- 7000-3000 AF Trapanazioni Craniche Preistoriche in Europa occidentale
- 7000 – 2000 anni fa in Europa
- 7.000 – 5.000 AF neolitico in Italia
- 5000 AF. Calotta trapanata nella grotta del Leone ad Agnano (Pisa)
- 7000 a.C. L’esemplare trapanato di Trasano (Matera)
- 7000-5500 AF. Età del rame L’esemplare n. 1 trapanato di Casamari-Valle del Liri (Lazio)
- 5000-4000 a.C. L’esemplare trapanato della Grotta Patrizi al Sasso Furbara (Cerveteri)
- Lesioni sincipitali in crani enei italiani [5500-3200 AF]
- 5500 AF. L’esemplare n. 2 trapanato delle Pianacce-Camaiore (Lucca)
- 5300-3800 AF. Età del rame Cultura del vaso campaniforme Resto cranico di Cà dei Grii-Rezzato (Brescia)
- 4480-3855 AF. Età del rame sardo L’esemplare A trapanato di La Crucca (Sassari)
- 4480-3855 AF. Età del rame sardo L’esemplare B trapanato di La Crucca (Sassari)
- 5500-4300 AF. Età del bronzo L’esemplare n. 6492 (1) trapanato dello Scoglietto
- 5500-4300 AF. Età del bronzo L’esemplare n. 6495 (4) dello Scoglietto
- 5500-4300 AF. Età del bronzo. L’esemplare n. 6498 (7) trapanato dello Scoglietto
- 5500-4300 AF. Età del bronzo. L‘esemplare n. 6511 (10) trapanato dello Scoglietto
- 5500-4300 AF. Età del bronzo. L’esemplare n. 6506 (15) trapanato dello Scoglietto
- 4500-3600 AF. Dal Combattimento alla Lesione. Reperti scheletrici umani di Età Nuragica.
- 4000 AF. Età del bronzo siciliano. L’esemplare n. I trapanato di Stretto-Partanna (Trapani)
- 3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L’Esemplare n. 1 (tomba 1) trapanato di Su Crucifissu Mannu (Sassari)
- 3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro, L’esemplare n. 13 (tomba 16) trapanato di Su Crucifissu Mannu
- 3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L ‘esemplare n. I trapanato di Taulera-Alghero (Sassari)
- 3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L’esemplare F trapanato di Perdalba-Sardara (Cagliari)
- 3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L’esemplare n. 1 trapanato di Nuraxi Figus-Gonnesa (Cagliari)
- 3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. Il resto cranico M trapanato di Seulo (Nuoro)
- 3800-2600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L’esemplare trapanato di Sisaia-Dorgali (Nuoro)
- 3527-3328 AF. Un trattamento chirurgico inusuale per trauma cranico.
- 7.000 – 2.000 anni fa in Francia
- 7000 AF. agricoltori neolitici a Ensisheim, in Alsazia (Francia)
- 5.700 – 2.000 anni fa in Spagna e Portogallo
- 9340-6850 AF. Cranio trapanato Asturiano a Colombres.
- 8.000 – 2.000 anni fa in Portogallo
- 8000 AF. Le manipolazioni craniche umane nel Mesolitico.
- 8000 AF. Ossa craniche dalla Moita do Sebastião (Freguesia: Muge; Concelho: Salvaterra de Magos; Distrito: Santarém).
- 9000 AF. Crâni dal Concheiro do Cabeço da Arruda (Freguesia: Muge; Concelho: Salvaterra de Magos; Distrito: Santarém).
- 6000-3200 AF. Review of the Portuguese Prehistoric Trepanations (N eolithic, Chalcolithic and Early Bronze Age)
- 5310-4875 AF. A Neolithic Case of Cranial Trapanation (Eira Padriha, Portugal)
- 5370±70 AF. Gruta do Lagar (Freguesia: Melides; Concelho: Grândola; Distrito: Setúbal).
- 7990±60 – 4600±90 AF. Gruta da Casa da Moura (Freguesia: Olho Marinho; Concelho: Óbidos; Distrito: Leiria).
- 4335±65 AF. Gruta da Furninha (Freguesia: São Pedro; Concelho: Peniche; Distrito: Leiria).
- 5120±80 AF. Gruta do Lugar do Canto (Freguesia: Alcanede; Concelho: Santarém; Distrito: Santarém).
- 4170±70 AF. Gruta das Fontainhas (Freguesia: Cercal; Concelho: Cadaval; Distrito: Lisboa.
- 4000-3400 AF. Covão d’Almeida/Eira Pedrinha (Freguesia: Condeixa-a-Velha; Concelho: Condeixa-a-Nova; Distrito: Coimbra)
- 3400 AF. Lapa da Galinha (Freguesia: Vila Moreira; Concelho: Alcanena; Distrito: Santarém).
- 3400 AF. Covão de José Bruno (Freguesia: Lamas; Concelho: Cadaval; Distrito: Lisboa).
- 3400 AF. Hipogeus de São Paulo II (Freguesia: Almada; Concelho: Almada; Distrito: Setúbal).
- 3400 AF. Hipogeus da Pedra do Sal (São Pedro do Estoril; Freguesia: Estoril; Concelho: Cascais; Distrito: Lisboa).
- 3400 AF. Algar do Bom Santo (Freguesia: Abrigada; Concelho: Alenquer; Distrito: Lisboa).
- 3400 AF. Algar do Poço Velho (Freguesia: Cascais; Concelho: Cascais; Distrito: Lisboa).
- 8.000 – 2.000 anni fa in Germania
- 4500 AF. Two trephined skulls from Schleswig-Holstein
- 3940 AF. The Neolithic skull from Bölkendorf–evidence for Stone Age neurosurgery?
- 8.000 – 2.000 anni fa in Svizzera
- 8.000 – 2.000 anni fa in Austria
- 7000-3200 AF. Celtic Trepanations in Austria
- 8.000 – 2.000 anni fa in Gran Bretagna
- 8.000 – 2.000 anni fa in Irlanda
- 8.000 – 2.000 anni fa in Damimarca, Svezia e Norvegia
- Danimarca
- Svezia
- Scandinavia
- 8.000 – 2.000 anni fa in est Europa e Russia
- Polonia
- Cecoslovacchia
- Romania
- Jugoslavia e l’Albania
- La Grecia e la Turchia
7000-3000 AF Trapanazioni Craniche Preistoriche in Europa occidentale
Le trapanazioni craniche del passato sono spesso state interpretate genericamente come facenti parte di un rituale magico-religioso, ma è evidente che una buona parte delle trapanazioni studiate possono essere riferite ad un atto terapeutico specialmente se riferite al trattamento delle ferite craniche.
Le trapanazioni craniche sono i segni più antichi di cure chirurgiche praticate dagli uomini fin dal Neolitico. Infatti i traumi cranici sia accidentali sia subiti in corso di colluttazioni, per l’inquinamento microbico, andavano spesso incontro a suppurazione con ascessi che potevano coinvolgere non solo i tessuti epicranici, ma anche le ossa tecali con osteiti di difficile guarigione. Quindi possiamo ritenere che quando ogni tentativo di cura conservativa con intrugli vari falliva il “medico-chirurgo“ di allora passava alla terapia cruenta tentando di rimuovere i tessuti necrotici e il pus anche dall’osso osteitico provocando incisioni, avvallamenti per erosione che talora si limitava alla diploe ed altre arrivava alla dura madre.
Poichè spesso le trapanazioni craniche sono dovute a tentativi, spesso riusciti, di curare i traumi cranici, questi verranno trattati insieme.
7000 – 2000 anni fa in Europa
Il modello di “avanzamento ad onda” secondo la proposta di Nancy T. Ammerman e del genetista Luigi Luca Cavalli Sforza (Ammerman, Cavalli Sforza, 1984)
7.000 – 5.000 AF neolitico in Italia
5000 AF. Calotta trapanata nella grotta del Leone ad Agnano (Pisa)
Gli scavi nella grotta del Leone presso Agnano (Pisa) hanno avuto luogo dal 1947 al ‘51 sotto la direzione del Prof. Ezio Tongiorgi e con l’aiuto di altri membri dell’Istituto di Paleontologia umana. …
Le ossa umane che sono oggetto del presente studio, sono state trovate tutte nello strato intermedio (eneolitico). Esse erano in gran parte fratturate e disperse senza alcun ordine; molte erano incluse nella stalagmite che separa lo strato superiore da quello medio e ciò fa pensare che esse siano rimaste in superficie dopo che la grotta cessò di essere frequentata dagli uomini dell ‘eneolitico.
Profilo della calotta cranica trapanata al
passaggio fronto-parietale sinistro.
Calotte craniche
Usiamo la denominazione di « calotta » in senso generico per indicare porzioni più o meno estese del cranio cerebrale che, sempre prive della base, superano la dimensione dell’osso isolato e possono in qualche modo dare un’idea, almeno parziale, della morfologia della volta cranica. In questo senso si dispone di 14 calotte delle quali diamo appresso l’elenco, completato da cenni descrittivi :
Calotta (trapanata) di individuo adulto probabilmente uomo.
Il pezzo di cui si dispone comprende: frontale quasi completo, parietale sinistro completo, parietale destro parziale e occipitale parziale. Questa calotta, riprodotta nelle norme superiore e laterale, è molto interessante dal punto di vista etnografico perchè presenta una trapanazione assai ampia, residuo di un’operazione alla quale il soggetto è sopravvissuto.
La sopravvivenza del soggetto è dimostrata dalla cicatrizzazione del margine dell’apertura; e la stessa localizzazione della trapanazione (che non intacca il grande seno venoso sagittale) depone in favore della possibilità di sopravvivenza. La ferita, limitata da contorno subrettangolare, interessa il solo osso parietale sinistro. S’inizia a 19 mm. dalla sutura sagittale; ha una lunghezza massima di 37 mm. diretta parallelamente alla sutura coronale e una larghezza massima di 23 mm.; il suo margine anteriore decorre molto prossimo alla sutura coronale.
La calotta in questione è citata e riprodotta in uno studio di Battaglia (1955 : pag. 7 e tav. V), al quale rimandiamo per i confronti e le interpretazioni.
La calotta presenta le suture sagittale e coronale saldate e in gran parte obliterate e la lambdoidea parzialmente saldata: si deve trattare quindi di un individuo di almeno 40 anni. I rilievi sopraciliari sono deboli, la fronte eretta, le bozze frontali e parietali abbastanza ben distinguibili, lo spessore sottile, le linee temporali poco rilevate, l’inion piccolo: ciò nonostante, specialmente in base alle dimensioni notevoli, è più probabile che si tratti di un uomo. Dal punto di vista antropologico la calotta rientra nella classe della dolicomorfìa nonostante l’indice di mesocrania (79,7). Osservata nella norma superiore presenta contorno pentagonoide reso assai acuto dall’occipite prominente la cui forma a tipico chignon è accentuata da una notevole batrocefalia. Questa si attua in una fascia che fiancheggia la sutura lambdoidea ed è accompagnata dalla formazione di numerosi wormiani alcuni dei quali di notevoli dimensioni. Entrambe queste strutture, ma più particolarmente lo chignon, sono relativamente frequenti nel neolitico ligure. …
Da Parenti R., Vanni V., Convalle R. Studio antropologico dei resti scheletrici rinvenuti nella grotta del Leone presso Agnano (Pisa), Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia, 1960, 90, 129-147.
Gli scavi nella grotta del Leone sul Monte Pisano vennero effettuati da E. Tongiorgi e Collaboratori dal 1947 al 1951. Si trattava di un deposito antropozoico alto più di due metri. Nello strato medio, spesso circa 50 cm, in un contesto dell’Eneolitico locale contenente qualche elemento di tipo Rinaldone (fine del III millennio a.C.) furono ritrovati i resti scheletrici, non in connessione, di una ventina di individui dolicomorfi della Varietà Danubiana della Razza Mediterranea; fra questi venne isolato l’esemplare trapanato in esame (Battaglia, 1954-55; Parenti et al, 1960; Fornaciari, 1985).
Si tratta di una calotta incompleta, sub-brachicranica, di donna (o «probabilmente un uomo»: Parenti et al, 1960) di età adulta. Il resto cranico è pentagonoide in norma superiore, batriocefalico con bozze frontali evidenti.
Dettagli della sua patologia erano già stati pubblicati da Laj (1948, in Battaglia, 1954-55), dallo stesso Battaglia (1954-55) e da Fornaciari (1985).
Nel quadrante anteriore e mediale del parietale sinistro si apre una depressione di forma irregolarmente trapezoidale con base rivolta posteriormente e con i quattro lati lunghi, rispettivamente in senso orario, mm 55, mm 28, mm 45 e mm 38. Sul suo fondo si apre un foro irregolarmente allungato, a maggior asse obliquo (mm 40 X 20), a bordi irregolarmente dentellati, talora sbeccati per fatti postmortali. In corrispondenza dei margini della breccia le strutture diploiche si presentano per lo più obliterate per neoapposizione ossea cicatriziale. La superficie della depressione è caratterizzata da irregolari rilievi e affossamenti in casuale successione. Non vi affiorano strutture diploiche e un tessuto osseo compatto ricopre tutta la superficie, sulla quale non si notano più tracce lasciate da eventuali strumenti. L’endocranio a livello della lesione non presenta particolari caratteristiche patologiche, soltanto vi si notano foveole del Pacchioni di varia entità, localizzate sia nella squama frontale, che nelle parietali.
L’esame radiologico, da noi effettuato, ha evidenziato una situazione di fine e diffusa porosi dei tavolati ossei, in cui, nella squama frontale e parietale soprattutto del lato di destra, fanno spicco alcune aree di rarefazione, riferibili a foveole del Pacchioni di varia entità. L’area corrispondente alla lesione trapezoidale è caratterizzata da immagini sfumate, da riferire a fatti di ristrutturazione ossea cicatriziale.
La sopravvivenza del soggetto all’intervento, in base ai fatti cicatriziali e alla situazione radiologica, è quantificabile nella misura di parecchi mesi, forse un anno.
Nulla si può con certezza riferire sullo strumentario usato, dal momento che gli avanzati fatti cicatriziali hanno cancellato ogni segno di intervento manuale. Si può cautamente pensare a strumenti litici, usati per scarificazione progressiva dei tavolati senza uno schema prefisso dell’atto operatorio.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
7000 a.C. L’esemplare trapanato di Trasano (Matera)
Esso proviene da una sepoltura a fossa, priva di corredo, sita presso il muro di un villaggio neolitico, appartenente alla Cultura della ceramica dipinta a bande rosse (fine del V millennio a.C. ).
Al momento del rinvenimento lo scheletro si presentava ancora in connessione anatomica, rannicchiato sul fianco sinistro. Il calvario, interessato da rotture postmortali, è stato restaurato da Cassoli; esso, inoltre, presenta una deformazione postmortale, dovuta a compressione latero-laterale nel sito archeologico.
Si tratta di un calvario dolicomorfo, appartenuto a individuo di età adulta non avanzata. … In regione bregmatica mediale si apre una soluzione di continuo, quasi perfettamente ellissoide (abbiamo potuto osservarla prima del restauro e dopo), a maggior asse antero-posteriore, con diametri esterni di mm 26×20 e diametri interni di mm 22×18. I bordi della lesione si presentano regolarmente smussati e precipiti verso l’interno, omogeneamente ricoperti da tessuto osseo neoformato, che ha obliterato le lacune diploiche. Queste, ovviamente, sono ampiamente visibili dove compaiono le fratture postmortali.
In corrispondenza del versante endocranico la lesione presenta usure postmortali sia a carico del tavolato interno che delle strutture diploiche. Tali erosioni rendono difficile la lettura del reperto, che si sospetta presentasse in vita, a quel livello, strutture anatomiche normali.
Al momento della scoperta, nella cavità endocranica è stato rinvenuto un frammento di osso piatto di forma irregolarmente ellissoide (mm 18×13).Da un lato esso presenta una superficie irregolarmente pianeggiante, interessata trasversalmente da un sottilissimo solco. Dall’altro lato la superficie è costituita per circa 2/3 da tessuto spugnoso, assimilabile alle strutture diploiche. Si tratta evidentemente di un frammento neurocranico, costituito da tavolato interno e da diploe, e attraversato da un tratto di sutura (coronale?). È questa una rondella che combacia perfettamente con la breccia di trapanazione e che, parzialmente riassorbita, dimostra di essere stata lasciata a copertura del foro chirurgico per tutto il tempo di sopravvivenza del soggetto. Tale rondella ricorda quelle lasciate in situ da certe popolazioni africane contemporanee a protezione della breccia neurocranica: le cosiddette «pietre di testa» dei Teda (AA.VV., 1979).
L’esame radiologico dell’esemplare non mette in evidenza fatti osteoporotici, né evidenti fatti cicatriziali (iniziali, o più o meno avanzati) e a livello del foro le trabecole ossee si presentano ristrutturate per antica cicatrizzazione. D’altra parte l’esame radiologico della rondella rivela come questa sia preda di minuta e diffusa osteoporosi per riassorbimento delle relative strutture calciche.
In conclusione l’esemplare di Trasano presenta una lunga sopravvivenza all’intervento di trapanazione, quantificabile attorno a molti mesi, se non addirittura un anno e una tale affermazione sembra confortata dallo stato attuale di decalcificazione della rondella, che nel vivente doveva essere stata messa in corrispondenza della breccia ossea a contatto diretto con i tessuti molli (alla cui azione si deve il suo parziale riassorbimento).
L’esemplare di Trasano è in deposito temporaneo presso il Dipartimento di Scienze Archeologiche dell’Università di Pisa.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
7000-5500 AF. Età del rame L’esemplare n. 1 trapanato di Casamari-Valle del Liri (Lazio)
L’esemplare di Casamari venne rinvenuto dall’ Antonelli nel 1928 in una sepoltura con resti di almeno 8 individui, associati a materiale culturale di facies rinaldoniana (Antonelli, 1928; Genna, 1933-34) [Età del Rame].
Il piccolo gruppo umano di Casamari (composto da soli uomini adulti) è caratterizzato da forme craniche prevalentemente brachimorfe (solo un esemplare si presenta dolicomorfo, ellissoide, acrocranico), ipsitapeinocraniche con fronte variabile, aristencefaliche di statura attorno ai cm 168,6 (Manouvrier-vivente), o ai cm 169,5 (Pearson), ma – osserva Genna – potevano raggiungere anche i cm 172, trattandosi di un gruppo «cromagnonoide».
