After adnission 3 weeks later, he complained of a headache, but his general condition was satisfactory.

Right-sided axillary and carotid angiography disclosed a saccular aneurysm of theanterior communicating artery. Left carotid angiography showed no filling of the aneurysm. The aneurysmal neck was not clearly visible (Fig. 3 A). Since clipping the aneurysmal neck seemed to be technically impossible, stereotaxic clipping of the dominant right anterior cerebral artery was performed (Fig. 3 B). The burr hole was made 1 cm anterior to the coronal suture and 3 cm to the right of the midline. The distance from the cortex to the target was 62 mm. The clip was placed on the artery under television control.

Postoperative carotid angiography showed that the clip had slipped and the aneurysm had refilled. A second stereotaxic operation was done 2 weeks later through the same burr hole (Fig. 3 C). The second clip was placed proximal to the first and 10 mm from the bifurcation of the internal carotid artery (Fig. 3 D). The postoperative course was free from complications. Subsequent left carotid angiography showed that the anterior cerebral artery was clipped and the aneurysm no longer filled (Fig. 3 E). The control examination 9 months postoperatively showedthat the patient was in excellent condition. He is working full time and has no complaints.

It was reasonable to suppose that stereotaxic clipping of the distal branch of the anterior cerebral artery would be technically easy and less dangerous. The following case illustrates this procedure.

Case 3. This 46-year-old man was admitted in February, 1975, after a severe SAH. After light physical strain he developed severe headaches and vomiting, followed by a generalized seizure and unconsciousness. Neurological examination showed he wasconfused, had severe meningeal signs, and right-sided hemiparesis. Lumbar puncture disclosed bloody cerebrospinal fluid. The patient’s general condition improved, but headache, vertigo, weakness of the right extremities, and loss of memory remained. Total cerebral angiography showed a widenecked berry aneurysm of the left frontopolar artery.

Stereotaxic clipping of the feeding frontopolar artery was performed under neuroleptoanalgesia. A burr hole was placed 1 cm

TABLE 1

The CBF in five patients with AVA’s before and after clipping feeding vessels

Case

No.

Total CBF*

Local CBFf (ml 100 gm/min)

Preoperative

Postoperative

Preoperative

Postoperative

Value
(ml min)

% of
Normal

Value

(ml/min)

% of
Normal

AVA

Hemis.

Opp.

Hemis.

AVA

Hemis.

Opp.

Hemis.

4

2422.7

322.1

1894.9

252.6

210.4

135.7

167.1

103.6

5

1945.3

259.4

788.2

105.0

163.7

114.2

62.5

50.1

6

980.7

130.8

807.8

107.7

102.0

38.1

80.4

35.1

7

1647.8

219.7

1066.1

142.2

125.0

110.4

82.2

70.1

8

1015.0

135.3

708.4

94.5

81.4

63.6

51.4

49.8

*The normal total CBF was 750 ml, min.

The normal local CBF was 55 ml/100 gm/min.

anterior to the coronal suture. The artery was clipped at a depth of 61 mm from the cortex. Immediately after the operation the rightsided hemiparesis became more pronounced, but completely disappeared after 1 week. Control angiography showed non-filling of the aneurysm. The patient is in good condition and has no complaints 7 months postoperatively.

Arteriovenous Aneurysms

It is known that only approximately 50% of hemispheric arteriovenous aneurysms (AVA’s) can be totally removed. The radical extirpation of the remaining 50% is impossible because of their size or deep-seated location. It is widely accepted that by diminishing the blood flow to the AVA and thus its volume, the risk of intracranial hemorrhage and the rate of seizures may be reduced. For this purpose several techniques have been successfully applied during the last decade, including artificial embolization, and the introduction of special balloon catheters.

During the last 3 years we performed six operations of stereotaxic clipping of hemispheric AVA’s in five patients ranging in age from 13 to 45 years. The dominant signs were subarachnoid-parenchymatous hemorrhages, seizures, pyramidal tract signs, pulsating bruit in the head, and headaches. The aneurysms were located in the right hemisphere in three cases, in the left in one, and in the region of the corpus callosum and third ventricle in one. Four aneurysms were of large or giant size: in three, volumes varied from 42 to 190 cu cm and one had a volume of 23 cu cm.

Four widespread AVA’s were supplied by several arteries and two by arteries from both sides. Only one relatively small aneurysm was supplied by a branch of the middle cerebral artery.