La calva n. 1 è di uomo adulto-maturo, dolicomorfo pentagonoide, subbrachicranico, aristencefalico, -ipsi-tapeinocranico, metriometopico con creste frontali divergenti. Un esame paleopatologico è stato effettuato, oltre che da Genna (1930-32; Id, 1933-34), anche da Battaglia (1954-55).
La calva presenta sei, forse sette lesioni, che verranno contrassegnate con le lettere dalla A alla G:
A – Nella porzione mediana-alta della squama frontale si apre un affossamento crateriforme a maggior asse trasversale e con i bordi più precipiti a sinistra, meno a destra, largo poco meno di 4 cm e lungo circa 3 cm. Sul bordo più precipite (quello di sinistra) si notano delle solcature radiali, irregolarmente smussate e non più di sei forellini diploici rotondeggianti, in parte obliterati; questi mancano nel versante di destra. Il foro di trapanazione, anch’esso ellissoide, si apre nell’endocranio, che nel complesso si presenta di aspetto normale.
B – Quasi a ridosso della lesione A (posteriormente a sinistra) si apre un altro avvallamento crateriforme, di forma irregolarmente romboide a maggior asse trasversale (mm 30 x 25). La sua superficie si presenta rugosa con qualche raro forellino diploico ancora pervio. Il foro ha forma allungata in senso antero-posteriore (circa mm 14 X 7). La sutura coronale in corrispondenza della lesione appare sinostosata, in quanto coinvolta nel rimaneggiamento cicatriziale.
C – La lesione si apre nella regione obelica, soprattutto a carico del parietale di destra. Si tratta di un affossamento crateriforme, rotondeggiante (mm 22 X 25) a maggior asse trasversale. La sua superficie è analoga a quella delle due precedenti lesioni, con qualche rarissima cribrosità diploica rotondeggiante in massima parte obli~erata . La sutura sagittale in prossimità della lesione si presenta anch’essa sinostosata. Un piccolo foro irregolare di forma allungata in senso trasversale si apre nel fondo dell’avvallamento e ha margini irregolarmente sbrecciati per probabili fatti postmortali.
D – E – F – G – Le lesioni D ed E si aprono a carico della bozza parietale di sinistra (l’una nell’area anteriore, l’altra posteriormente, ad un livello più basso). La lesione F si apre nel parietale di destra, quasi simmetricamente alla lesione E, mentre la lesione G è appena visibile sul frontale. Si tratta di affossamenti rotondeggianti a superficie appena rugosa; più profonda la fossetta D, meno la G. Cribrosità diploiche rotondeggianti e prossime a obliterarsi affiorano soltanto nelle fossette D, E e F. Analoghe fossette sono state descritte da vari Autori, che le hanno chiamate ora cupules, ora trapanazioni incomplete e ora impressions (Dastugue, 1973; Id, 1982; Thillaud, 1983; Bennike, 1984; Id, 1985; etc).
L’esame radiologico da noi effettuato rivela, innanzi tutto, una situazione di fine porosità diffusa a carico dei tavolati. In corrispondenza delle lesioni A, B e C si nota, coincidente per forma e estensione ai rispettivi avvallamenti, un’area di fine e diffusa sfumatura delle strutture calciche, evidentemente preda a fatti cicatriziali ancora in atto.
Genna (1930-32) e Battaglia (1954-55) pensavano che la simmetria delle lesioni, unitamente alla medianità delle lesioni A, Be C, potesse essere ricondotta al T sincipitale dei Francesi. Noi siamo del parere che tale situazione «spaziale» delle lesioni sia casuale, anche perché non esiste una simmetria vera e propria e, d’altra parte, il T sincipitale è una lesione da causticazione, mentre quelle dell’esemplare di Casamari, come vedremo, non lo sono.
È nostra opinione che la maggior parte delle lesioni in questione sia stata prodotta mediante l’uso di uno strumento litico, usato come un bulino, facendolo cioè ruotare sul suo asse maggiore e anche la lesione A, che sembra determinata dalla confluenza di due fori rotondeggianti contigui. Probabilmente la lesione B è stata realizzata mediante scarificazione.
Nulla si può arguire circa la finalità dell’intervento plurimo e, d’altra parte, l’analogo grado di cicatrizzazione di tutte le lesioni depone per una sopravvivenza prolungata del soggetto (parecchi mesi e forse più di un anno), probabilmente operato in un unico tempo.
L’esemplare di Casamari è conservato presso il Museo Preistorico Etnografico «L PIGORINI» di Roma.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
5000-4000 a.C. L’esemplare trapanato della Grotta Patrizi al Sasso Furbara (Cerveteri)
La grotta Patrizi si apre al Sasso-Furbara (Cerveteri), fu scoperta nel 1933 e scavata nel 1949 sia dal suo scopritore Patrizi (di cui porta il nome), che da Radmilli e Segre. Trattavasi di un deposito funerario, contenente almeno sette inumati in deposizione primaria e materiale culturale da riferire alla Cultura della ceramica a linee incise della fine del V – inizi del IV millennio a.C. (Patrizi et al, 1954).
Uno degli individui, esaminato anche da Battaglia (1954-55), presentava una evidente trapanazione cranica. L’accuratezza nella deposizione e la ricchezza del corredo funebre fecero pensare che l’individuo in esame svolgesse un ruolo importante in seno alla sua comunità (Radmilli, 1974).
… Età calcolata sui 23 anni; statura (Manouvrier-vivente) cm 163 (calcoli di Mangili, che ha pure restaurato l’esemplare).
… In corrispondenza dell’area bregmatica e a carico di entrambi i parietali e del frontale si apre un’ampia breccia, irregolarmente ellissoide, a maggior asse antero-posteriore (mm 50 x 30), a margini ripidi, ricavati nello spessore dei tavolati. Tale pendenza è più accentuata a carico dei due parietali, meno a carico della porzione frontale. I tessuti diploici si presentano in massima parte obliterati per neoapposizione ossea cicatriziale. Lungo i bordi e parallelamente a essi si notano innumerevoli incisioni lineari, che si incrociano nel fornice anteriore del foro. Altri solchi lineari e netti si notano nella regione temporo-parietale destra a una certa distanza dalla breccia. Vari altri solchi più superficiali e con varia direzione sono presenti su entrambi i parietali nelle immediate vicinanze del foro. Tutti i solchi segnalati interessano soltanto i tavolati esterni, non la diploe, e non presentano rimaneggiamenti cicatriziali.
Sulla scorta di tale situazione anatomo-patologica Mangili pensò che l’operatore, giunto ai piani ossei, lavorando per abrasione con l’ausilio di una lama litica denticolata e poi col vertice di altra lama abbia tracciato i vari solchi. Quelli presenti sull’esocranio sarebbero dovuti a errore di tecnica trapanatoria. Lo stesso Mangili poi pensa che la trapanazione sia in rapporto finalistico con tutte le altre anomalie del soggetto deforme.
Noi piuttosto pensiamo che la trapanazione fu realizzata almeno in due tempi: inizialmente venne effettuata la breccia ellissoide, probabilmente per scarificazione, o allargando per gradi una breccia iniziale con coltelli litici.
L’obliterazione dei tessuti diploici dimostra che si ebbe sopravvivenza al primo intervento. In un secondo momento, a distanza di tempo, l’operatore sentì il bisogno di tracciare lungo i bordi della breccia tutti quei solchetti lineari e paralleli che si incrociano anteriormente e al cui livello manca un’apprezzabile reazione cicatriziale. Gli altri solchi sull’esocranio sono dovuti (e qui ha ragione Mangili) a maldestri tentativi di scotennamento; la mancanza di fatti cicatriziali a loro livello fa pensare che essi furono seguiti immediatamente dal decesso del soggetto.
Questa ipotesi è confortata dall’esame radiologico che abbiamo praticato sull’esemplare: mancano fatti porotici diffusi o circoscritti del neurocranio; a livello della lesione non si nota ristrutturazione cicatriziale ed è di dubbia interpretazione una piccola formazione, dovuta ad ispessimento calcico, a forma di «T», lunga pochi millimetri, che si nota in corrispondenza del fornice anteriore della lesione.
Raschiamento e incisione sono le due tecniche impiegate dall’operatore, che intervenne almeno due volte, e a distanza di vari mesi, sul cranio dell’uomo «deforme» della grotta Patrizi. Il resto cranico è conservato presso il Museo Preistorico-Etnografico «L. Pigorini» di Roma.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
Lesioni sincipitali in crani enei italiani [5500-3200 AF]
Nella relazione del 1914 in «Atti del Comitato per le ricerche di Paleontologia Umana in Italia », N. Puccioni, nel resoconto sulla esplorazione alle grotticelle sepolcra li delle Pianacce nei pressi di Camaiore (Toscana), presentò due crani incompleti , contrassegnati con i numeri I e II, trovati in dette grotte insieme a ceramica databile (sempre secondo Puccioni) all’eneolitico sebbene da Autori più recenti (R. Parenti) questi reperti vengano attribuiti all’epoca del Bronzo. [3500-1200 a.C.]
Cranio n. 1 del gruppo dello Scoglietto. Ben visibile la “marque sincipitale” con trapanazione centrale.
Nella calva n. II. l’autore credette di ravvisa re, esternamente, lungo la sutura sagittale una configurazione che «rammenta il ben noto T sincipitale osservato da Manouvrier nei crani dei dolmens della Senna e Oise». …
Il Puccioni precisa che la depressione allunga ta, osserva ta nella calva delle Pianacce, inizia con la sutura sagittale e si estende indietro con la sutura stessa per 38 mm., essendo scavata a spese del tavolato esterno e della diploe, con al centro una piccola soluzione di continuo. …
Nell’intento di studiare più a fondo la cosa, ho ripreso in esame la calva in parola, … alla descrizione già data in merito da N. Puccioni è da aggiungere qualche nota, che riveste particolare interesse in vista del nostro studio: vista dall’esterno la calva appare in buone condizioni di conservazione, … con ridotta visibilità della sutura sagittale e della coronale, in specie della prima nel punto in cui sarebbe stata scavata la fossa, e con lieve permanenza delle configurazioni suturali nelle parti basse, bilateralmente, della coronale (Fig. 1 …). Trattasi di cranio decisamente maschile. La depressione si trova proprio nel sincipite, con disposizione longitudinale. La sua forma è quella di una ellisse molto allungata, della lunghezza di 61 mm. e della larghezza massima di 28 mm. (quindi, in realtà, alquanto più lunga di quanto ce l’ha descritta Puccioni). In forma di cucchiaio allungato, essa inizia assai più in avanti del bregma (circa 14 mm.) come si vede ad occhio e come meglio si apprezza col polpastrello del dito passato trasversalmente al davanti della coronale e raggiunge in dietro quasi l’obelion. La superficie depressa è liscia e di colore più chiaro delle zone circostanti. A circa 33 mm. dall’inizio, procedendo in dietro, si osserva una piccola soluzione di continuo, anch’essa elissoidale con dimensioni di mm. 2,5 per 1, i cui margini sembrano costituiti dall’accollamento dei due tavolati, senza diploe interposta, e tale rilievo come vedremo è particolarmente dimostrato dalla indagine roentgen. In corrispondenza di questa formazione, osservando dalla superficie interna, non si nota alcuna modificazione del tavolato: in questa regione esistono invece perifericamente grosse nicchie, per accogliere le granulazioni di Pacchioni. …
In complesso, sia per i caratteri generali delle ossa che di quelli dello stato delle suture, è da attribuire al soggetto una età di circa 60 anni.
A prima vista l’aspetto esterno è quello di una escavazione artificiale, che abbia raggiunto solo in un punto la cavità interna e che potrebbe essere stata ottenuta con sfregamento, a movimento elissoidale, da parte di un corpo più duro dell’osso. La superficie della supposta escavazione è liscia e praticamente senza bordi, passandosi in maniera quasi insensibile verso la superficie circostante. Ora, esaminando da vicino, con una lente cli ingrandimento, la lesione della calva delle Pianacce si ha proprio l’impressione che trattisi di una lesione artificiale per sfregamento e non per causticazione, come soleva farsi nella pratica del «T» o della « marque sincipitale ». Infatti nelle lesioni dovute a causticazione, come è descritto da Manouvrier e come si osserva in un calco del nostro Istituto (catalogo 4761) corrispondente a un cranio del Dolmen di Champignolle (Seine-et Oise, Francia), che reca un chiaro «T sincipitale» con trapanzione, il letto della lesione ha caratteri tutti particolari. …
Ho percanto radiografato la calva in parola sotto opportune incidenze e con radiogrammi localizzati. … I radiogrammi del cranio delle Pianacce, come si vede dalle riproduzioni fotografiche , dimostrano … sinostosi delle suture, specie della longitudinale, con ancora individuabile qualche tratto della coronale, che presenta tuttavia lieve addensamento osseo perisuturale lungo la parte bassa delle sue branche laterali, ciò che non si verifica per la longitudinale. Zona di rarefazione elissoidale nella regione postbregmatica, sul sincipite, che si accentua nella sua intensità procedendo verso la linea mediana, dove esiste una piccola soluzione di continuo. A destra e a sinistra di tale formazione si notano due grosse impronte per le granulazioni di Pacchiani; al limite anteriore destro si osserva una zona circoscritta osteoporotica. Come si vede in una [radiografia] localizzata, dalla periferia della rarefazione, si dirigono verso il centro formazioni radiate a tipo di travate trabecolari che possono essere interpretate come indice di riparazione. …
Attraverso questi dati radiologici si hanno basi più solide per la discussione che ci porta ad escludere nella calva delle Pianacce processi patologici intrinseci o estrinseci all’osso, che primieramente abbiano condotto alla lesione. Si è ancora in grado di escludere cause traumatiche violente dall’esterno, per chiara mancanza di esiti di frattura e di reazioni a tipo di ricostruzione fibrosa iperostosica; usure da compressione proveniente dall’esterno, (ciste, ematoma organizzato, fibroma) , per la forma del tutto particolare, per la presenza delle dimostrate travate trabecolari centripete e per il tipo di distruzione della diploe. …
Da quanto sopra, alla fine di questa ricerca, sembra che si possa quindi senz’altro escludere la presenza di un «marque sincipitale» nel cranio delle Pianacce, la cui lesione deve invece, con grande verosimiglianza, attribuirsi ad esiti cicatriziali e riparativi di una assai più ampia, quasi certamente una trapanazione per raschiamento, in gran parte riparata e presentante ancora soluzione di continuo nel centro …
Messeri P., Lesioni sincipitali in crani enei italiani. Rivista di Scienze Preistoriche, 1957, 12, 38-53.
5500 AF. L’esemplare n. 2 trapanato delle Pianacce-Camaiore (Lucca)
Nel 1915 Puccioni comunicò la scoperta di alcuni resti scheletrici umani in deposizioni plurime, non in connessione anatomica, in due piccole grotte sepolcrali in località Pianacce presso Camaiore (Lucca), in un contesto culturale del tardo Eneolitico (fine del III millennio a.C.) non riferibile alla cultura di Rinaldone.
Fra i resti di cinque individui (di cui due sicuramente dolicomorfi: Puccioni, 1915) venne rinvenuto il resto cranico in questione, contrassegnato con il n. 2.
Si tratta di una calotta incompleta di uomo adulto-maturo (Messeri, 1957, quantifica tale età in 60 anni), dolicomorfo ovoide, mesocranico, eurimetopico. Dal punto divisa paleopatologico l’esemplare è stato già esaminato, oltre che da Puccioni (1915), da Messeri (1957) e da Fornaciari (1985). Esso presenta una lesione sincipitale retrobregmatica, sovrapposta per 38 mm alla sutura sagittale che consiste in una depressione ellissoide. Questa, nella sua porzione mediana, presenta un solco più o meno netto, con una piccola soluzione di continuo, pure ellissoide (mm 2,5 X 1). La superficie della lesione mostra evidenti fatti cicatriziali, che hanno obliterato completamente le affioranti strutture diploiche.
A livello endocranico, in prossimità della lesione, si notano varie fovee del Pacchioni (almeno due a destra, almeno cinque a sinistra, di vario calibro); la lesione vera e propria è caratterizzata da una formazione allungata di tessuto cicatriziale neoformato, che termina posteriormente attorno al piccolo foro suddescritto.
Un esame radiologico accurato venne condotto da Messeri (1957), il quale segnalò a carico dei tavolati cranici fatti osteoporotici e, in corrispondenza della lesione, formazioni radiate, assimilabili con travate trabecolari, indice di riparazione cicatriziale.
Puccioni (1915) volle ricondurre la morfologia della lesione al quadro del T sincipitale, mentre Chiarugi e Bianchi (in Puccioni, 1915) avevano parlato addirittura di «ritardo dell’ossificazione della fontanella bregmatica, o di un riassorbimento senile regionale». Con Messeri (1957) noi crediamo che, invece, si tratti di una trapanazione sincipitale, effettuata mediante raschiamento della volta, anche se non resta più traccia di tale tecnica, dato il rimaneggiamento cicatriziale sopravvenuto. L’aspetto della lesione a livello endocranico, secondo il nostro parere, suggerisce come attorno al foro centrale, che inizialmente doveva essere più ampio, si sia formato un nuovo tessuto osseo cicatriziale, che ne ha rastremato il calibro.
Lunga dovette essere la sopravvivenza all’intervento: almeno un anno e forse più.
Un’analoga, anche se appena più vasta lesione è presentata da un esemplare svedese neolitico da Barsebiick-Scania (Persson, 1976-1977).
Il resto cranico n. 2 delle Pianacce è conservato presso il Museo Nazionale di Antropologia ed Etnologia di Firenze.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
5300-3800 AF. Età del rame Cultura del vaso campaniforme Resto cranico di Cà dei Grii-Rezzato (Brescia)
La cavernetta «Cà dei Grii» si apre in località Vide del comune di Rezzato (Brescia) e venne usata come abitazione durante il Neolitico dalle genti della Cultura dei vasi a bocca quadrata e come deposito funerario in età tardoeneolitica.
La ceramica di quest’ultimo periodo consiste in un vaso campaniforme e due recipienti con decorazione a punteggiatura (Biagi et al, 1970).
Il gruppo umano, ivi sepolto, era composto da almeno 15 individui di ogni età e di entrambi i sessi, tutti riconducibili a una tipologia gracile, caratterizzata da un attenuato dimorfismo sessuale (Corrain et al, 1970).