Study of CBF appears to be the objective criterion for the evaluation of clipping operation in AVA’s. Five of our patients were investigated before and after surgery by our modification of the Kety-Schmidt nitrous oxide method.7 It is well known that total and hemispheric CBF in the presence of an AVA is substantially increased. In our five cases, total CBF consisted respectively of about 131%, 135%, 219%, 259%, and 322% of normal volume (750 ml/min) (Table 1). As previously described,7 the rate of increase has correlated well with the volume of the AVA. The hemispheric CBF was greatly increased mostly in the hemisphere in which the AVA was located. In cases of giant and large AVA’s, the opposite hemispheric CBF was also increased. After stereotaxic clipping of afferent vessels, total CBF decreases markedly in all cases — ranging from 23.1% to 154.4% (mean 72%). In three cases CBF became practically normal; in two cases, although reduced, it remained very high. One of these two cases, Case 4, had a giant AVA.

Because there is still no definite solution to the problem of inoperable AVA’s we concentrated our efforts on the clipping of feeding vessels as a mode of palliative treatment of large and giant aneurysms. Three cases briefly described below illustrate this point. The first case (Case 4, which was our first such operation, done in 1973), may be of particular interest because bilateral clipping was carried out.

Case 4. For about 30 years this 45-year-old man had suffered from pulsating headaches, which had become continuous and severe several years before admission. He had suffered seizures for about 10 years. At first they were local but later became generalized and more frequent. Slight left-sided hemiparesis developed 2 years before admission.

Four-vessel angiography showed a giant AVA (193 cu cm), occupying the right parietal, temporal, and occipital lobes. It was supplied by greatly enlarged arteries from both sides, by right middle and left anterior cerebral arteries and to a lesser extent by branches of right anterior and posterior cerebral arteries (Fig. 4 A). The aneurysm was evaluated as absolutely inoperable.

In January, 1973, through a burr hole near the coronal suture, stereotaxic clipping of the enlarged (6 mm) branch of the right middlecerebral artery was carried out. Two clips were applied. There were no complications after surgery. Control angiography showed a marked decrease of the aneurysm volume (Fig. 4 B) and of the total and hemispheric CBF (Table 1). The headaches became less severe.

Six months later stereotaxic clipping of the large branch of the anterior cerebral artery (Fig. 4 C) was performed on the other side. No complications were noted. Correct clipping was confirmed angiographically and consequent substantial decrease in volume was achieved (Fig. 4 D). After the second operation there was a marked clinical improvement: severe headaches and seizures disappeared completely in the 2‘/2-year follow-up period.

Case 5. This 25-year-old man had a history of two severe subarachnoid-parenchymatous hemorrhages with consequent long-lasting, right-sided hemiparesis. He also had up to three seizures per month. Four-vessel angi- ography indicated a very large AVA (153 cu cm) deep in the left temporal lobe and fed mainly by the left middle and posterior cerebral arteries (Fig. 5 A). It was decided that total removal of the lesion was technically impossible.

In April, 1974, stereotaxic clipping of the large feeding branch of the left middle cerebral artery was performed and confirmed angiographically. After clipping, the AVA was not visualized by angiography (Fig. 5 B). The CBF decreased by two thirds on the aneurysmal side and by half on the other side and has become near normal. There was no complication after operation.

At 1 1/2 years after surgery there have been no seizures or signs of intracranial hemorrhage. The neurological deficit has diminished markedly and the patient’s general condition is good.

Case 6. This 42-year-old man had an SAH I month before admission. For 16 years he had suffered from frequent seizures. Angiography showed a large arteriovenous malformation (128 cu cm) located in the mediobasal part of the right temporal lobe and supplied by enlarged branches of the right middle and posterior cerebral arteries. Because of its size and location the aneurysm was evaluated as inoperable. In May, 1974, stereotaxic clipping of the large branch of the middle cerebral artery was carried out. Remarkable reduction of the aneurysm volume and substantial decrease of CBF (Table 1) were achieved.

During a 1-year follow-up period there have been no intracranial hemorrhages and no seizures. The patient’s general condition is good and he is working full time.

The next case illustrates the possibility of stopping flow to a middle-sized AVA deep in a poorly accessible region of the brain.