Sotto ingrandimento che evidenzia chiaramente le incisioni
Il resto cranico in esame consiste in un grosso frammento parietale di sinistra, ricomponibile ad altro frammento frontale. Ne vien fuori una tipologia cranica dolicomorfa ovoide di donna adulta (Corrain et al, 1970; Germanà, 1979).
In corrispondenza del parietale di sinistra si notano tre solchi paralleli a decorso verticale, di cui l’anteriore è appena visibile; il mediano, più profondo, è lungo circa 10 mm e il posteriore, decisamente più netto e profondo, misura almeno 35 mm. Al suo estremo superiore questo solco si sfrangia in tante codine «a zampa d’oca» ed ha un decorso regolare, lungo il quale affiorano rare cribrosità. Nel bordo posteriore del solco si notano chiari segni di ristrutturazione ossea cicatriziale. Tutti e tre questi solchi hanno un decorso parallelo a quello del muscolo temporale, la cui inserzione sul parietale è inferiormente ben delimitata da un gradino a decorso festonato. Al di sotto di tale gradino la superficie ossea appare rugosa e atrofica. Niente da segnalare a carico del corrispondente endocranio (Germanà, 1979).
All’indagine radiologica si mette in evidenza una fine porosità diffusa dei tavolati residui, solcati da normale vascolarizzazione meningea. Evidente una regolare immagine di demineralizzazione, corrispondente al terzo solco (il posteriore), mentre non si ha traccia radiologicamente apprezzabile degli altri due.
La forma, il decorso intenzionale dei tre solchi e le codine «a zampa d’oca» del solco posteriore fanno pensare a intervento manuale umano. La situazione della superficie ossea al di sotto del gradino depone per una raccolta ematica, o purulenta, localizzata fra osso e strati più profondi del muscolo temporale. Sembra logico che le tre incisioni, parallele al decorso dei fasci muscolari soprastanti, siano dovute a un tentativo (riuscito) di svuotamento della raccolta liquida. Le codine del terzo solco sarebbero dovute a manovre iniziali, «saggi», prima di affondare il tagliente nei tessuti molli fino all’osso.
È certo che il soggetto femminile di Cà dei Grii sopravvisse all’intervento per oltre un anno e forse più, come sembra dimostrato dalla situazione anatomo-patologica e radiologica del reperto.
Per quanto riguarda gli strumenti usati, si precisa che più di uno dei «foliati litici», rinvenuti nella cavernetta a corredo delle sepolture eneolitiche (Biagi et al, 1970) risulta idoneo a produrre lesioni analoghe a quelle del reperto in esame.
Il frammento cranico è conservato nel Museo Civico di Storia Naturale di Brescia.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
4480-3855 AF. Età del rame sardo L’esemplare A trapanato di La Crucca (Sassari)
L’esemplare in questione venne rinvenuto nel 1983 in una tomba ipogeica sita in località La Crucca in agro di Sassari. Il monumento funebre, del tipo «domus dejanas», risulta a tutt’oggi ancora interrato e da scavare. In superficie vennero raccolti resti scheletrici umani frammisti a manufatti da analizzare, anche se per lo più appartenenti alla Cultura eneolitica di Monte Claro. In attesa di ulteriori accertamenti da parte della Soprintendenza di Sassari è ipotizzabile che possa trattarsi di un complesso funerario genericamente preistorico, probabilmente pre-nuragico.
La calva in esame, provvisoriamente contrassegnata con la lettera «A», è di un uomo deceduto in età adulto-matura. Il neurocranio è dolicomorfo robusto, ovo-pentagonoide lungo, largo, di media altezza, con fronte larga dal profilo sfuggente, con glabella e arcate sopraciliari sviluppate. Normale lo spessore dei tavolati cranici. Nell’endocranio si possono osservare profondi solchi meningei e almeno sei foveole del Pacchiani di media ampiezza.
Dell’esemplare abbiamo già dato notizia in precedenti lavori (Germanà, 1984; Id. et al, 1986 b).
In corrispondeza della bozza frontale di destra l’esemplare presenta una lesione complessa, caratterizzata da un affossamento crateriforme quasi regolarmente rotondeggiante (diametro medio mm 25), con i bordi dolcemente degradanti verso il centro, con la superficie irregolarmente granuleggiante, ricoperta da tessuto osseo ormai liscio per antica cicatrizzazione e con totale obliterazione delle strutture diploiche. Sul suo fondo, ma sfasato rispetto al suo centro, si apre un foro di forma ellissoide, a grande asse obliquo verso l’alto e l’esterno (mm 25 x 19). Nella sua porzione superiore i bordi si presentano completamente cicatrizzati con scomparsa totale dei forellini diploici; mentre nella sua porzione inferiore i bordi presentano cribrosità diploiche parzialmente obliterate e solchi trasversali, imputabili a intervento manuale umano e ben diversi dalle tracce lasciate da roditori post mortem.
All’esame radiologico i tavolati cranici appaiono diffusamente osteoporotici. I bordi del foro sono netti in corrispondenza della sua porzione inferiore e mediale, mentre sono più sfumati in quella superiore e laterale. Le stesse strutture ossee circostanti si presentano più addensate all’altezza della metà superiore del foro, più sfumate nella metà inferiore. Si segnala, inoltre, una ipoplasia del seno frontale di destra e una circolazione meningea notevolmente aumentata.
In conclusione, la lesione traumatica in esame venne realizzata almeno in tre tempi: il primo, iniziale, caratterizzato dal raschiamento della superficie ossea e dal suo progressivo assottigliamento, forse fino alla sua iniziale perforazione. Il secondo tempo, caratterizzato dalla realizzione della porzione superiore-esterna del foro (questa «più vecchia» rispetto all’altra porzione, come sembra dimostrato dalla totale obliterazione delle strutture diploiche e dalla situazione radiologica del reperto a tale livello) mediante incisione con un coltello, o strumento litico. Il terzo tempo è caratterizzato dalla realizzazione della porzione inferiore-mediana del foro , mediante una metodica analoga a quella usata nel secondo tempo e sicuramente parecchi mesi dopo il secondo intervento. Il decesso del soggetto dovette verificarsi alcune settimane dopo l’ultimo intervento, come sembra dimostrato dal grado di obliterazione dei fori diploici e dalla persistenza dei solchi, dovuti allo strumento usato per levigare i bordi dell’ultima trapanazione.
Fra le possibili cause dell’intervento chirurgico multiplo si può opinare una persistente sindrome cefalalgica secondaria all’abnorme circolazione meningea (v. esame radiologico). Analoga situazione (trapanazioni craniche multiple – abnorme circolazione meningea) vedremo ripetersi in un esemplare del Bronzo Antico, proveniente da Taulera-Alghero (Germanà, 1971).
La calotta A di La Crucca è conservata presso la Soprintendenza alle Antichità delle Province di Sassari e Nuoro.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
4480-3855 AF. Età del rame sardo L’esemplare B trapanato di La Crucca (Sassari)
Il reperto proviene dallo stesso sito dell’esemplare A. Esso consiste in un grosso frammento biparieto-occipitale dolicoide di uomo maturo (stato di sinostosi delle suture e spessore dei tavolati ai limiti superiori della norma).
L’endocranio si presenta perfettamente normale.
In corrispondenza del cuneo occipitale, in regione paramediana di destra, si nota un appiattimento «intenzionale» della curvatura in forma di «pera», a maggior diametro leggermente obliquo (mm 53 x 35), a superficie liscia, come levigata e priva di cribrosità. Al suo centro si apre una piccola perdita di sostanza ossea a tutto spessore (mm 10 x 7) con bordi arrotondati, lisci e netti.
L’esame radiologico non rivela niente di particolare: non osteoporosi, non ispessimenti o fatti di rarefazione ossea, il che fa desumere che le due lesioni (il raschiamento e la perforazione) vennero effettuate parecchi anni prima della morte del soggetto.
Appare chiaro come la lesione più grande sia stata realizzata mediante raschiamento progressivo della superficie ossea. Durante tale raschiamento vennero interessati successivamente il tavolato esterno, lo strato diploico e il tavolato interno con apertura, probabilmente involontaria, della piccola breccia ossea. Si tratta, dunque, di «Una trapanazione involontaria» durante un intervento di raschiamento della superficie ossea. Nulla si può arguire circa le cause che tale raschiamento provocarono, dal momento che non ne resta traccia nel reperto. Analoghe lesioni occipitali (però senza perforazione dell’osso) si hanno nel cranio femminile neolitico n. 5 di Arma dell’Aquila (Parenti et al, 1962), probabilmente in un resto cranico della grotta Cola (Nicolucci, 1878) e in un cranio di uomo adulto della «Font del Molitot» (Barcellona di Spagna), quest’ultima riferita dal suo Autore come cura di un processo suppurativo, forse post-traumatico (Campillo, 1977).
Il resto cranico è conservato presso la Soprintendenza Archeologica delle Province di Sassari e Nuoro.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
5500-4300 AF. Età del bronzo L’esemplare n. 6492 (1) trapanato dello Scoglietto
Consiste in un calvario incompleto di uomo adulto di circa 35 anni, pentagonoide in norma superiore, di media lunghezza, larghezza e altezza, aristencefalico con faccia relativamente lunga, leptena, proopica, ortognata; regione naso-fronto-lacrimale del tipo «etiopico-caucasico» di Sera; fenozighia non accertabile per frattura delle arcate zigomatiche.
Sul piano paleopatologico il reperto presenta una grave artrosi con anchilosi dell’articolazione temporo-mandibolare sinistra, usura e carie di numerosi denti mandibolari (Parenti, 1962).
La lesione sincipitale in esame è stata già segnalata dallo stesso Parenti (1962) e analizzata da Messeri (1957; Id. 1962). Quest’ultimo così la descrive: «di forma ellissoidale, a margini netti, grossolanamente fusiforme, con apice anteriore e parte posteriore arrotondata, con bordi nettamente rilevati, della lunghezza di mm 93 e della larghezza massima di mm 45, estendentesi tanto all’avanti, quanto all’indietro del bregma con fondo bernoccoluto, irregolare e rugoso, in cui esiste una soluzione di continuo da riportare a chiara trapanazione. Essa ha la forma ellittica longitudinale e misura mm 22 x 14 … le suture in vicinanza della lesione sono sinostosate».
A noi sembra che la lesione sia a forma di foglia lanceolata, coi margini delimitati da solchi slargati e rimaneggiati per fatti cicatriziali; qualche raro solchetto radiale rispetto al foro testimonia ulteriormente l’intervento manuale umano. Nel suo contesto non si notano cribrosità diploiche.
L’endocranio, esplorabile con una certa difficoltà, si presenta normale, privo di fatti abnormi e tanto meno cicatriziali.
Un esame radiologico è stato effettuato dal Messeri (1957; Id. 1962), il quale segnala soprattutto una «mancanza di addensamento osseo reattivo attorno ai margini della perforazione».
Tanto il Messeri, che il Parenti vogliono vedere una somiglianza della lesione in esame con il T sincipitale; a noi piuttosto sembra possa trattarsi di una lesione intenzionale, realizzata soprattutto per assottigliamento progressivo della volta cranica entro i limiti voluti di una immagine a losanga, assottigliamento realizzato mediante scarificazione con uno strumento, forse anche litico, di cui restano vistose tracce. L’iniziale breccia venne poi allargata fino a assumere la forma attuale. I fatti cicatriziali constatati potrebbero essere dovuti o a fatti infiammatori, sovrappostisi nel focolaio chirurgico, o all’uso di sostanze caustiche: è nota infatti la difficoltà di risalire dalle lesioni cicatriziali alla causa che le ha determinate (Campillo, 1977; Id. 1983).
La sopravvivenza del soggetto dovette essere piuttosto lunga: un anno e forse più, dal momento che anche radiologicamente mancano i segni propri della ridotta sopravvivenza, quali la porosi, gli orletti iperostosici ai bordi, etc.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
5500-4300 AF. Età del bronzo L’esemplare n. 6495 (4) dello Scoglietto
Il reperto consiste in un calvario incompleto, brachimorfo, di giovane uomo di circa 16 anni, in norma superiore sfenoide, corto, di media larghezza e altezza, euencefalico, con faccia di media larghezza e bassa, eurieno, mesoconco e camerrino, prognato con regione naso-fronto-lacrimale appiattita, di tipo etiopico-caucasico con varianti negritoidi.
Sul piano paleopatologico sia Messeri (1957), che Parenti (1962) avevano notato «sull’ofrion tracce di raschiamento periosteo, che non sembra d’origine traumatica, ma che potrebbe essere traccia d’un tentativo di trapanazione».
All’altezza della congiungente le due bozze frontali, in regione paramediana sinistra, noi abbiamo scorto una lesione lineare, lunga circa 2 cm, larga circa 1 cm e caratterizzata da un solco quasi regolarmente lineare a decorso pressoché verticale, a fondo sclerotico, in cui non affiorano cribrosità diploiche e delimitato da due «labbri» di irregolare, esuberante cicatrizzazione. Soltanto in corrispondenza dei versanti laterali di tali labbri si notano rade cribrosità. Anche se ci manca il conforto di un esame radiologico, ci sembra potere individuare nella lesione l’esito cicatriziale di una ferita lineare, realizzata per incisione con strumento a punta e curata con sostanze irritanti, forse anche caustiche, come sembra esser dimostrato dall’abnorme cicatrizzazione. È lunga la sopravvivenza del soggetto. Una tale lesione ricorda un analogo esemplare (vivente), presentato da Busacchi (1929), ripreso dal Parkinson e riguardante un ragazzo con profonde cicatrici (lineari e con decorso verticale) sulla fronte. Ciò in rapporto con l’abitudine di alcune madri di incidere la pelle della fronte e di raschiare il frontale dei loro figli, finché non ne risulti una piccola fenditura . Talora tali cicatrici «deturpano la fronte» (Busacchi, 1929*). Scopo di tali ferite intenzionali è quello di curare, o addirittura prevenire, alcune malattie alla stessa maniera delle causticazioni sincipitali, già citate da Erodoto e da noi riscontrate nell’esemplare eneolitico paleosardo di Fromosa (Germanà, 1970).
*Busacchi V., La trapanazione del cranio nella Nuova Britannia, Arch. Antrop. Etnol, Firenze, 59, 57-65.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
5500-4300 AF. Età del bronzo. L’esemplare n. 6498 (7) trapanato dello Scoglietto
Il resto cranico in esame è di giovane uomo sui 16 anni e consiste nella metà di destra di un calvario con la sua mandibola; trattasi di un dolicomorfo, probabilmente pentagonoide corto, di altezza media.
Sul piano paleopatologico l’esemplare è stato ricordato da Parenti (1962) e analizzato da Messeri (1957; Id. 1962). La lesione si apre sull’emisquama frontale di sinistra e consiste in una depressione a forma di foglia lanceolata a maggior asse pressoché sagittale (mm 47 x 31), a superficie irregolarmente bitorzoluta, ma con travate ossee «radiali» che convergono verso una soluzione di continuo irregolarmente lineare, coincidente con il maggior asse della lesione stessa (mm 6 x 3). Questa presenta i bordi rigonfi e bottonuti. Messeri, pur riconoscendo in tale conformazione «un processo ricostruttivo», si mostra alquanto incerto se si tratti di causticazione, o di trapanazione. A livello della lesione l’endocranio presenta un complesso cicatriziale avente la stessa forma allungata, caratterizzata dalle stesse travate ossee «radiali» che si osservano all’esterno e con le quali si ricongiungono a livello del piccolo foro residuo. Per concludere, l’iniziale foro di trapanazione doveva essere più ampio di quello attuale, doveva anzi coincidere con i bordi esterni della depressione a forma di foglia. Le travate radiali esterne e interne della lesione altro non sono che un tentativo di occlusione cicatriziale della breccia iniziale, un vero e proprio «processo ricostruttivo».
Anche se i progrediti fatti cicatriziali hanno cancellato le tracce della manualità umana, è verosimile che l’operatore abbia realizzato il foro iniziale mediante incisione con strumento tagliente e seguendo uno schema già riscontrato in altri esemplari della stessa grotta, un metodo «personale», caratterizzato da un’apertura in forma di «foglia lanceolata». Pertanto pensiamo potere escludere facilmente l’ipotesi di una lesione da causticazione. Lunga (di parecchi anni) è stata la sopravvivenza del soggetto, come è dimostrato dallo stato della riparazione cicatriziale e come potrebbe meglio dimostrare un esame radiologico.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
5500-4300 AF. Età del bronzo. L‘esemplare n. 6511 (10) trapanato dello Scoglietto
Esso consiste in una calva incompleta, ovoide, brachimorfa, di uomo adulto sui 25-30 anni. Accennata la fenozighia. La forma cranica è di media lunghezza, larghezza e altezza, metriometopica con creste divergenti, aristencefalica.
Dal punto di vista paleopatologico già Parenti (1962) e Messeri (1962) a carico della superficie esterna dell’emisquama frontale di destra avevano rilevato una lesione in forma di «foglia lanceolata» (mm 70 x 43) a maggior asse pressoché sagittale, che «presenta qualche somiglianza col fenomeno osservato nel n. 7, salvo a ipotizzare un processo di risarcimento assai più avanzato. Pertanto si potrebbe pensare a trapanazione (Messeri) con perforazione piccola e completamente riparata» (Parenti, 1962).
A carico della corrispondente porzione endocranica si nota un’area cicatriziale analoga a quella dell’esemplare n. 7, con identiche strutture riparative, solo che nel presente caso il processo riparativo è completo per totale obliterazione della iniziale breccia chirurgica.
Anche in questo caso l’operatore ha realizzato un iniziale foro di forma lanceolata, probabilmente per progressiva incisione dei tavolati (di cui però non resta traccia a causa dei progrediti fatti cicatriziali); la neoapposizione ossea centripeta si è completata in un arco di tempo superiore a un anno. La sopravvivenza del soggetto all’intervento è stata senz’altro ottima, parecchi anni e il processo cicatriziale non è stato certamente interrotto dalla morte.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
5500-4300 AF. Età del bronzo. L’esemplare n. 6506 (15) trapanato dello Scoglietto
Consiste in una calva quasi completa, unita alla emifaccia destra e alla sua mandibola; è di uomo adulto sui 30 anni. Il neurocranio è brachimorfo, a contorno ovo-sfenoide, di media lunghezza e larghezza, alto, metriometopico, con creste divergenti, aristencefalico; la faccia è iperleptena, leptorrina e con regione naso-fronto-lacrimale di tipo atlanto-indico. Viene inoltre segnalata proopia, oxicantia accentuata, fossa canina piatta e dentatura poco usurata.