Case 7. This 13-year-old boy had sustained four severe intraventricular hemorrhages during a period of 4 years. He was admitted 3 weeks after the last bleed. Bilateral angiography showed a middle-sized (42 cumm) arteriovenous malformation, involving deep medial structures, the corpus callosum, and the third ventricle. The aneurysm was supplied mainly by the right pericallosal artery and, to a lesser extent, by branches of the right middle and both posterior cerebral arteries (Fig. 6 A). The deep bilateral location of the aneurysm made it inoperable.

It was decided to clip the main feeder of the aneurysm, the pericallosal artery. Successful stereotaxic clipping of the artery was performed in December, 1973. Control angiography showed that the AVA no longer filled through the artery (Fig. 6 B). The CBF was markedly decreased (Table 1). There were no postoperative complications. During a 20-month follow-up period there have been no hemorrhages. The boy is in good condition and continues to attend school.

The next case is important for the evaluation of the dipping method. In this case the method has been used for the management of an AVA that undoubtedly could have been completely removed by classic open surgery. It is well known that AVA’s supplied by one feeder are rare. Their total extirpation may usually be achieved without great technical difficulties. Nevertheless, to study the possibilities of stereotaxic clipping we decided to employ it in a case of operable AVA. It should be emphasized that surgery totally eliminated the aneurysm from the circulation.

Case 8. This 26-year-old man was admitted several hours after a single subarachnoidparenchymatous hemorrhage. The marked post-bleeding hemiparesis gradually disappeared. Angiography showed a small AVA (23 cu mm) in the right parietotemporal region. There was only one thin feeding branch from the middle cerebral artery (Fig. 7 A). In November, 1973, this branch was clipped without complications (Fig. 7 B). control angiography showed the complete exclusion of the malformation from the circulation (Fig. 7 C). Postoperative CBF investigation demonstrated a return to normal (Table 1).

About 2 years after surgery the patient is in good condition without neurological deficit. Intracranial hemorrhage has not recurred.

Discussion

Early attempts to apply the stereotaxic technique to deep-seated and poorly accessible arteriovenous malformations (AVM’s) were made by Guiot, et al. ,5 and Riechert and Mundinger.14 These authors used a combination of stereotaxic technique and the classic direct approach. After ordinary flap craniotomy a stereotaxic device was installed and directed through a small cortical incision toward the aneurysm. In this way Guiot, et al.. could either coagulate small AVM’s or clip middle cerebral artery aneurysms. Riechert and Mundinger14 reported four cases with deep AVM’s successfully operated on by this method.

Alksne and Rand 2, 3 developed the technique of magnetic thrombosis of intracranial aneurysms. A magnetic cannula 6 mm in diameter was placed stereotaxically at the dome of the aneurysm and after the puncture of its wall with a fine needle, a suspension of iron wqs introduced into the aneurysm, causing thrombosis.

Mullan12 reported wide experience in producing stereotaxic intraaneurysmal thrombosis by means of several fine steel needles inserted into the aneurysmal sac, after which positive direct electric current was applied. The results were satisfactory in most cases, but in a series of 61 patients there were four postoperative deaths directly attributed to the procedure, while eight cases showed incomplete obliteration.

Four patients with anterior communicating-anterior cerebral arterial aneurysms were operated on by Samotokin and Hilko,15 who stereotaxically introduced thin electrodes into aneurysms followed by anodal electrolysis for 1 to 3 hours. This operation was combined with intravenous infusion of coagulants. In all cases aneurysm volume was reduced by 30% to 40%, but complete thrombosis was not achieved. One case of successful stereotaxic thrombosis of an anterior communicating arterial aneurysm and another case of stereotaxic electrocoagulation of a single vessel feeding a small AVM in the frontal lobe of an 8-year-old child have also been reported. 4, 13

Despite these encouraging results the stereotaxic method of managing arterial and arteriovenous aneurysms has not been common neurosurgical practice.

The main purpose of this study was to reach a higher degree of safety in the performance of surgery of arterial and arteriovenous aneurysms. In this connection it is important to note that after 10 operations of stereotaxic clipping there was no mortality and in only one case was there hemiparesis lasting several days. It should be emphasized that patients as a rule endured the operation very easily and were able to walk 2 to 3 days after surgery. Brain trauma secondary to stereotaxic clipping is less than during classic open surgery.