Sul piano paleopatologico il reperto è stato esaminato, oltre che da Parenti (1962), anche da Battaglia (1955) e da Messeri (1 957; Id. 1962). Esso è caratterizzato da due trapanazioni (che indicheremo con le lettere A e B) e da una neoformazione (definita «esostosi lenticolare» e localizzata sul parietale destro).
La trapanazione A, che si apre sul parietale destro, è quasi circolare (diametro di circa 25 mm) ed è circondata da un’area crateriforme di forma ovalare (mm 54 x 38), dolcemente degradante, a superficie liscia e lucida per antica cicatrizzazione, priva di cribrosità diploiche.
La trapanazione B si apre sul parietale sinistro, presenta nel suo contorno delle piccole sbeccature postmortali e anch’essa è circondata da un avvallamento crateriforme, però ripido e privo di reazione cicatriziale; in sua prossimità sono ben visibili almeno due solcature radiali riferibili a manualità operatoria.
Un esame radiologi.co, effettuato da Messeri (1962), ha messo in evidenza, in prossimità della lesione A, «un certo addensamento iperostosico» che indica una sopravvivenza di parecchi mesi. Nessuna sopravvivenza a carico del foro B, che Messeri (1962) invece riferisce a «alterazione post mortem». È nostro parere che, mentre la trapanazione A venne realizzata mediante raschiamento, la trapanazione B fu ottenuta mediante bulinaggio.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
4500-3600 AF. Dal Combattimento alla Lesione. Reperti scheletrici umani di Età Nuragica.
Appartiene invece all’orizzonte culturale di Monte Claro, l’individuo traumatizzato della tomba n°2 di Serra Crabiles (Sennorì). Secondo Germanà l’individuo subì uno “scalottamento parziale” che tuttavia non ne determinò la morte, anzi, l’individuo sopravvisse “anche a un intervento chirurgico sulla regione frontale”. Sempre secondo Germanà, questo si tratta del primo esempio di etnochirurgia cranica paleosarda. …
Sono più evidenti le tracce di violenza, per quanto riguarda l’individuo femminile del Bronzo Antico-inizio Bronzo medio (periodo un tempo definito Bonnannaro B27), rinvenuto a Dorgali e conosciuto con il familiare nome di “Sisaia”.
La donna subì in vita una serie di traumi, … ma è nota in letteratura per essere un raro caso di autotrapianto della rotella sul lato posteriore destro del cranio. Recenti studi mediante tomografia computerizzata hanno dimostrato come la trapanazione sia stata eseguita per curare una trauma subito al cranio (forse per alleggerire la pressione cerebrale, o per far fluire il sangue), forse ricevuto dall’individuo nell’arco dello stesso episodio violento. Un’ipotesi è che il colpo sia stato ricevuto mentre la donna era di spalle, sferrato da un assalitore destrorso (Cfr. Infra Cap. 4.2. trauma di Lu Maccioni).
…
Trapanazioni craniche: chirurgia rituale o curettage?
Nel capitolo 2 e nel capitolo 4 abbiamo trattato di alcuni reperti ossei che presentavano indubbiamente dei chiari esempi di trapanazioni craniche eseguite in vivo (cranio di Sisaia e Cranio da Perdalba); oltre a questi due casi, per i quali vi sono altri elementi che fanno pensare a dei fatti traumatici che hanno interessato l’individuo (forse rendendo necessaria la trapanazione) elenchiamo alcuni dei più noti casi di trapanazioni craniche fin’ora rinvenute in Sardegna:
1. Cranio, individuo adulto, maschile da Nuraxi Figus, Gonnesa (CA) 3700-3500 AF. Con 4 fori, e 5 interventi di trapanazione. Conservato nel Museo delle Collezioni Litiche Preistoriche, Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storicoartistiche (C.I.M.A.S).
2. Calva. Seulo (Seulo M), 3500-1400 AF da una Domus de Janas. 3 fori ellissoidali, lato sinistro. Conservata nel Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia del dipartimento di Antropologia di Monserrato (C.I.M.A.S.).
3. Tombe 1-16 necropoli di Su Crucifissu Mannu, Alghero (SS). Tomba 16: 2 trapanazioni, 3800-3600 AF. (Museo G. A. Sanna, SS).
4. Taulera Alghero (SS), 3800-3600 AF (Museo G. A. Sanna, SS).
5. Scheletro Sisaia, Dorgali (NU), 1800-1600 a.C.136 (Museo G. Asproni, NU).
6. Cranio, Perdalba, Sardara (CA), 1800-1600 a.C. Conservato nel Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia del dipartimento di Antropologia di Monserrato (C.I.M.A.S.).
7. Esemplari in D.d.J. La Crucca, (SS) datazione incerta.
8. Crani (cr. 8, cr. 374), in D.d.J di Scaba ‘e Arriu, Siddi (CA), 2800-2600 AF crani con segni traumatici ed interventi di trapanazione.
9. Cranio femminile +/- 20 anni (GTG 2011, Q C0 L2, 2), grotta Sa Omu de Tziu Giuovanni Murgia, Nurallao, datazione non eseguita.
Generalmente gli studiosi ipotizzano che le trapanazioni craniche venissero eseguite per più scopi: magici-religiosi (rituali), medici (esclusivamente curativi) e come conseguenza di ferite violente alla testa. Per il cranio di Sisaia è stata dimostrata la pratica chirurgica come conseguenza di un trauma, con molta probabilità conseguito in maniera violenta. Una delle principali correnti di pensiero al riguardo ipotizza che la localizzazione dei traumi sia conseguente all’area di impatto eseguita da individui (in generale) destrorsi, e che quindi sia una chiara prova della loro natura. Tuttavia è doveroso considerare che la maggior parte delle trapanazioni sono state effettuate evitando le zone interessate dalle suture, il che dimostra (oltre ad una certa conoscenza dell’anatomia del cranio) che potrebbe anche non trattarsi di traumi da combattimento. Si veda il caso della grotta di Lu Maccioni, già trattato nel testo, che è stato a lungo considerato come un esito di trapanazione cranica, mentre si tratta di una ferita inferta in maniera violenta da un assalitore che ha (involontariamente) colpito proprio una sutura cranica. Questo potrebbe essere un indizio importante relativamente alla volontarietà delle perforazioni (non come pratica medica conseguente a traumi), perché è abbastanza evidente che un colpo, quando viene inferto, mira genericamente alla testa, per cui le possibilità che potrebbe colpire una sutura, o una zona libera da questa, sono paritarie. Un secondo punto, assai importante nella questione, è che le trapanazioni sembrano avere una certa diffusione specialmente nel periodo prenuragico e agli inizi dell’età del bronzo, per andare sempre più rarefacendosi come casistica durante il periodo nuragico, per il quale si ritrova un numero sicuramente maggiore di individui palesemente feriti da armi. Un terzo punto riguarda il sesso, maschile o femminile, degli individui trapanati; come hanno scritto J. Guilaine e J. Zammit “se si presume che le trapanazioni abbiano coinvolto soprattutto gli individui impegnati in combattimento, allora anche le donne devono aver fatto parte del contingente disponibile”. Un altro punto su cui si soffermano i due autori, è il fatto che “ […] la trapanazione era praticata su individui adulti, morti diversi anni dopo […] ”, con una proporzione del 55% per gli individui trapanati di età giovanile, e del 45% per gli adulti; fatto molto strano, considerando che questi erano più portati a procurarsi ferite alla testa durante raid presso gli insediamenti limitrofi o in situazioni di estrema difesa della comunità. Similmente alle ricerche svolte in territorio francese per quanto riguarda gli studi statistici sulle trapanazioni, uno studio simile andrebbe effettuato anche in Sardegna, regione tra le più “ricche” di trapanazioni craniche riferibili alla preistoria. I dati riguardanti il numero di individui di sesso maschile o femminile trapanati, come la loro età, potranno fornire nuovi utili dati per l’interpretazione del problema.
Bibliografia
Becheroni O. La neurochirurgia nella preistoria Sarda, in Quaderni Bolotanesi, 2013, 39, Passato e presente, Bolotana. pp. 85-97
Germanà F., L’uomo in Sardegna dal Paleolitico all’Età nuragica, Sardegna archeologica. Scavi e ricerche, 1, Delfino editore,1995.
Guilaine J., Zammit J. (2006), The origins of war: violence in prehistory, Blackwell Publishing, 2006, Number 62, Australian Archaeology.
Da Atzeni A., Dal combattimento alla lesione: ricerca di indicatori in reperti scheletrici umani in età nuragica. Tesi di Laurea, Università di Cagliari, Dipartimento della vita e dell’ambiente, 2013-2014.
4000 AF. Età del bronzo siciliano. L’esemplare n. I trapanato di Stretto-Partanna (Trapani)
Il cranio in esame venne rinvenuto nel 1988 in una tomba a grotticella (la n. 1), che si apre nel vallone Stretto del comune di Partanna (Trapani). Si tratta di una cavità naturale, rimaneggiata, successivamente adattata a sepoltura e chiusa da un muretto. Il corredo funerario raccolto consisteva in ceramica dipinta in bruno su fondo rosso, o giallognolo, pertinente allo stile di Partanna-Naro, chiaramente inquadrabile nel repertorio del Bicchiere Campaniforme e pochi pezzi acromi, non decorati, d’impasto bruno-grigiastro. Pertanto, data la presenza diffusa del Bicchiere a Campana associato alla tipica ceramica dipinta dell’antica Età del Bronzo siciliano, una datazione possibile è quella del II millennio a.C. (S. Tusa, 1989, comunicazione personale, per la quale si ringrazia). La sepoltura restituì inoltre resti scheletrici umani di almeno 6 individui, ancora in fase di determinazione antropologica da parte della Di Salvo, che ringraziamo per la cortese collaborazione.
L’esemplare trapanato consiste in un calvario incompleto di uomo adulto, ovoide in norma superiore, di media lunghezza e larghezza, molto alto, con fronte metriometopica e creste frontali intermedie, aristencefalico. La faccia è bassa, di media larghezza (mesena), con orbite basse e cavità nasale mesorrina; il profilo ortognato; tendenza alla fenozighia. …
Nella regione parietale destra si nota una vasta lesione, caratterizzata da una depressione ovaloide a maggior asse obliquo verso l’esterno e posteriormente (mm 92 x 75), con i bordi degradanti verso un’altrettanto ampia perdita di sostanza ossea a forma irregolarmente triangolare, a lati e angoli arrotondati e con il maggior asse coincidente con quello dell’avvallamento (mm 72 x 59). La superficie del cratere è liscia e priva di cribrosità diploiche. I suoi bordi si presentano assottigliati, con un’inclinazione variante da 167° (nella sua porzione mediale) a 133° (lateralmente).
L’esame radiologico (Romeo) evidenzia attorno al foro vero e proprio un cercine di sostanza calcica più sfumata, in assenza di porosi diffusa dei tavolati cranici; normale la vascolarizzazione meningea.
La T.A.C. (Ospedale Civico di Palermo), nelle scansioni interessanti la lesione, mostra come i suoi bordi siano ricoperti da un tessuto osseo simile a quello dei tavolati cranici e indice di non recente cicatrizzazione. Si tratta, dunque, di una trapanazione di antica, ma non antichissima data, realizzata mediante raschiamento progressivo della superficie cranica con opportuno strumento litico a superficie ruvida (Germanà et al, 1991).
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L’Esemplare n. 1 (tomba 1) trapanato di Su Crucifissu Mannu (Sassari)
La tomba 1 di Su Crucifissu Mannu (Sassari) fa parte di una necropoli preistorica in cui si può contare più di una ventina di ipogei del tipo sardo «domus de janas», edificati ai tempi della Cultura Ozieri e riutilizzati fino oltre i tempi della Cultura Bonnanaro (Lilliu, 1988) per deposizioni inizialmente primarie, poi quasi esclusivamente secondarie, previa scarnificazione del cadavere.
La tomba in questione, occasionalmente identificata nel 1958, si articola in sette ambienti. I resti di circa una ventina di individui vennero rinvenuti in massima parte nell’anticella (insieme all’esemplare trapanato) e nella cella B insieme a materiale della fase A della Cultura di Bonnanaro. Vennero pure rinvenuti vari frammenti di un solo vaso campaniforme, però dispersi nelle varie celle (Ferrarese Ceruti, 1972-74; Id. 1981). Di circa venti inumati si è salvato soltanto il cranio n. 1 proprio in virtù della sua trapanazione; altri resti scheletrici andarono purtroppo dispersi.
Il reperto consiste in un calvario di uomo adulto sui 20-30 anni; si tratta di un esemplare brachimorfo gracile, sfenoide in norma superiore, però curvoccipitale con accennata batriocefalia. Il neurocranio è molto corto, di media larghezza, basso, con fronte stretta, oligoencefalico. La faccia è molto stretta, bassa con orbite strette e molto basse; cavità nasale bassa e larga. Il profilo facciale è ortognato ai limiti con il mesognatismo, con guance decisamente criptozighe. Fosse canine pronunziate. Lo spessore dei tavolati è nei limiti della norma (Germanà, 1971).
La lesione occupa la regione bregmatica e ha forma romboidale a maggior asse trasverso (mm 70 x 25); essa consiste in un affossamento della superficie cranica, dolcemente degradante verso il suo centro. La sua superficie appare irregolarmente granuleggiante, con rugosità disposte a raggera. In corrispondenza del suo margine posteriore di sinistra si nota un solco smusso, «intenzionale». Tutta la superficie è interessata da piccolissime cribrosità, di cui molte ormai obliterate. Un foro irregolarmente rotondeggiante (mm 26 x 23) si apre asimmetricamente, interrompendo la formazione a raggera cicatriziale in posizione decentrata un po’ verso sinistra. I suoi bordi sono precipiti, netti e lasciano intravedere le strutture diploiche appena inizialmente rimaneggiate da ristrutturazione cicatriziale.
L’esame radiologico (Bua e Germanà) evidenzia una situazione di porosi diffusa dei tavolati neurocranici. In prossimità della perdita di sostanza ossea le strutture trabecolari si interrompono bruscamente e soltanto in alcune zone (specie nei quadranti anteriori) mostrano un aspetto sfumato, indice di una iniziale ristrutturazione ossea, evidentemente interrotta dalla precoce morte del soggetto. Si tratta, in conclusione, di due lesioni sovrapposte e non contemporanee: la prima consiste nell’area affossata di forma romboidale, prodotta mediante raschiamento con uno strumento del quale resta anche traccia nel margine posteriore di sinistra. La seconda consiste nel foro di trapanazione vero e proprio, cui seguì a breve distanza (pochi giorni, forse una settimana) il decesso del soggetto. Fra il primo e il secondo intervento sono intercorsi parecchi mesi (forse un anno e più). Per il primo intervento venne usato uno strumento, verosimilmente litico, che raschiò progressivamente la superficie cranica, forse anche perforandola; il foro rotondeggiante venne aperto e ampliato per incisione. Ci sfuggono i motivi del duplice intervento; verosimilmente dovette trattarsi di scopo terapeutico in considerazione sia del risparmio dei tessuti durante l’intervento, che per la ripetitività dello stesso, probabilmente dovuta al persistere delle cause di trapanazione.
L’esemplare è collocato nel Museo «G. A. Sanna» di Sassari.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro, L’esemplare n. 13 (tomba 16) trapanato di Su Crucifissu Mannu
La tomba 16 di Su Crucifissu Mannu si articola in quattro ambienti, riutilizzati più volte fino all’ultimo uso «Bonnanaro». In tutti gli ambienti venne rinvenuto materiale scheletrico umano frammisto a manufatti della fase A della Cultura di Bonnanaro e pietre grezze, intenzionalmente disposte. Nella cella principale e in una delle celle di fondo i resti cranici (circa 13) erano collocati su piccoli mucchi di pietre, in cui erano inglobati segmenti ossei postcraniali non combusti e più o meno frammentari.
I resti ossei dell’ultimo utilizzo della tomba risultarono appartenere a un gruppo umano composto da 13 individui di entrambi i sessi. I neurocrani sono ovoidi per il 41, 7%, sfenoidi per il 41, 7% e sferoidi per il restante 16,6%. Alcune forme craniche, pur avendo forma dolicoide, presentano valori di brachicrania dell’indice cranico orizzontale e le restanti forme dolicoidi presentano valori di mesocrania. Questo dettaglio, in uno con la coesistenza di esemplari brachimorfi, ha fatto avanzare l’ipotesi che nell’ambito del gruppo umano della tomba 16 fosse in atto un processo di brachicefalizzazione (Germanà, 1972-74; Id. 1984; Id. 1985).
Il calvario n.13 è di uomo adulto, brachimorfo sfenoide, però curvoccipitale. Il neurocranio è di media lunghezza, largo, decisamente alto, aristencefalico e robusto. La faccia è alta, di media larghezza, ortognata e criptoziga con orbite di altezza e larghezza medie, cavità nasale un po’ larga, nettamente alta. Nei limiti della norma è lo spessore dei tavolati (Germanà, 1972-74). …
L’esemplare presenta due lesioni (A e B): la lesione A occupa la regione temporo-parietale di sinistra, ha forma quasi regolarmente circolare (mm 54 x 55) ed è caratterizzata da un’area di affossamento crateriforme, dolcemente degradante verso il centro. La sua superficie si presenta liscia in corrispondenza dei due tavolati, ma in corrispondenza delle strutture diploiche presenta numerosi forellini rotondeggianti, talora puntiformi per neoapposizione ossea cicatriziale. Nei quadranti posteriori si notano alcuni solchi a raggera, sicuramente intenzionali. Al centro della lesione si apre un foro a «forma di cuore» a maggior asse verticale (mm 42 x 29), che presenta lungo i bordi alcune unghiature a largo raggio, sicuramente dovute a intervento umano. Nella superficie endocranica uno dei rami dell’arteria meningea media, interrotto dal foro in esame, si presenta biforcato e normalmente escavato nel tratto superiore del bordo, indicando, nel particolare, che il ramo arterioso, individuato, venne rispettato durante le manovre di trapanazione e continuò a funzionare per tutto il periodo di sopravvivenza del soggetto.
La lesione B interrompe nel tratto L2 la sutura lambdoidea di sinistra, interessando in pari misura tanto il parietale sinistro, che la corrispondente porzione della squama occipitale. La lesione crateriforme ha forma irregolarmente quadrangolare a margini e angoli arrotondati e maggior asse trasversa le (mm 48 x 42). La sua superficie presenta una conformazione analoga a quella della lesione A, il che (in uno con l’aspetto radiologico) rende credibile l’ipotesi della contemporaneità dei due interventi. Il foro di trapanazione ha forma irregolarmente ellissoide a maggior asse verticale (mm 40 x 33) e sul suo bordo mediale si notano almeno tre unghiature analoghe a quelle del foro A. Tale bordo è interessato inoltre da molte solcature radiali regolari, intenzionali, sicuramente non riferibili a rosicchiature di roditori. Estese erosioni e fratture parcellari della superficie esocranica sono dovute a fattori postmortali.
L’esame radiologico (Germanà, 1972-74) di entrambe le lesioni ha messo in evidenza in prossimità dei fori un orletto iperosostosico sfumato, circondato da tessuto calcico rarefatto.
La prevalente tecnica di trapanazione in entrambi i casi dovette essere quella del raschiamento progressivo della superficie fino all’iniziale perforazione dei tavolati. Le brecce iniziali vennero modellate e allargate mediante incisione, fino al raggiungimento della forma voluta. Di tali incisioni, infatti, restano ampie tracce in entrambe le lesioni. Il tempo di sopravvivenza non dovette essere superiore ai trenta giorni. Sfuggono le cause del duplice intervento. Il reperto è conservato presso la Soprintendenza alle Antichità delle Province di Sassari e Nuoro.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L ‘esemplare n. I trapanato di Taulera-Alghero (Sassari)
In occasione di uno scavo abusivo del 1941 in una domu de janas in località Taulera, nel comune di Alghero, venne rinvenuto un resto cranico insieme a una cuspide di lancia e a un’armilla in bronzo. Scavi regolari vennero compiuti dopo il 1970 da Ferrarese Ceruti (Id. et al, 1978; Id. 1981), che inquadrò i manufatti dell’ipogeo nella fase A della Cultura di Bonnanaro (Bronzo Antico). La calotta venne studiata da uno di noi (Germanà, 1971).
L’esemplare consiste in una calotta incompleta, dolicomorfa robusta di uomo adulto. In norma superiore il neurocranio ha un contorno pentagonoide; è lungo, piuttosto largo, alto, con fronte molto larga e capacità cranica elevata (1731 cc). Lo spessore dei tavolati è ai limiti superiori della norma.
Nell’endocranio si notano almeno sei foveole del Pacchioni piuttosto larghe e profonde. La vascolarizzazione meningea è aumentata in maniera abnorme. Due lesioni (A e B) lo interessano: la lesione A si apre in regione frontoparietale destra, ha forma irregolarmente ellittica a maggior asse anteroposteriore (mm 70 x 45) con superficie dolcemente degradante verso una perdita di sostanza «intenzionale», che ne occupa la porzione frontale. L’avvallamento, delimitabile dai tessuti esocranici normali circostanti soprattutto a luce radente, o palpatoriamente, presenta una superficie levigata e interessata soprattutto nella sua porzione mediana da rari forellini, rastremati da orletto sclerotico e comunicanti coi sottostanti tessuti diploici. Il foro ha forma irregolarmente triangolare con lati e angoli arrotondati (diametro antero-posteriore mm 29, diametro trasverso mm 26). I suoi bordi sono ricoperti da tessuto osseo cicatriziale omogeneamente distribuito e un unico forellino nei pressi dell’angolo posteriore-laterale comunica con le strutture diploiche, peraltro obliterate.
La lesione B si apre a livello della porzione L2 della sutura lambdoidea di sinistra, con il cui asse coincide quello maggiore della breccia ossea. Questa ha forma irregolarmente lanceolata (mm 30 x 15) e non è circondata da orletto crateriforme, ma i suoi bordi presentano un doppio orlo degradante rispettivamente verso l’esterno e verso l’interno. Quest’ultimo versante presenta tutta una serie di piccoli solchetti, fra loro paralleli e contigui, perpendicolari al bordo stesso, ma è da escludere l’opera di roditori. L’orletto esterno del bordo superiore è costituito dall’arabesco parietale nel suo tratto L2 e dal bordo inferiore di un osso wormiano ivi presente, entrambi non levigati. In nessun tratto della breccia ossea è traccia di rigenerazione cicatriziale.
Un esame istologico (Marchiafava, 1971), condotto sul bordo della lesione A, ha messo in evidenza fenomeni di rimaneggiamento cicatriziale a tale livello; questi consistono nella sostituzione della spongiosa diploica con tessuto compatto. Il tessuto neoformato, in gran parte di tipo lamellare e osteonico, è solo in minor misura rappresentato da tessuto osseo a fibre intrecciate, quale si può osservare in una sopravvivenza del soggetto all’intervento di craniotomia di non meno di un anno.
L’esame radiologico (Germanà, 1971) ha messo in evidenza fatti osteoporotici a carico delle ossa della volta, sulla quale fanno spicco notevoli impronte vascolari meningee e – in regione fronto-parietale- immagini vacuolari, identificabili con granulazioni del Pacchioni piuttosto voluminose. Attorno al foro A si nota un’area a contorni netti con orletto iperostosico e appena un modesto accenno a immagini trabecolari sfumate. Nessuna ristrutturazione cicatriziale a carico della lesione B.
Si può concludere che la trapanazione A fu preceduta da raschiamento della superficie esocranica, fino a raggiungere la cavità endocranica. Una iniziale breccia fu successivamente ampliata fino a raggiungere le dimensioni attuali.
I probabili strumenti usati furono raschiatoi e coltelli litici.
L’esemplare di Taulera è conservato nel Museo «G. A. Sanna» di Sassari.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L’esemplare F trapanato di Perdalba-Sardara (Cagliari)
Nel Febbraio del 1932, in una cava di arenaria in località Perdalba del comune di Sardara vennero rinvenuti resti scheletrici umani in associazione a prodotti industriali riferibili alla fase A della Cultura di Bonnanaro (Ugas, 1980; Ferrarese Ceruti, 1981). I resti scheletrici umani furono esaminati prima sommariamente da Businco (1933) e più in dettaglio da Maxia (1951-52).
Si tratta di un piccolo gruppo umano, di cui vennero studiati circa 10 resti cranici di individui di entrambi i sessi, in maggior parte adulti e uno giovane. I neurocrani sono tutti dolicomorfi; il profilo facciale è ortognato nella componente maschile, mesognato in quella femminile. Si tratta di forme mediterranee antiche per il 57,1 %, «aquitano-mediterranee» (nel senso di Charles) per il 28,6%, con la presenza di una sola forma negroide (Germanà, 1980).
Fra i dettagli paleopatologici del gruppo vengono ricordati (Maxia, 1951-52) due casi di agenesia dei seni frontali, un caso di abnorme ispessimento della teca e la patologia del cranio F in esame. Sul piano antropologico l’esemplare F è una forma beloide con neurocranio di media lunghezza, stretto e basso, con fronte un po’ stretta, euencefalica. La faccia è alta e stretta; il naso allungato e stretto; le orbite basse, cameconche; il profilo mesognato e le guance criptozighe. I denti sono sani, modicamente usurati sulle superfici occlusali.
Così Maxia (1951-52) schematizzata tre lesioni riscontrate: A. La lesione più piccola si osserva sul Parietale di destra, quasi al centro della bozza e consiste in un processo erosivo, che ha distrutto solo il tavolato esterno della teca, aprendo un foro ellittico (diametro mm 6 x 4 ). Il margine di questo foro è rilevato a cercine con una reazione infiammatoria dell’osso.
B. La lesione di media grandezza è localizzata un po’ sopra del punto dove la sutura coronaria inizia la sua discesa dal tetto alla parte laterale sinistra della teca: si tratta di una doccia irregolarmente circolare (diametro circa 20 mm), delimitante al suo interno una breve zona di teca, costituita da alcuni rilievi irregolari.
C. La terza zona di alterazione, estendendosi per circa 40 mm di diametro un po’ sotto la bozza parietale di sinistra fino alla parte superiore del Temporale dello stesso lato, consiste in due piccoli fori situati nella zona centrale del Parietale, che attraversano a tutto spessore la teca, e in una zona di iperplasia ossea sollevantesi nella parte supero-posteriore della squama del Temporale. I fori irregolarmente ellissoidali, di cui uno è anteriore a 6 mm dal precedente e l’altro posteriore, hanno un diametro rispettivamente di 8 x 3 mm e di 4 x 2 mm e terminano con un margine smusso con i segni all’intorno di una irregolare reazione infiammatoria. Nelle immediate vicinanze sono visibili alcune zone di levigamento rudimentale, presumibilmente attribuibili a un intervento operatorio in vita.
Un riesame recente di quest’ultima lesione, effettuato da uno di noi (Germanà, inedito), ha messo in evidenza fra i due fori un solco netto, che si affonda nei tessuti diploici, obliterati con tessuto osseo cicatriziale. Anche tale solco per la sua regolarità rivela un intervento manuale umano.
Un esame radiologico antico (Maxia, 1951-52) aveva rivelato una ipoplasia dei seni frontali e la distruzione postmortale della sella turcica. Un esame radiologico recente (Urigo e Germanà, inedito) ha messo in evidenza, oltre a un quadro di fine porosi diffusa di tutto il neurocranio, un’area sfumata a carico dei due fori e del solco che li riunisce. Fra squama parietale e temporale, poi, un radiogramma in antero-posteriore ha evidenziato una cavità, circondata da tessuto osseo compatto, che – nell’esemplare – è collocata proprio al di sotto di una salienza a superficie irregolare.
In conclusione, l’esemplare di Sardara dovette in vita essere affetto a carico della regiore parietale sinistra da un fatto infiammatorio-settico diffuso e complicato da una raccolta (ematica? purulenta?) fra squama temporale e parietale, forse originatasi a seguito di un trauma scaricatosi a livello dei due attuali fori. I postumi settici e infiammatori della malattia traumatica dovettero avere un decorso piuttosto lungo, come sembra dimostrato dai rimaneggiamenti cicatriziali complessi ivi esistenti. Vi fu anche un intervento chirurgico a livello dei due fori, ma la sopravvivenza a tale intervento (di cui esita il solco fra i fori) dovette essere di non molto superiore ai trenta giorni, come sembra indicato dalla situazione radiologica della lesione C.
… Il reperto è conservato presso il Museo Antropologico, annesso all’Istituto di Antropologia dell’Università di Cagliari.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L’esemplare n. 1 trapanato di Nuraxi Figus-Gonnesa (Cagliari)
Il reperto proviene da un ipogeo della necropoli di Nuraxi Figus nel comune di Gonnesa (Cagliari) da un contesto culturale riferibile alla fase B della Cultura di Bonnanaro (Atzeni, 1972, comunicazione personale; Ferrarese Ceruti, 1981).
Si tratta di un calvario dolicomorfo gracile, euencefalico di uomo adultomaturo con faccia leptena, metrioprosopa, proopica, ortognata; orbite mesoconche e cavità nasale iperleptorrina. Spessore dei tavolati nei limiti della norma. Sul piano morfologico l’esemplare è riconducibile a tipologie umane già presenti in Sardegna a iniziare dal Neolitico Finale (Germanà, 1972-74; Id. 1987).
Sul piano paleopatologico l’esemplare presenta quattro lesioni: una in regione frontale destra (A), due in regione parietale sinistra (B e C) e una in regione occipitale destra (D). Le lesioni A, B e D sono caratterizzate da avvallamenti crateriformi del diametro medio di circa 21 mm, a superficie liscia, talora interessata da rare e piccolissime cribrosità. I fori veri e propri presentano una conformazione ora ellissoide e ora rotondeggiante del diametro medio di circa 8 mm con bordi assottigliati e preda di fatti cicatriziali. Questi consistono in lamelle e spine ossee a orientamento centripeto rispetto al foro stesso. Il loro esame radiologico (Urigo, Germanà, 1987) ha messo in evidenza un’areola sfumata (riferibile a trabecole ossee sottilissime, non ancora completamente strutturate), indice di sopravvivenza del soggetto ai tre interventi di parecchi mesi, forse un anno e più.
La lesione C è caratterizzata da un’area quadrangolare (mm 40 X 40) a superficie modicamente granuleggiante e margini talora delimitati da creste ossee appena rilevate. Il foro di trapanazione è quasi regolarmente rotondeggiante (diametro mm 20) e non presenta apprezzabili fatti cicatriziali a livello dei suoi bordi, che portano invece tracce di intervento manuale umano. Lo stesso esame radiologico (Urigo, Germanà, 1987) rivela a tale livello una brusca interruzione delle strutture ossee. Sembra giustificato pensare che in questa sede siano stati compiuti due atti operativi, fra loro sfasati nel tempo: uno contemporaneo agli altre tre e un altro, ripetuto a distanza di circa un anno nella stessa sede, più largo dei precedenti e seguito dal decesso del soggetto.
Per quanto riguarda la tecnica operativa, pensiamo che i fori A, B e D siano stati realizzati mediante bulinaggio, con strumento perpendicolare alla superficie ossea nella lesione D, un po’ inclinato nel foro B, più inclinato nel foro A. Nel caso della lesione C vennero usate, e in tempi diversi, almeno due tecniche: una iniziale, consistente nel raschiamento progressivo della superficie ossea fino alla sua iniziale perforazione (di cui, però, non resta traccia) e un’altra consistente nell’allargamento e ulteriore rimaneggiamento di tale breccia ossea a un anno circa di distanza e mediante uno strumento appuntito; ciò sembra dimostrato da innumerevoli solchi fra loro paralleli e contigui, perpendicolari al bordo e sicuramente intenzionali (Germanà, 1987).
L’esemplare di Nuraxi Figus è stato riconsegnato, dopo l’indagine paleopatologica, al suo scopritore Prof. Atzeni, docente dell’Università di Cagliari, per il suo più opportuno collocamento in un museo cagliaritano.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
3800-3600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. Il resto cranico M trapanato di Seulo (Nuoro)
Negli anni 1932 e 1933 Businco (1933) rinvenne resti scheletrici umani in località Cannisoni, Gastea e Is Bituleris del comune di Seulo connessi con prodotti industriali da lui ritenuti genericamente nuragici. Un riesame di tale materiale (Tanda, inedito) ha permesso di inquadrarlo fra i prodotti industriali della fase B della Cultura di Bonnanaro e, pertanto, del periodo nuragico arcaico (Bronzo Medio).
Il gruppo umano, desunto dai resti scheletrici, venne esaminato sommariamente da Businco (1933) e in dettaglio da Maxia (1951-52). Le forme craniche sono prevalentemente dolicomorfe, con la presenza di un solo esemplare sfenoide, moderatamente brachicranico. Variabili le facce. Le stature medie (Manouvrier-vivente) si aggirano attorno ai cm 165,9 per la componente maschile, cm 155,1 per la componente femminile del gruppo.
La calotta incompleta «Seulo M» è di uomo adulto-maturo con neurocranio lunghissimo, stretto, iperdolicocranico, dalla fronte mediamente larga (Maxia, 1951-52).
Nell’endocranio si osservano numerose foveole del Pacchioni.
L’esemplare presenta tre lesioni, disposte tutte sul lato di sinistra; si tratta di tre fori, circondati da altrettanti avvallamenti, rispettivamente ampi dall’avanti all’indietro mm 14 x 7, mm 10 x 8,5 e mm 23 x 20. A carico dei primi due fori vengono segnalati fatti cicatriziali e scomparsa delle strutture diploiche, mentre il terzo foro non presenta rigenerazione ossea (Maxia, 1951-52, Id. et al, 1951-52).
Un esame radiologico recente (Urigo, Germanà, inedito) ha messo in evidenza a carico dei tavolati una situazione di fine e diffusa porosi. Attorno ai primi due fori si nota un’area porotica più marcata, che assume un aspetto sfumato con formazioni irregolari di addensamento calcico a ridosso degli stessi fori. Soltanto in prossimità della lesione mediana si notano contenuti fatti di iperostosi reattiva con immagini «a spazzola» delle lamelle neoformate. Nella lesione posteriore risulta appena accennato un rimaneggiamento delle strutture ossee, che appaiono sfumate.
In conclusione, ci si trova di fronte a tre trapanazioni craniche, di cui le prime due contemporanee e caratterizzate da una sopravvivenza del soggetto di parecchi mesi, mentre la lesione posteriore presenta fatti cicatriziali minimi, con una sopravvivenza di circa una settimana.
Tutte e tre le lesioni sono state realizzate con la tecnica dell’abrasione progressiva dei tavolati, fino alla perforazione iniziale, successivamente allargata fino alla dimensione voluta. Ringraziamo il Prof. Floris, che ci ha consentito l’ulteriore esame radiologico dell’esemplare. Il resto cranico «Seulo M» è conservato presso il Museo dell’Istituto di Scienze Antropologiche dell’Università di Cagliari.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
3800-2600 AF. Età del bronzo medio cultura di Bonnanaro. L’esemplare trapanato di Sisaia-Dorgali (Nuoro)
Nel 1961 il Gruppo Grotte di Nuoro rinvenne in una grotta naturale nella valle di Lanaittu – Dorgali uno scheletro quasi completo di donna adulta, in un contesto funerario riferito dalla Ferrarese Ceruti (Id. et al, 1978; Id. 1981) alla fase B della Cultura di Bonnanaro (Bronzo Medio). Dalla sepoltura femminile dell’ava venne data la denominazione di Sisaia ( = l’antenata) alla grotta in questione. Dalla stessa grotta provengono altri rari e incompleti resti ossei umani e ceramici, riferibili a un precedente seppellimento della stessa cultura.
Il cranio della donna di Sisasia si presenta in buono stato di conservazione; il neurocranio è dolicomorfo, discretamente robusto, ellissoide di media lunghezza, larghezza e altezza, aristencefalico. La faccia è di media larghezza e altezza allo gnation, però bassa al prostion, con orbite basse, di media larghezza, cavità nasale di larghezza e altezza medie; profilo facciale ortomesognato e guance tendenzialmente fenozighe. La statura (Manouvriervivente) si aggira attorno ai cm 150.