Our experience with stereotaxic clipping is relatively limited, but it is possible to draw the preliminary conclusion that this new method may be rational and advisable in the following instances:

1. In carefully selected cases of arterial aneurysms in which direct attack is too dangerous or technically impossible.

2. In giant and deep-seated AVM’s as a palliative operation for the diminution of the aneurysm volume.

3. In selected cases of AVA’s fed by a single artery, as a method of radical treatment.

It is reasonable to suppose that the future development of the method will offer new technical possibilities and will be useful in vascular neurosurgery.

References

1. Ahmed RH. Sedzimir CB: Ruptured anterior communicating aneurysm. A comparison of medical and specific surgical treatment. J Neurosurg 26:213-217, 1967.

2. Alksne JF: Progress on the magnetically controlled stereotactic thrombosis of intracranial aneurysms. Confin Neurol 34:368-373, 1972.

3. Alksne JF, Rand RW: Current status of metallic thrombosis of intracranial aneurysms. Prog Neurol Surg 3:212-229, 1969.

4. Cahan LD. Rand RW: Stereotaxic coagulation of a paraventricular arteriovenous malformation. Case report. J Neurosurg 39:770-774, 1973

5. Guiot G, Rougerie J, Sachs M, et al: [Stereotaxic localization of deep vascular intracerebral malformations.] Sem Hop Paris 36:1134-1143, 1960 (Fre).

6. Kandel El: New stereotactic apparatus and cryogenic device for stereotactic surgery. Confin Neurol 37:128-132, 1975.

7. Kandel El, Kukin AV: [A new stereotactic apparatus.] Vopr Neirokhir 36:56-58, 1972 (Rus).

8. Kandel El, Nicolaenko EM: [Investigation of cerebral circulation and gas exchange in patients with arteriovenous aneurysms of the brain hemispheres.] Vopr Neirokhir 35:36-42, 1971 (Rus).

9. Kandel El, Peresedov VV: [Method of stereotactic clipping of the feeding vessels of arteriovenous aneurysms, in Ugrumov VM: Diagnostics and Surgical Treatment of Cerebrovascular Diseases.] Leningrad: Leningrad Institute of Neurosurgery, 1974, pp 182-185 (Rus).

10. Kandel El, Peresedov VV: [Stereotactic clipping of an arterial aneurysm of the brain.] Vopr Neirokhir 39:13-15, 1975 (Rus).

11. Logue V: Surgery in spontaneous subarachnoid hemorrhage. Operative treatment of aneurysms on the anterior cerebral and anterior communicating artery. Br Med J 1:473-479, 1956.

12. Mullan S: Experiences with surgical thrombosis of intracranial berry aneurysms and carotid cavernous fistulas. J Neurosurg 41:657-671, 1974.

13. Rand RW, Mosso JA: Treatment of cerebral aneurysms by stereotaxic ferromagnetic silicone thrombosis. Bull Los Angeles Neurol Soc 38:21-23, 1972.

14. Riechert T, Mundinger F: Combined stereotaxic operation for treatment of deep-seated angiomas and aneurysms. J Neurosurg 21:358-363, 1964.

15. Samotokin BA, Hilko VA: [Aneurysms and Arteriovenous Fistulas of the Brain.] Leningrad: Meditsina, 1973 (Rus).

_______________
Address reprint request to: Edward I. Kandel,
M.D., Neurosurgical Clinic, Institute of Neurology, Moscow D-367, USSR.

Fig. 1. Left: Stereotactic clippingdevice in assembly with stereotactic apparatus. Right: The clipping device is shown unassembled (right), and with open clip on the tip and first pivot (left). Three clips pf different sizes are shown (center).

Fig. 2. Case 1. Angiograms showing a supraclinoid internal carotid aneurysm before operation (A), during stereotaxic clipping (B, C) and two weeks after operation (D, E).

Fig. 3. Case 2. Angiograms showing an anterior communicating artery aneurysm before operation (A), after clipping of the anterior cerebral artery (B), and during the second operation (the first clip slipped) (C). Right (D) and left (E) carotid angiograms show the result of a second, more proximal clipping of the anterior cerebral artery. The aneurysm did not fill.

Fig. 4. Case 4. Angiograms showing a giant AVA, supplied by bilateral arteries. A: Before surgery. B: After stereotaxic clipping of tne significantly hypertrophic branch of the right middle cerebral artery (note two clips), the AVA volume was markedly reduced. C: During the second operation on the other side clipping of the left anterior cerebral artery was carried out. D: After clipping, the remaining part of the AVA supplied by this artery was eliminated.