La patologia del soggetto consiste in fatti cariosi, usure occlusali, tartaro del colletto; fatti artrosici vertrebrali; una neoformazione a carico dell’osso sacro; una frattura «da difesa» alla spalla sinistra (guarita in pseudoartrosi) e una frattura diafisaria dell’ulna dello stesso lato. L’omero sinistro è più corto del destro di circa un centimetro. Ai femori e alle tibie l’esame radiologico ha messo in evidenza almeno otto strie successive di Harris. La mancanza del «solco della gravidanza» (groove of pregnancy) nel bacino fa ipotizzare come la donna di Sisasia non abbia portato a termine alcuna gravidanza (Germanà).
Confronti morfometrici avvicinano il cranio di Sisaia alle morfologie f emminili eneolitiche di Ponte S. Pietro (Cultura di Rinaldone); un’analoga somiglianza si nota pure fra le morfologie Bonnanaro e quelle rinaldoniane (Germanà in Ferrarese Ceruti et al, 1978; Id. 1984; Id. 1985). Spessori del neurocranio nei limiti della norma. In corrispondenza del quadrante postero-inferiore del Parietale di destra si nota una lesione irregolarmente ellissoide (mm 18 x 15), delimitata da un solco che si approfonda oltre il tavolato esterno irregolarmente negli strati sottostanti, senza mai comunicare con la cavità endocranica. La continuità del solco è interrotta da ponti ossei. Sulla superficie dell’area ellissoide si notano piccole sfaccettature «intenzionali», allungate in senso verticale.
L’esame radiologico (Germanà, 1972-74) rivela, in corrispondenza della lesione, un’area di rarefazione ossea a maggior asse antero-posteriore (mm 25 x 20) a margini sfumati, nel cui contesto si notano aree di rarefazione calcica.
Fatti diffusi di osteoporosi e ricca vascolarizzazione si notano nella circostante squama parietale.
In conclusione, si tratta di una trapanazione cranica seguita dal reinnesto della rondella, precedentemente prelevata. L’autotrapiano è attecchito e si presenta in preda ai normali fatti trasformativi, caratteristici di analoghi interventi di cranioplastica (Lapidari et al, 1938; Visalli, 1972; Germanà, 1972-74; Id. in Ferrarese Ceruti et al, 1978). La sopravvivenza del soggetto all’intervento di cranioplastica (l’unico esempio riuscito della Preistoria fino a ora noto) è quantificabile in parecchi mesi, forse qualche anno. Tecnica usata: incisione progressiva della superficie esocranica con superficiale raschiamento della rondella. Col suo viatico funebre e con il suo scheletro postcraniale il cranio di Sisaia è ricomposto nel Museo Archeologico di Dorgali (Nuoro).
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
3527-3328 AF. Un trattamento chirurgico inusuale per trauma cranico.
L’aumentata quantità di conoscenza sui resti umani antichi e dalle acquisizioni etnografiche, ha notevolmente cambiato la nostra visione del passato e della medicina “tradizionale”. I trattamento chirurgico sul cranio che richiede una approfondita conoscenza anatomica ed una grande esperienza è stato influenzato proprio da questi fattori (Ackerknecht, 1967; Capasso et al., 2002).
Varie forma di trapanazione con lo scopo di rimuovere i frammenti dei traumi cranici sono documentati fin dal Neolitico e in rapporti recenti di etnologi (Aufderheide & Rodríguez-Martín, 1998; Margetts, 1967; Ortner, 2003).
Il caso presentato qui evidenzia l’applicazione di una tecnica poco invasiva al cranio di un individuo adulto trovato durante gli scavi archeologici in una grotta (Garbu du Surdu, Finale Ligure, Savona, Italia). La datazione con 14C AMS ottenuto da un frammento di mandibola ha evidenziato un periodo tra i 3527 e i 3328 anni fa in accordo con i resti archeologici che comprendono frammenti di vasellame decorato e ornamenti con conchiglie.
Il cranio giaceva appoggiato sulla superficie del deposito tra le altre ossa che appartenevano ad almeno sei individui la cui inumazione è stata fortemente alterata da eventi naturali. La mescolanza delle ossa ha reso impossibile associare qualunque osso postcraniale a questo specifico cranio. Così l’assenza di un ossa iliache non ha permesso una sicura attribuzione del sesso, sebbene la diagnosi di femmina è stata suggerita dalle caratteristiche del cranio (Ferembach et al., 1979).
Il cranio mostra una frattura dell’osso temporale sinistro con perdita di frammenti (Fig. 1). La squama ossea appare modestamente depressa e, radiologicamente, mostra due principali linee di fusione che si irradiano dalla parte inferiore dell’osso dove si osservano tre lacune. Sull’osso parietale, immediatamente sopra l’area colpita dal trauma, il cranio mostra due scanalature curve. Una, lunca circa 3 cm., parte dal bordo posteriore della sutura squamosa; l’altra, di 9 cm, decorre sopra la prima e raggiunge la sutura coronale. Il rimodellamento del tavolato esterno indica che le due incisioni sono state fatte in vita (Fig. 2).
Queste modifiche indicano che questo individuo ha subito un violento trauma cranico con un oggetto contundente che ha fratturato l’osso temporale. Nel rimanente materiale non sono stati osservati segni di traumi.
Il trauma è stato probabilmente inferto stando difronte e usando uno strumento tondeggiante tenuto con la mano destra, che non è stato letale, ma ha richiesto un trattamento chirurgico e delle cure. Si può ipotizzare che il cranio sia stati inciso sopra l’area traumatizzata con uno strumento appuntito per isolare e sollevare i tessuti molli che ricoprivano la frattura, rimuovere i frammenti ossei e ripulire la ferita.
Considerando l’antichità del cranio, lo strumento usato poteva essere realizzato con il rame, una lama di selce o di ossidiana (un materiale vetroso di origine vulcanica). L’incisione più corta è stato probabilmente un primo tentativo interrotto per motivi contingenti, probabilmente perchè era troppo basso.
Questo caso dà la prima evidenza di un tale trattamento su un cranio traumatizzato ed è la dimostrazione una volta di più della conoscenza delle capacità terapeutiche delle popolazioni preistoriche, evidenziando la loro abilità nello scegliere le procedure chirurgiche sencondo le specifiche necessità.
Bibliografia
Ackerknecht E. H. 1967. Primitive surgery. In D.R. Brothwell & A.T. Sandison (eds): Diseases in antiquity, pp. 635-650. Charles C. Thomas, Springfield.
Aufderheide A. C. & Rodríguez-Martín C. 1998. The Cambridge encyclopedia of human paleopathology. Cambridge University press, Cambridge.
Capasso L., Micheletti E., Pierfelice L., D’Anastasio R. 2002. Neurosurgery 7000 years ago in central Italy. Lancet, 359:2206.
Ferembach D., Schwidetzky I., Stloukal M. 1979. Raccomandazioni per la determinazione dell’età e del sesso sullo scheletro. Rivista di Antropologia, 60:5-50.
Margetts E. L. 1967. Trepanation of the skull by the medicine-man of primitive cultures, with particular reference to present-day Native East African practice. In D.R. Brothwell & A.T. Sandison (eds): Diseases in antiquity, pp. 673-701. Charles C. Thomas, Springfield.
Ortner D. J. 2003. Identification of pathological conditions in human skeletal remains. Academic press, Amsterdam. Associate Editor, Rita Vargiu
Da Formicola V., Cammellini S., Caramella D., Del Lucchese A., Goude G., Saccone M.,Fornaciari G., An unusual surgical treatment of the skull following trauma during the Copper Age (IV millennium B.C.) in Italy, J. Antropological Sciences, 2012, 90, 1-2.
7.000 – 2.000 anni fa in Francia
Pensiamo sia problematico quantificare il numero dei crani trapanati della Francia, anche dopo avere passato in rassegna la pur vasta letteratura in merito e, probabilmente, gli stessi Paleopatologi francesi non sono in condizione di formulare cifre esatte, o, quanto meno, vicine al reale. Anzi alcuni di essi non hanno neanche risposto a nostre richieste di informazioni scientifiche sull’argomento.
Già Piggot (1940) parlava di un «vasto numero di trapanazioni», circa 200 esemplari; Lisowski (1967) riferiva circa 70 siti e Brenot (1977) contava ormai 250 esemplari. Noi pensiamo che la reale numerosità debba essere senz’altro maggiore e vedremo in seguito perché.
Certo è che il maggior numero di esemplari trapanati proviene dal Bacino di Parigi, dalla Marne e da siti vicinori (Pales, 1944), anzi, secondo questo stesso Autore, ci sarebbe una correlazione fra numero di trapanazioni e densità della popolazione osservata. Alcuni esempi: fra i 44 crani della collezione Baye, provenienti da grotte artificiali della Valle del Petit Morin (Marne) da contesti culturali Seine-Oise-Marne (S.O.M.), 6 erano trapanati (ma il numero reale degli inumati era di circa 150 individui). Analoghe proporzioni si hanno nei Causses e presso le popolazioni dei dolmens. Altre cifre: Hayettes, un esemplare su circa 50 individui; Cornembeaux, 1/50; Bray sur-Seine, 1/ 44; Aulnay-aux-Plance, 1/50 (Pales, 1940); Saint-Martin-la-Rivière, fra 60 individui 6 crani trapanati e rondelle (in Piggot, 1940); grotta dell’ Aven Mariat (V AR) dell’Età del Bronzo, fra 7 resti cranici, avulsi intenzionalmente dal resto dello scheletro, ben 4 esemplari trapanati in vivo (Barra!, 1960) e altri esempi si trovano facilmente.
Nel secolo scorso in grotte e in camere megalitiche della Lozère e delle Cevennes vennero rinvenuti oltre 200 crani trapanati e rondelle; si sa che il medico Prunières ne possedeva una collezione di ben 167 esemplari. Dagli ossari collettivi neolitici in grotta dei Baumes Caudes provengono ben 60 esemplari trapanati e rondelle (Prunières, 1878, in Guiard, 1930); 3 altri casi neolitici provengono dal Plateau d’Auvigny (in Piggot, 1940). Da siti funerari, connessi con la Cultura S.O.M., si hanno numerosi crani: 9 da Vendrest, 6 da Congy, 3 con il T sincipitale dal dolmen de la Justice, altri 3 da una grotta di Tertre-Guerin, etc.
Dal punto di vista cronologico il dettaglio di costume della trapanazione sembra avere inizio in epoca neolitica (Eybal-le-Caux, Teyjat, Loisy-en-Brie, Petit Morin, etc. ), continua in epoca eneolitica, soprattutto connesso con la Cultura S.O.M. (Bray sur-Seine, dolmen de la Justice, Menouville, Nogentles- Vierges, Vendrest, etc.), nell’Età del Bronzo (Guisseny, Rousson, grotte de Albaréa, etc. ), in epoca pre-romana (Crozon, Wargemoulin, etc. ), in epoca merovingia (Hermes), nel VI secolo d.C. (Grugies), nei secoli VII-IX d.C. (Jeuilly, etc.), nel Medio Evo (Montiers, Cocherel, Puy-de-Dòme, Meurtheet-Moselle, etc. ).
Come si può notare da questa ridda di cifre (alcune esatte, altre solo approssimative)
il numero complessivo di crani trapanati (quanti in vivo? quanti post mortem?) deve di molto superare la cifra di 250 e il numero degli esemplari con il T sincipitale si aggira attorno alla trentina, anzi alcuni crani presentano entrambe le mutilazioni. Innumerevoli rondelle-amuleto provengono da oltre una decina di siti ed è opinione di molti Studiosi che un gran numero di trapanazioni postmortali sia stato effettuato proprio per ricavarle.
Piggot (1940) ha tentato di ricostruire possibili correlazioni cronologicoculturali e geografiche fra i vari esemplari francesi e quelli europei. Ha, per esempio, visto nel Rodano una via di diffusione della pratica sulla scia di culture enee; ha evidenziato una possibile connessione fra craniotomie e Cultura S.O.M., fra queste e altre culture europee (fra cui quella di Unetice); fra il culto della Dea Mediterranea neolitica e la pratica della trapanazione: evidente lo sforzo di dimostrare una continuità fra cultura e cultura, fra scuola e scuola, fra generazioni e generazioni.
Anche negli esemplari francesi l’osso più trapanato è il parietale (soprattutto quello di sinistra), cui seguono (ma non sappiamo in che misura) il frontale e l’occipitale, meno il temporale. E mentre le trapanazioni sembrano preferire il sesso maschile, il T sincipitale si trova più frequentemente nel sesso femminile. Alcuni esemplari presentano tracce anche di più trapanazioni, ripetute anche a distanza di tempo, sia in vita, che dopo la morte (come per es.: nel caso del Petit-Morin). Fra gli scopi della trapanazione vengono indicati quelli terapeutici, quelli magico-religiosi, sia nel vivente che dopo la morte (in quest’ultima evenienza anche per ricavare rondelle-amuleto).
Metodi usati: il raschiamento, il bulinaggio e l’incisione. Tanto il raschiamento quanto l’incisione coesistono anche nello stesso sito (per es.: a Vendrest-Belleville). La trapanazione incaica si nota in vari esemplari (per es. in quello di Lisières e in quello di Deux Sevres: Piggot, 1940).
Fra i pastori viene praticata la trapanazione veterinaria (AA.VV., 1982).
Estratto da Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
7000 AF. agricoltori neolitici a Ensisheim, in Alsazia (Francia)
Scoperti in Francia i resti di un agricoltore del 5000 avanti Cristo che sopravvisse a due importanti operazioni Cranio trapanato con una scheggia di pietra Settemila anni fa un uomo venne sottoposto a due trapanazioni craniche e sopravvisse alle operazioni. La prova di questi straordinari interventi preistorici e’ rappresentata dal cranio di un individuo di una cinquantina di anni rinvenuto nell’autunno scorso in una necropoli di agricoltori neolitici a Ensisheim, in Alsazia (Francia). L’età’ di 7.000 anni e’ stata indicata sia dal tipo di ceramica associata alla sepoltura che dagli esami del carbonio 14 eseguiti sui resti organici. La notizia e’ stata pubblicata sulla rivista “Nature” in un articolo firmato dai ricercatori francesi e tedeschi autori della scoperta. Oltre a rappresentare la prima testimonianza di trapanazione cranica, il reperto alsaziano e’ anche la piu’ antica prova in assoluto di intervento chirurgico. Sulla sommità’ del cranio, nella parte anteriore, si nota un’ampia zona circolare leggermente infossata dovuta alla ricrescita dell’osso dopo l’intervento; segno, questo, che l’uomo sopravvisse per un tempo piuttosto lungo dopo la trapanazione. In posizione un po’ piu’ arretrata c’e’ il segno del secondo intervento che interesso’ un’area ancora piu’ vasta; in questo caso la rigenerazione dell’osso non e’ completa. Non e’ stato accertato se i due interventi tennero eseguiti contemporaneamente o in due momenti diversi; e’ comunque evidente che il paziente sopravvisse tanto a lungo da permettere all’osso di •¡generarsi senza che sopraggiungessero infezioni di qualche rilievo. La trapanazione cranica e’ una pratica diffusa in diversi continenti da migliaia di anni, ma inora gli interventi noti non superavano il 3000 avanti Cristo. L’area che ha restituito il maggior numero di crani trapanati e’ il Peni’ meridionale dove nei secoli ì cavallo dell’inizio dell’Era cristiana le popolazioni Paracas praticavano anche trapanazione multiple (fino a 7 interventi sullo stesso cranio). In Italia sono stati invenuti una trentina di crani con trapanazioni databili tra il III millennio avanti Cristo e l’epoca romana. Le cifre relative all’Italia possono apparire basse e far xedere che la trapanazione fosse una pratica del tutto eccezionale; ma se si tiene conto della casualità’ dei ritrovamenti e del fatto che fino a qualche decennio fa ;li archeologi non prestavano attenzione ai resti ossei – con conseguente dispersione degli stessi – si può’ ritenere che questo tipo di intervento fosse ben piu’ liffuso di quanto suggeriscano le cifre. Prima dell’avvento dei metalli gli interventi venivano eseguiti fondamentalmente con due tecniche: per abrasione o “a assello”. L’abrasione veniva eseguita facendo ruotare sull’osso un raschietto di pietra fino alla perforazione della calotta; l’intervento “a tassello” prevedeva nvece l’esecuzione di quattro fori disposti agli angoli della zona interessata e l’unione degli stessi mediante solchi tanto profondi da far saltar via il tassello osseo, lecondo i paleopatologi le trapanazioni potevano essere eseguite per ragioni magico – religiose (in questo caso anche su cadaveri allo scopo di staccare una dastrina ossea a cui si attribuiva un valore apotropaico) 0 terapeutiche, come, ad esempio, far defluire il sangue formatosi sotto la teca cranica in seguito a un arte trauma. Comunque, nei casi di interventi su persone in vita e poi sopravvissute, l’operazione interessava il tessuto osseo e non certo le meningi 0 il cervello, turante il Neolitico i “ferri” dei chirurghi erano costituiti da raschiatoi, lame e bulini di pietra dura (selce o ossidiana), mentre nelle epoche successive vennero tilizzati strumenti di metallo. Nella tomba di un chirurgo del I secolo d.C., in servizio presso la stazione militare romana di Bingen, vicino a Magonza Germania), vennero ritrovati due bei trapani “a corona” completi di leve snodabili per azionarli. I trapani erano conservati in un bacile di bronzo insieme a ecine di altri ferri chirurgici e a una statuetta di ippopotamo sormontato da un cobra, “attestato di laurea” della celebre università’ di Alessandria d’Egitto, lurante il secolo scorso i chirurghi sperimentarono l’efficacia degli utensili di pietra e il celebre Paul Broca esegui’ con lame di selce, e in soli nove minuti, una trapanazione cranica a un cane che sopravvisse all’intervento. Sempre in Francia, il chirurgo Championniere esegui’ un esperimento sul cadavere di una donna apanando il cranio con una scheggia di selce in circa trenta minuti. Queste sperimentazioni avrebbero spinto due chirurghi sudamericani a eseguire con accesso, negli anni ’40 – ‘50, trapanazioni su pazienti vivi con strumenti provenienti da scavi archeologici dell’area peruviana. I vari tentativi di chirurgia jerimentale non spiegano pero’ in che modo gli antichi chirurghi potessero anestetizzare i loro pazienti e soprattutto come riuscissero a evitare le infezioni post operatorie.