Fig. 5. Case 5. Angiograms of a large AVA supplied by middle and posterior cerebral arteries before (A) and after (B) clipping of middle cerebral artery. The aneurysm was not visualized.

Fig. 6. Case 7. Angiograms of a middle-sized AVA supplied mainly by pericallosal artery. A: During the operation. B: After stereotaxic dipping of the artery the aneurysm did not fill.

Fig. 7. Case 8. Angiograms of a small AVA supplied only by one branch of the middle cerebral artery just before (A), during (B), and after (C) stereotaxic clipping. The aneurysm was totally excluded from the circulation.

 

 

 

 

 

1980. REGGISPATOLE CEREBRALI A DUE BRACCIA FLESSIBILI.

 

Fissato al bordo della craniotomia questo reggispatole poteva tenere in posizione fissa, senza l’aiuto di un secondo operatore le due spatole che permettevano il libero accesso nel profondo del campo chirurgico.

 

 

 

 

 

SPATOLE CEREBRALI FLESSIBILI

 

 

 

SPATOLE E DISSETTORI

 

Spatole e dissettori per manipolazioni varie

Microdissettore per aneurismi

 

 

 

 

 

SPATOLE CEREBRALI FLESSIBILI, ELASTICHE E TRASPARENTI.

Le Spatole Cerebrali Flessibili e Trasparenti sono state realizzate in policarbonato che unisce la massima resistenza ed trasparenza ad una flessibilità. La trasparenza è utile a controllare il cervello e la sua sofferenza ischemica sotto la spatola e la flessibilità permette di adattarla in ogni situazione. Inoltre al termine del manico vi è una presa per la fibra ottica utile a portare ulteriore luce proprio nel profondo della cavità operatoria. La sterilizzazione avviene tramite il cloruro di etilene in confezioni apposite.

 

 

 

 

1983. CASCO STEREOTASSICO DI LEKSELL TC COMPATIBILE

 

Nel 1980 veniva pubblicata una novità che riguardava il Casco Stereotassico di Leksell, già in uso in neurochirurgia dagli anni ’50, per adattarlo all’uso con la Tomografia Computerizzata. Questo adattamento prevedeva che il calcolo delle coordinate del target su cui fare una biopsia o una lesione venisse eseguito sulle immagini di una TC eseguita sul paziente con il casco montato sul cranio dello stesso. La TC mostrava quindi il cranio del paziente, i punti fiduciali come riferimenti per il calcolo del target e la lesione intracerebrale su cui intervenire.

[ima TC cranio con il calcolo del target]

Casco Stereotassico di Leksell montato su un cranio a scopo didattico. A sinistra proiezione obliqua anterio-superiore. A destra immagine laterale.

 

Ago per biopsia stereotassica di Sedan. È stato usato anche l’ago per biopsia di Backlund che termina con una spirale (vedi immagine sotto)

A sinistra, biopsia cerebrale con spirale di Backlund. A destra, una piccola parte del materiale biopsiato veniva strisciato e colorato (in una studio attrezzato accanto alla sala operatoria) per una conferma della correttezza del prelievo mentre il rimanente veniva incluso e preparato per lo studio con le metodologie in uso in neuropatologia.

Ago stereotassico per la puntura di un ascesso. Drenato parte dell’ascesso l’ago veniva sostituito con un cateterino che rimaneva inserito nella cavità ascessuale per ulteriori lavaggi con antibiotici nei giorni seguenti.

E’ stato eseguito un intervento d’urgenza per il drenaggio stereotassico di un ascesso nell’angolo ponto-cerebellare destro in una bimba di 7 anni giunta agli Spedali Civili con obnubilamento del sensorio ed una lunga storia di otite destra. La TC mostrava un processo espansivo interpretato come ascesso ed è stata operata d’urgenza con tecnica stereotassica perchè si riteneva, di concerto con l’anestesista, che difficilmente avrebbe sopportato un intervento cranitomico in fossa posteriore, sia per la posizione prona sia per la durata dello stesso.

Dall’ago stereotassico fuoriesce ul liquido dal tipico colore di “olio per motore”, si tratta del liquido contenuto in una cisti di un craniofaringioma.

La paziente è stata trattata con l’inserimento di una soluzione di Yttrio colloidale secondo la metodica di Olof Backlund. Non si sono verificati gli effetti collaterali temuti sulle vie ottiche, e neanche sulla produzione ormonale: la paziente ha sempre avuto il ciclo mestruale e dopo qualche anno ha anche avuto un figlio.

A sinistra, un paziente sul tavolo operatorio, dopo aver eseguita la Tonografia Computerizzata per il calcolo del target. A destra una immagine di controllo della posizione della punta dell’ago stereotassico eseguita con il Neurogil (scanner radiologico).

Template per l’inserimento di semi radioattivi per l’irradiazione interstiziale dei tumori cerebrali. L’asta va montata sulle guide porta-aghi dell’arco stereotassico con, a destra il distanziatore con vite e, a sinistra, i template in teflon con i fori in cui inserire le cannule porta-isotopi. Sotto i template con misure diverse.

 

A sinistra. L’apparecchio stereotassico è stato anche usato come guida di precisione per eseguire interventi in tumori profondi con tecnica “a cielo aperto”. A destra. Un grafico presentato nel 1990 con la statistica dei primi casi di biopsia stereotassica.

L’utilizzo dell’apparecchiatura stereotassica è stata usata anche in tumori del tronco con cui abbiamo pubblicato, assieme  ai colleghi di Stoccolma, questo articolo:

1987. Mathisen J.R., Giunta F., Marini G., Backlund E-O., Transcerebellar Biopsy in the Posterior Fossa: 12 Years Experience. Surg. Neurol., 1987, 28, 100-4.

 

 

 

 

1980. POSACLIP PER ANEURISMI DELLE ARTERIE ENDOCRANICHE

 

 

 

 

 

 

2006. CONGRESSO ASCO (American Society of Clinical Oncology) in ATLANTA (USA)

Alternative schedules of adjuvant temozolomide in glioblastoma multiforme: a 6-year experience.

Background. Temozolomide (TMZ) is an oral alkylating agent with proven efficacy in the therapy of glioblastoma multiforme (GBM). The activity of TMZ is drug-exposure dependent, however dosages are primarily limited by myelotoxicity. In the attempt to increase survival while limiting toxicity, we treated GBM patients (pts) with one of 3 alternative adjuvant TMZ schedules, including a low-dose daily regimen.

Methods. We assessed the overall survival and the development of grade 3-4 mielotoxicity in pts with GBM who were treated in our centre (November 1998-October 2005), following surgery, with one of the following TMZ schedules: standard schedule (SS: 200-300 mg/m2 x 5 days, every 28 days); extended schedule (ES: 150 mg/m2 x 7 days every 15 days); daily schedule (DS: 75 mg/m2 daily). Pts were treated until death or tumour progression. The analysis of survival was based on the Kaplan-Meier (KM) and the Cox models. Adverse events were graded according to NCICTC 3.0.

Results. We evaluated 117 pts (73 m, 44 f, avg. age 57 yrs, 53% received radiotherapy, RT) with histologically diagnosed gliomas (GBM=92.3%) treated with TMZ SS (tot pts=48, RT pts=22, no. cycles: 1÷33, avg 6) or ES (tot pts=35; RT pts=19, no. cycles: 1÷43, avg 16) or DS (tot pts=34; RT pts=21, days of treatment: 25÷671, avg 212). The overall survival significantly differed among the 3 schedules (KM), with DS providing the best outcome (p=0.0357, log-rank). Median survival time was markedly increased in DS pts (DS=29.47 months; ES=15.73 months; SS=11.90 months) as well as the survival rate at 2 yrs after diagnosis (DS=51%; ES=30%; SS=21%). DS, but not ES, significantly reduced the mortality hazard ratio (HR) compared to SS (Cox: HR=0.494; IC95% 0.253-0.966, p=0.039). Grade 3-4 myelotoxicity (leukopenia, LP; neutropenia, NP; thrombocytopenia,TP) occurred less frequently with DS (NP=2.9%; TP=2.9%; any=5.9%) than with ES (LP=11.4%; NP=14.3%; TP=17.1%; any=28.6%) and SS (LP=14.6%; NP=8.3%; TP=20.8%; any=22.9%).

Conclusions. In our experience with adjuvant TMZ in GBM, a continuous daily dose of 75 mg/m2 was on the whole more advantageous than a standard monthly or a biweekly regimen, as it resulted in the highest overall survival with the lowest hematologic toxicity.

 

 

 

 

 

2006, 6 giugno, Brescia. Corso di aggiornamento. TUMORI CEREBRALI: INTEGRAZIONE TERAPEUTICA MULTIDISCIPLINARE