Da Domenici Viviano. http://archiviostorico.corriere.it/1997/giugno/22/Cranio_trapanato_con_una_scheggia_di_pietra
5.700 – 2.000 anni fa in Spagna e Portogallo
Nell’Europa, dopo la Francia, la Penisola Iberica occupa uno dei primi posti come numerosità dei crani trapanati: Campillo (1977) ne segnala una settantina, di cui 42 esaminati direttamente da lui. Per quanto riguarda il Portogallo esemplari trapanati ha restituito soprattutto l’Estremadura (grotta de Furminna, de Fontainnas e Casa da Moora). In Spagna almeno tredici esemplari provengono dalla Catalogna e in particolare dall’area barcellonese (fra cui Roda de Ter, Bovila Madurel, grotta de Panta de Foix, Bòfia de San Jaume); almeno uno viene da Tarragona (cova de l’Heura); sette da Lerida (3 dalla cova d’ Aigues vives, 2 dal megalit de Clara, altri da Vilar Olius e il dolmen di «Can Auren»); otto si hanno dalla Regione Valenciana (di cui 5 dalla cova de la Pastora, cova d’en Pardo, Oriola, «Les Llometes»-Ballester in Alicante); nove provengono da Alcazar del Rey (anche se Campillo (1977) vuole che i trapanati siano solo due), tanto per citare i siti più importati. È interessante segnalare come le isole Baleari abbiano restituito numerosi crani trapanati: 17 da Maiorca (di cui 13 da Son Real) e 7 da Minorca. Un altro esemplare nuovo, pretalaiotico, è stato cortesemente mostrato a uno di noi (Germanà, 1989 inedito) dal Prof. Rossello Bordoy nel Museo Archeologico di Maiorca. Come si può intuire, gli esemplari iberici sono oltre una settantina e non tutti noti.
Dal punto di vista cronologico Campillo (1977) riferisce che il caso più antico proviene da una necropoli del Neolitico Finale: 2700-2000 a.C. (Bovila Madurel). Segue il gruppo eneolitico e del Bronzo (Solsonés, culture megalitiche dolmeniche, ivi comprese le grotte a interramento e quelle alicantine): 2000-1500 a.C. Poi si ha un «vuoto» che interessa le culture halstattiane (1000 a.C.) fino ai primi contatti con il mondo classico (Fenici: VIII-VII sec.; Greci: dal VI sec. a.C. fino alla dominazione romana, iniziata nel III sec. a.C.). Le trapanazioni baleariche appartengono a un periodo piuttosto tardo, che a «Son Real» va dal VII al IV sec. a.C.; né le altre baleariche di Maiorca e Minorca debbono differire di molto. Campillo (1977) ha l’impressione che almeno un millennio prima dell’Età del Ferro nel Continente Iberico si cessò di trapanare e che la pratica si trasferì nelle Baleari appunto attorno al VII sec. a.C.; viene tuttavia avanzata l’ipotesi che l’incinerazione, propria del periodo halstattiano, abbia determinato un tale vuoto, che sarebbe pertanto apparente.
Un’associazione fra trapanazione e Cultura Campaniforme si ha in una camera megalitica di Pagobakoitza (Arazandi, 1919, in Piggot, 1940).
Reverte (1980) segnala cinque casi di trapanazione cranica provenienti dalla necropoli medioevale di Thiermes-Soria (Vecchia Castiglia).
Come già accennato, Campillo (1977) ha esaminato personalmente oltre una quarantina di esemplari trapanati, provenienti dalla Catalogna, dalla Regione Valenciana e dalle Baleari. Tale campionario può essere così riassunto: Per il sesso, 23 sono maschili (67,6%), solo 2 femminili (5,9 %) e 9 sono di sesso incerto (26,5 %). Per fasce di età i crani si distribuiscono: 0-9 anni, 1 (4,0 %); 10-19 anni, O; 20-29 anni, 12 (48,0 %); 30-39 anni, 8 (32,0 %); 40-49 anni, 1 (4,0%); 50-59 anni, 3 (12,0%). In norma superiore il cranio è dolicomorfo in 18 osservazioni (52,9%); brachimorfo in 4 (11,8%); mesocranico in 3 (8,8%); di forma sconosciuta in 9 osservazioni (26,5%).
Le brecce di trapanazione sono praticate: sul frontale in 14 osservazioni (38,9%: 6 a destra; 7 a sinistra); sul parietale in 21 osservazioni (58,3%: 6 dx; 15 sn); in regione parieto-occipitale in 1 osservazione (2,8%). Sul lato di destra in 12 osservazioni (31,6%), sul lato di sinistra in 23 osservazioni (60,5%) e in sede mediana in 3 osservazioni (7,9%).
Gli esemplari con una sola trapanazione sono 25, con due trapanazioni 4, con tre 2, con quattro 1, con cinque 2 e con sette 1. La perforazione è completa in 28 esemplari (82,4%), incompleta in 6 (17 ,6%).
Fatti cicatriziali con reazione ossea a bande si notano in 4 osservazioni, non si notano in 30. Fatti di infiammazione secondaria si hanno in 8 osservazioni, non si hanno in 25 casi. Affezioni patologiche coesistenti sono state notate in una sola osservazione su 25.
Fra le tecniche di trapanazione il bulinaggio (barrenado) risulta in 21 casi (61,8%), la scarificazione in 10 (29,4%) e l’incisione in 3 (8,8%). Riscontrata anche la cauterizzazione (esemplare 12 LP di Binimel La-Minorca). Fra i crani di Maiorca si segnalano 8 casi di bulinaggio, 5 di scarificazione e 1 di incisione; quest’ultimo (esemplare 65-4) consiste in una trapanazione postuma di tipo incaico. Altri 3 esemplari di Son Real sono interessati da tutta una serie di piccoli fori del diametro medio di 7-8 mm, realizzati mediante bulinaggio e in tutti i casi privi di reazione cicatriziale. Analogo quadro si nota in un esemplare minorchino del Barranco d’Alguendar.
Campillo (1977) pensa che la maggior parte delle trapanazioni iberiche abbia avuto uno scopo magico-rituale.
Secondo Zaragoga Rubira (1976) il rapporto fra trapanazioni e popolazione coeva è molto elevato: fra il 10 e il 13%.
Alcune comunità pastorali iberiche praticano ancor oggi la trapanazione cranica empirica veterinaria (Germanà, 1983).
Da Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
9340-6850 AF. Cranio trapanato Asturiano a Colombres.
Facies culturale caratteristica della zona costiera delle Asturie, in Spagna. Cronologicamente si svolge in l’orma parallela all’Aziliano, anche se è probabile che questo sia più antico. Si tratta di una cultura di chiocciolai, dove abbondano patelle, molluschi, qualche cozza, crostacei e pesci; si sono ritrovati strumenti macrolitici come il piccone asturiano, caratteristico, poco voluminoso, con taglio unifacciale praticato su pezzi di quarzite; alle estremità venivano praticate due grandi scanalature disposte lungo l’asse maggiore ottenendo così una forma triangolare e appuntita, particolarmente adatta all’uso dei raccoglitori di molluschi, ma utile anche per disotterrare radici e tuberi. L’industria comprende anche alcuni strumenti d’osso o di corno di cervo, punte recanti qualche incisione ma nessun arpone, ciottoli scheggiati e lame. La fauna oggetto di caccia corrisponde a quella dei boschi cantabrici: cervi, prima di tutto, e poi bovidi. caprioli, capre e cinghiali.
Il termine Asturiano è stato creato dal conte della Vega del Sella nel 1923, anche se all’epoca l’industria venne attribuita al Paleolitico inferiore e messa in relazione con quella del Cau del Due (Torroella de Montgrì, a Gerona) per il caratteristico tipo di taglio, di forma simile ai choppers. Le datazioni al radiocarbonio tendono però a collocarla tra il 7.340 ± 440 e il 4.850 ± 160 a.C. I giacimenti fondamentali sono quelli di Balmori, La Riera e Liencres. Si conosce un’unica sepoltura, quella di Colombres, dove il corpo giace supino sul dorso, circondato da piccole placchette calcaree, con il cranio trapanato: accanto ce un cerchio di pietre che contiene tre picconi asturiani.
Il cranio trapanato segnalato è quello appartenente a uno scheletro scoperto sotto un tumulo a Colombres in Spagna, datato al periodo Mesolitico, circa 8000 aC, e identificato come appartenente alla cultura asturiana della regione. Un buco ovale delle dimensioni di una piccola moneta indica la possibilità di trapanazione, anche se non è chiaro se questo è stato fatto prima o dopo la morte dell’individuo. Se fosse quest’ultimo, allora questo non si qualificherebbe come un caso di trepanation terapeutica. Se è stato fatto durante la vita, allora l’operazione è stata un fallimento perché non ci sono segni di guarigione sul cranio. Ad oggi, il più recente caso di trepanizzazione è stato scoperto solo molto recentemente, nel settembre 1996, nel sito di sepoltura neolitico di Ensisheim in Alsazia, in Francia, e datato tra il 5100 e il 4900 aC. Tra i vari resti umani trovati nel sito c’erano quelli di un uomo di 50 anni (noto come Burial 44) il cui cranio aveva due buchi, entrambi chiaramente il risultato di trepanning. Entrambi hanno mostrato una chiara evidenza di guarigione, e Kurt Alt e i suoi colleghi, che hanno studiato il cranio, considerano la più vecchia operazione neurochirurgica guarita conosciuta nel mondo. Osservano che “la sua realizzazione tecnica testimonia l’alta maestria artigianale e la solida conoscenza anatomica del chirurgo”. Ci sono centinaia se non migliaia di altri teschi trapassati da tutta l’Europa preistorica (fino all’Inghilterra, Svezia, Italia e Russia), il che dimostra che la pratica era ben nota e non solo il risultato di innovazioni sporadiche di pochi individui.
Da Rudgley Richard, The Lost Civilizations of the Stone Age, Free Press, 1st Touchstone Ed edition, 25, 2000.
8.000 – 2.000 anni fa in Portogallo
8000 AF. Le manipolazioni craniche umane nel Mesolitico.
Il Mesolitico è ben caratterizzato in Portogallo, grazie alle numerose stazioni archeologiche evidenziate fin dal XIX secolo e agli scavi effettuati in anni più recenti. Tra gli articoli pubblicati che si occupano della caratterizzazione di questo periodo ricordiamo il José Morais Arnaud (1987), Anthony F. Carvalho (2009), John Zilhao (1998), Nuno Bicho (2009), Susana Oliveira Jorge (2011) e Joaquina Soares insieme a Carlos Tavares da Silva (1997, 2003 e 2004).
Conchers sarebbe parte integrante di un vasto sistema di insediamenti sviluppato dalle popolazioni umane durante il periodo Mesolitico in una logica di occupazione territoriale al fine di massimizzare l’uso delle risorse disponibili. Il Concheiro per sé un ruolo “simbolico” (come definito dal Susana Oliveira Jorge “come il primo marchio territoriale visibile sul paesaggio, e che i mucchi di conchiglie di Muge meglio incarnano il simbolismo del Sado” – George 2011, p .86).
Tracce ampie del Mesolitico nel territorio portoghese, si caratterizza per i siti archeologici circostanti a Ribeira de Muge (due dei quali si fa riferimento in questo lavoro) in Magoito (Sintra), Toledo (Lourinhã), il caso singolare Concheiro del Grotto (Ourém), a Nazaré, nell’estuario del Sado, o più a sud, intorno ad Aljezur, Odemira e Vila do Bispo, Sagres o Tavira. A nord, si può fare riferimento al concheiro trovato nel margine del fiume Levira a Oliveira do Bairro.
È vero che le prove raccolte fino ad oggi richiedono che si eserciti cautela per quanto riguarda le considerazioni avanzate, ma mi sembra che sia possibile proporre alcune lezioni dai dati disponibili. In relazione al Concheiro do Cabeço da Arruda, è credibile affermare che qualcosa di anomalo appare nella documentazione archeologica, forse in relazione a possibili rituali e attività religiose.
I teschi descritti di seguito provengono dalla Moita do Sebastião e Cabeço da Arruda e sono il risultato dei lavori sviluppati da Jean Roche e Octavio da Veiga Ferreira negli anni ‘50 (Roche, 1952, 1954, 1957, 1959, 1960; 1966, 1972, 1973, Roche e Ferreira, 1974, Ferembach, 1974).
https://run.unl.pt/bitstream/10362/…/3/Tese%20%20Principal.pdf
Progresso del Neolítico dal Medio-Oriente verso l’Europa secondo João Zilhão.
La sua espansione nel territorio europeo e portughese (Zilhão 1993, p. 28; p. 51).
Da Vasques C.V.D.D., A Trepanação e outras Manipulações em Crânios Humanos Pré-históricos do Território Hoje Português, Dissertações de Mestrad, Orientador: Varela G.M., 2016.
http://hdl.handle.±net/10362/19766.
https://run.unl.pt/bitstream/10362/…/3/Tese%20%20Principal.pdf
8000 AF. Ossa craniche dalla Moita do Sebastião (Freguesia: Muge; Concelho: Salvaterra de Magos; Distrito: Santarém).
Cronologia: Mesolítico.
Resti umani osteologici dai vari scavi effettuati nel Concheiro di Moita fare Sebastiao sono sparsi tra istituzioni statali, con la maggioranza sotto la custodia del Museo Geologico del Portogallo. C’era il materiale immagazzinato in quel museo, nonché depositato nel museo di Archeologia e Antropologia Mendes Corrêa, Porto, che ha permesso un’analisi più coerente.
La popolazione umana dei Muge conchers è nel suo contesto, coevo di altre popolazioni europee con lo stesso spettro economico e il modus vivendi. Si potrebbe dire di essi della non “facile” vita, riferendosi al numero elevato di infortuni che ha presentato il livello osteologico (Zilhao, 1999; Carvalho et al, 2008; Bicho 2009, Carvalho, 2009; Cardoso, 2011). Quando è stata fatta una caratterizzazione della popolazione, questo è stato descritto come un vivere in “quasi” a livello di sussistenza ed in seguito dando luogo a diverse teorie (Oliveira, 1881; Ribeiro, 1884; Cardoso, 2011).
Sopra. Cranio XLI esposto al Museu Geológico de Portugal, proviene da individuo maschio visto in norma verticale, si osserva una fossetta a scopo di intervento di trapanazione nel frontale destro.
Sotto. Dettaglio della trapanazione del cranio XLI che viene dalla Moita do Sebastião, osservato da una proiezione frontale diretta dell’osso frontale, si evidenzia una rigenerazione.
I crani studiati, fanno parte della mostra permanente del museo, XLI è considerato come uno dei più antichi d’Europa, con evidenza di segni derivanti dalla trapanazione, il secondo cranio descritto e in custodia alla Accademia delle Scienze di Lisbona. Il cranio apparteneva a un maschio, di robusta corporatura (Buikstra e Ubelaker, 1994). Secondo la scala di Broca (1875) per l’obliterazione delle suture all’età alla morte, si osserva che essi sono chiaramente visibili, quindi meno della metà dei segmenti è sinostosato, cosa che ha dato l’età di 25 anni anni (± 5). …
Nella trapanazione mediante perforazione, si osserva il rimodellamento dell’osso frontale, il che indica la sopravvivenza dopo l’intervento. Nella depressione con perdita di tessuto osseo, ma con segni di rigenerazione, potrebbe essere probabile un impatto con un oggetto contundente, che hanno causato detta lesione. Questa potrebbe essere la causa che ha portato alla trapanazione. La deformazione che presenta è stata attribuita all’effetto tafonomico, tuttavia, la convinzione è che questa stessa deformazione è stata provocata da un forte trauma che ha causato un rimodellamento della struttura delle ossa del viso, provocando la detta deformazione.
La sepoltura di individui adulti nella Moita do Sebastião seguì un rituale di deposizione in decubito laterale, nella posizione fetale, che giaceva sul lato sinistro e il viso orientato verso est.
Il cranio F 12 proveniente dagli scavi di Octávio da Veiga Ferreira e Jean Roche hanno scavato negli anni ‘50 nella Moita do Sebastião, visto in norma laterale diretta. Si osserva una trapanazione nel parietale verso il frontale (Antunes, 2009, p. 128, fig. 13). Lo stesso cranio è appartenuto a un individuo di genere femminile. Visto dalla proiezione superiore mostra l’intervento nel parietale destro in cui si nota un aspetto trabeculare ed una rigenerazione lungo tutto il bordo dell’area operata (Antunes, 2009, p. 129, fig. 15).
Il secondo teschio della Moita do Sebastião (con la designazione F 12) mostra alla palpazione sul parietale destro dei tagli di sollevamento del cuoio capelluto sul lato destro del frontale. Apparteneva a un individuo del genere femminile, già adulto e probabilmente con più di 40 anni. Il cranio mostra una ferita estesa dall’osso frontale a gran parte del parietale e con l’apparenza che ci sia stato un breve periodo di sopravvivenza dopo l’intervento.
Miguel Telles Antunes rifiuta l’idea che i teschi dei Muge Conches abbiano subìto pressioni da processi tafonomici, ma piuttosto sono il risultato di violenza a morte o di riti ad esso collegati. I siti possono essere stati, non i siti di sepoltura, ma piuttosto “aree di uccisione rituale” (Antunes and Cunha, 2009. P.117). Telles Antunes (2009) sostiene l’idea dei segni ferruginosi che possono essere osservati nelle lesioni e che sarà il risultato di ampie emorragie avvenute alla morte.
La maggior parte delle lesioni può essere attribuita agli impatti con strumenti perforanti, altri a un impatto brutale con uno strumento potente, che causa uno schiacciamento della testa, che è stato attribuito al peso della terra (Antunes and Cunha, 2009, p.122).
Vi sono prove di tagli post-mortem, frontali, parietali e occipitali del cuoio capelluto di bambini e adulti di entrambi i sessi e di età diverse, che erano una pratica generale. …
Riguardo ai crani appartenenti alla mostra permanente del Museo Geologico e identificati come “Moita 1” e “Moita 19”, dove sono visibili i segni dell’intervento umano.
– Moita 1, cranio appartenuto a un giovane adulto (+ 20 anni), maschio, mostra tagli con profondità di 1 mm, compresi tra 20 e 30 mm sul lato destro della parte anteriore. Sul lato destro dell’occipite si osserva una trapanazione con rigenerazione ossea totale. Lesioni anche all’osso nasale.
– Moita 19, cranio di una femmina giovane (± 18 anni), ha profondi tagli su entrambi i lati del frontale (2 mm di profondità). Al centro dell’osso frontale viene osservata una lesione di probabile origine traumatica, con conseguente perdita di massa ossea e visibile l’osso interno dell’osso. Dai bordi della lesione, le linee di frattura si irradiano. Lesioni all’osso nasale.
In riferimento all’uso dell’ocra, sembra essere dovuto alla terra di ricoprimento dei corpi sepolti nella necropoli.
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9000 AF. Crâni dal Concheiro do Cabeço da Arruda (Freguesia: Muge; Concelho: Salvaterra de Magos; Distrito: Santarém).
Cronologia: Mesolítico
Per quanto riguarda Cabeço da Arruda, la migliore descrizione di ciò che è stato trovato proviene dai lavori condotti da Jean Roche e Octávio da Veiga Ferreira negli anni ‘50 e in una monografia pubblicata da Jean Roche (Roche, 1967, pp. 79-94 ). …
Vi è evidenza di una pratica post-mortem per ottenere il cuoio capelluto frontale, parietale e occipitale di bambini e adulti di entrambi i sessi e diverse età, … così come traumi correlati con una frattura delle ossa, deformazione e schiacciamento.
Una calotta del concheiro do Cabeço da Arruda con un disegno con ocra. Oltre al disegno il cranio è stato sottoposto al riscaldamento con fuoco e sezionato.
Secondo Telles Antunes, il deposito potrebbe corrispondere, non al sito di una necropoli che serva tutta la popolazione, ma piuttosto un luogo dove si sarebbe praticato il sacrificio umano, con la più alta incidenza di giovani, ma anche con le donne (che potrebbero essere sterili o che hanno superato l’età della riproduzione – Antunes and Cunha, 1993, p 198).
Il caso più particolare è il baldacchino con ocra, disegno graffiato, che si riferisce alla simbologia solare. L’attuale simbologia si riferisce all’arte rupestre della valle del Tago, dove compaiono incisioni simili (Gomes, 1987, pp. 32-37), ma la loro cronologia è più recente. …
Il cranio di un maschio (probabilmente oltre i 40 anni di età) presenta tagli profondi nella parte superiore del frontale, compatibili con le lesioni del cuoio capelluto. I segni di lesioni frontali sono chiaramente visibili.
Il tipo di trauma presente in Concheiros di Muge corrisponde alle tombe mesolitichi Téviec dove il caso più emblematico è la sepoltura cerimoniale di due donne (Caillard, 1976. pp 363-382 ;. Schulting 1999, pp 203-. 207) in cui l’evidenza di una morte violenta è abbastanza significativa.
Una delle spiegazioni avanzate per l’elevata presenza di questi eventi negli scheletri del Mesolitico è il fatto che questa è stata una sorta di fase transazionale con conflitti tra gruppi di diversa estrazione culturale o come risultato di movimenti di popolazioni causate dalle inondazioni di vaste aree abitate, per la fine dell’ultima era glaciale che ha portato a scontri. …
Secondo Schulting, durante il Mesolitico europeo i processi cultuali che implicano l’uso e la manipolazione di crani umani (Schulting, 2015, pp. 19-46), in una situazione in qualche modo paragonabile con i casi del Medio Oriente durante le PPNB (casi di Gerico, Çatal Höyük o Nevali Çori).
Dal Concheiro di Muge so trova una delle più grandi collezioni osteologiche umane del Mesolitico e la maggior parte dei teschi analizzati mostrano probabili indicazioni di traumi violenti. Sarebbe interessante sottoporre alcuni di questi crani alla Tomografia Assiale Computerizzata. Due dei crani della cava di Téviec sono stati osservati attraverso questa tecnica ed i risultati sono stati davvero incoraggianti.
6000-3200 AF. Review of the Portuguese Prehistoric Trepanations (N eolithic, Chalcolithic and Early Bronze Age)
Come già detto i ritrovamenti da Pragança sono descritti in questo capitolo. L’opportunità di di una osservazione personale ha offerto alla scriventedi completare la loro descrizione e di scoprire un altro caso. Castelo de Pragança è un accampamento fortificato probabilmente costruito nell’età del Primo Bronzo. Intorno a questo accampamento e in tutta la Serra de Montejunto ci sono molte grotte che sono state esplorate e scavate alla fine dell’800. … Dopo questo periodo di esplorazioni Leonel Trindade trovò e scavò altre grotte tra il 1930 e il 1940 che il Museu Nacional de Arqueologia (Lisbon) comprò e il Direttore di allora scrisse su alcuni appunti che erano presenti tre crani trapanati scoperti nella grotta Vale Còvo in Vale Tomate (Pragança). Il luogo esatto del ritrovamento è sconosciuto, ma nel Museo è indicato come Vale Còvo in Vale Tomate.
Vista superiore del cranio dal Vale Covo in Vale Tomate (Pragança) che mostra parecchie incisioni sull’osso parietale. Notare che alcune si estendono oltre la sutura coronarica. Le frecce indicano le parti da cui sono iniziati i processi di guarigione.
Questo cranio non ha una data esatta, ma probabilmente appartiene al Calcolitico [4400 AF] in accordo ai manufatti ritrovati. Il cranio appartiene ad un individuo di media età, probabilmente maschio che mostra parecchie incisioni soprattutto nel parietale destro e lungo la sutura coronale. Si estendono per 11,5 cm dal bregma. Il foro è irregolare, con un aspetto rettangolare e misura 11,5 cm medio-lateralmente e 1 cm antero-posteriore in gran parte nell’osso parietale. Sono presenti due piccole aree nell’apertura che sembrano mostrare tenuo segni di rigenerazione in quanto sembra che l’osso compatto tenda a ricoprire il tessuto diploico. Così, se l’individuo è sopravvissuto all’intervento, lo è stato per un breve periodo di tempo. Due incisioni parallele sulla porzione arteriore del parietale sinistro sono lunghe 3,5 cm e decorrono pressochè paralleli alla sutura sagitta. Queste incisioni sono ottenute per raschiamento sul tavolato esterno e sono profonde 2 mm. Non ci sono segni di infezione, nè segni che lascino interdere il motivo per cui l’operazione è stata fatta.
Vista superiore del cranio umano del Castelo di Pragança 1 che mostra una lesione non guarita nell’osso parietale destro.
Tra i resti umani dal Castelo de Pragança (council: Cadaval; di strict: Lisbon), in una fortificazione datata nell’età del Bronzo [5500-3200 AF] è stato ritrovato un cranio maschile con segni di trapanazione (CP1). Questo cranio non ha una datazione esatta, ma probabilmente appartiene al periodo Calcolitico della prima età del Bronzo.
L’intervento chirurgico è stato effettuato nell’osso parietale destro, a 4 cm dalla sutura coronale e a 3 cm dalla sutura sagittale. L’apertura ellittica è orientata con l’asse maggiore in senso medio-laterale ed è di 2,5 x 1,8 cm. L’apertura endocranica mostra un bordo più piccolo. Il bordo interno ha margini minori.
I margini mostrano segni di bisellatura che suggerisce la tecnica della raschiatura. Non sono evidenti segni di guarigione o di indicazioni all’intervento. Altri resti ossei provenienti dallo stesso sito rivelano un cranio (CP2) con una trapanazione probabilmente post-mortem.
Nel 1988 è stato scoperto un ipogeo, risalente al tardo Neolitico (3000-2000 AF), nel cortile della chiesa di S. Paulo (Almada, district: Setubal) usato come sepoltura in cui sono stati trovati i resti di 170 individuo tra cui 3 crani con segno di trapanazione.
Il cranio 1 (SP 1) appartiene ad un adulto (<50 anni) di sesso sconosciuto in cui, vicino all’osso temporale, si osservano due fori di circa 1,2 cm. Le alterazioni tafonomiche rendono il reperto poco leggibile. …
Il cranio 111 (SP 111) identifica un giovane maschio con una trapanazione ellittica (3 x 1,5 cm) situata nell’osso parietale destro con il bordo posteriore sopra la sutura lambdoidea. I bordi sono bisellati. La tecnica è il raschiamento. La diplore non è visibile, almeno in alcune parti, il che significa che l’individuo è sopravvissuto e che non sia sopravvenura alcuna infezione.
Da Silva A.M., Trepanation in the Portuguese Late Neolitic, Chalcolitic and Early Bronze Age Periods, in Trapanation History, Discovery, Theory, Ed. Arnott R., Finger S., Smith C.U.M., Swets&Zeitlinger, 2003.
5310-4875 AF. A Neolithic Case of Cranial Trapanation (Eira Padriha, Portugal)
La trapanazione è stata eseguita su un individuo maschio adulto che è morto a 50 anni circa (Ferembach et al., 1980; Masset, 1982).
Poichè il cranio è stato trovato in un ossario, nessuna componente post-craniale dello scheletro può essere attribuita.
Trattasi di una calotta senza faccia. Oltre la trapanazione non è stata osservala altre lesione.
La lesione si trova nella porzione mediana dell’osso frontale sinistro e si presenta come un’ellissi con la parte centrale depressa e misura 1,8 x 8 cm.
Un’area reattiva di osso smussato che riflette chiaramente un rimodellamento riparativo circonda la depressione centrale dal lato esterno del cranio.
Nell’endocranio è possibile osservare un callo osseo con un diametro trasverso di 27 mm e longitudinale di 16 mm.
Alla prima presentazione il Professor Salvador Junior (Correia e Texeira, 1949) ha descritto questa lesione come il risultato probabilmente di un trauma accidentale (una frattura) con una consolidazione imperfetta. Tuttavia, la nostra nuova analisi porta ad una interpretazione differente.
Possiamo ipotizzare che come risultato di un trauma cranico un callo osseo si sia formato nell’endocranio provocando una forte pressione sul cervello. Pertanto la trapanazione è stata eseguita a scopo terapeutico per alleviare la pressione.
La sede della lesione si accorda con una delle più frequenti sedi di trapanazione: il frontale sinistro lontano dalle suture (Roberts and Manchester, 1995).
La tecnica di perforazione è quella di creare una scanalatura.
E’ certamente una lesione guarita.
La formazione di osso reattivo, che circonda l’area circostante all’intervento, indica che l’operazione è stata eseguita con successo e che l’individuo è sopravvissuto molti anni.
Da Gama R.P.,Cunha W., A Neolithic Case of Cranial Trepanation (Eira Pedrinha, Portugal) , in Trapanation History, Discovery, Theory, Ed. Arnott R., Finger S., Smith C.U.M., Swets&Zeitlinger, 2003.
5370±70 AF. Gruta do Lagar (Freguesia: Melides; Concelho: Grândola; Distrito: Setúbal).
Cranio maschile con segni di trauma frontale e trapanazione del parietale sinistro, con rimodellamento osseo.
Cranio della Grotta del Lagar, essendo visibile la trapanazione accanto alla sutura coronale del parietale sinistro. Visualizzazione nella laterale sinistra. Proiezione di faccia, essendo possibile osservare ia depressione situata nel frontale e citata nel testo.
Il trauma sarebbe dovuto al taglio con probabile lama di selce.
E ‘stato il primo cranio analizzato nel Museo geologico e minerario (inventario numero 228). E ‘gravemente danneggiato, sia da processi taphonomic o dall’antichità in termini di scavo e movimentazione. Non ha la faccia piena, così come la totale assenza di mascella e mandibola. Era datato come Neolitico dal ricercatore che lo recuperò, in congiunzione di materiale coevo con la cronologia, cioè asce e ornamenti lucidi, e ciotole di ceramica con cupolino basso. Tuttavia, nessuna ulteriore informazione è fornita nei quaderni di campo di Melo Nogueira (anche la piccola nota pubblicata nel “Bollettino dei servizi geologici” fa poco senso), riferendosi a questo teschio, sottolineando, tuttavia, che all’interno della grotta c’erano prove di 45 inumazioni (Nogueira, 1927). Non si fa riferimento nel museo menzionato di altri resti osteologici relativi a questo cranio, e quindi non è possibile avanzare qualcosa sullo scheletro post-cranico. Tuttavia, per quanto riguarda il cranio stesso, porta una chiara indicazione della pratica della trapanazione. La procedura si è verificata con l’individuo in vita, essendo sopravvissuto. L’intervento è stato eseguito sul parietale sinistro vicino alla sutura coronale. Non è possibile valutare la vera ragione della trapanazione. Il difetto si presenta nell’osso frontale, nella parte centrale, leggermente deviato a sinistra, piccola depressione, che può aver avuto origine traumatica. Forse con l’intenzione di alleviare la pressione che tale trauma avrebbe prodotto e quindi cercare di accedere alla massa encefalica, riducendo la pressione che un possibile coagulo poteva esercitare. I bordi mostrano segni di rigenerazione e, alla morte, l’osso era nel processo di rimodellamento osseo, senza evidenza di infiammazione o complicanze post-procedura. L’individuo, di sesso maschile (secondo i criteri di diagnosi sessuale attraverso il cranio (Buikstra e Ubelaker, 1994; Ubelaker, 1980; Buikstra, 2006), sono sopravvissuti l’operazione fino alla morte che è accaduta qualche tempo dopo questa pratica (tra i 6 mesi e 1 anno) poiché il processo di rigenerazione ossea ha mostrato alcuni progressi. Osservando e seguendo la procedura di Broca (1867), il cranio ha una configurazione ovoidale. Il metodo utilizzato per la pratica della trapanazione sarà la rimozione mediante strumento di taglio, con l’uso probabile della lama di selce, che avrà permesso di realizzare il foro, avendo così accesso al cervello stesso. Il buco misura 3,5 cm di lunghezza per 2,5 cm di larghezza. La depressione nel frontale è profonda 0,2 cm e larga 1 cm. Questo cranio può essere definito un classico caso di trapanazione e l’individuo è sopravvissuto alla pratica chirurgica. Va notato che nell’autopsia il cranio è stato cosparso di color ocra, colorazione di questo colorante all’interno del cranio, dopo lo svuotamento del cervello, corrispondente alla seconda manipolazione cranica, possibilmente in un contesto rituale.
https://run.unl.pt/bitstream/10362/…/3/Tese%20%20Principal.pdf
7990±60 – 4600±90 AF. Gruta da Casa da Moura (Freguesia: Olho Marinho; Concelho: Óbidos; Distrito: Leiria).
Proveniente da un contesto carsico, la calotta è formata da parietale, occipitale e frontale.
Indicato come proveniente da un livello attribuito al Neolitico, danneggiato dall’azione taphonomic, ma non molto fragile. La trapanazione è stata effettuata a livello parietale sinistro e il processo è stato lasciato nella fase iniziale di raschiamento dell’osso (questo è il metodo utilizzato per eseguire la procedura, utilizzando un possibile utensile di pietra focaia dato che le caratteristiche che le ossa mostrano lo confermano).
In alto. La calotta cranica della Caverna da Casa di Moura vista nella norma verticale, osservando il trapanato con raschiament.
In basso. Particolare del raschiamento, essendo possibile vedere diversi solchi, oltre a quelli della trapananazione, che avrebbero potuto essere fatti per sollevare del cuoio capelluto o derivati ad altre cause che non conosciamo.
Sono anche osservabili altre scanalature, che suggeriscono il sollevamento del cuoio capelluto per l’intervento. Barbosa Sueiro (1933), pubblica un articolo e radiografie di alcuni dei teschi che sono in grado di mostrare segni di trapanazione. Quello di Casa da Moura è uno di questi, le tracce della procedura sono perfettamente visibili sulla radiografia. Ed ecco un problema che era già stato sollevato durante l’analisi radiologica. Non è visibile nella radiografia il segno minimo di rigenerazione ossea e i tratti raschianti stessi suggeriscono che sono stati eseguiti post mortem, dal momento che non solo non vi è alcun segno di recupero osseo, ma il fatto che il processo non è stato completato può sollevare la domanda sul perché è stato avviato e non completato.
… La calotta apparteneva ad un maschio adulto di età compresa tra 25 e 35 anni (Buikstra e Ubelaker, 1994), presentando una configurazione romboidale nella forma del cranio (schema di Sergi) e dolichocefalo a livello di indice cefalico (Broca, 1867), le suture sagittali e coronali sono perfettamente visibili, non essendoci ossa di Wormiane.
Il formato dell’ellisse della trapanazione non è comune. Dalle indicazioni fornite nella bibliografia, ci sarebbe la deposizione di materiale votivo vicino ai resti umani.
https://run.unl.pt/bitstream/10362/…/3/Tese%20%20Principal.pdf
4335±65 AF. Gruta da Furninha (Freguesia: São Pedro; Concelho: Peniche; Distrito: Leiria).
Il primo intervento di Néry Delgado risale al 1865, scavandolo nella sua interezza nel 1879. Fu il primo sito archeologico in Portogallo in cui si usà il metodo stratigrafico.
Il contesto della grotta forniva date dal Paleolitico inferiore al Calcolitico (Zilhão, 1993, p.12). Nello strato corrispondente ai livelli del Neolitico fino al Calcolitico, il primo ricercatore trovò un’ampia presenza osteologica umana, con i rispettivi manufatti e un alto numero di ossa di animali. Il numero minimo di individui sarebbe di circa 140, tenendo conto del numero di mascelle inferiori. Gli utensili corrispondente al Neolitico sono perni, coltelli, punteruoli, stiletti, lame in selce, raspatoi, coltelli e raschietti di selce, quarzite e quarzo. Asce anfibolite, scisto, anfibile, piastre trapezoidali in scisto, incise e con fori di sospensione.
C’erano anche vasi di ceramica con o senza ali. Alcuni di essi offrivano decorazioni, incisioni e plastica, cioè un contenitore globulare, con ali per sospensione, caratteristiche del Neolitico Antico.
Il frammento di parietale della Grotta di Furninha. Misura nella sua larghezza massima di 50 mm.
Il frammento cranico, che si osserva nella trapanazione parietale è stato raccolto nel contesto di un ossario. A causa delle sue piccole dimensioni, non è possibile avanzare né il sesso né la configurazione del cranio a cui apparteneva.
È stato trovato nel contesto cronologico del Neolitico recente. Al momento della sua scoperta, è stato indicato come la prima prova della pratica della trapanazione in territorio portoghese. Barbosa Sueiro la radiograferà e commenterà nel suo articolo del 1933.
Il rimodellamento osseo con caratteristiche di foratura con diametro di 20 mm e profondo 5 mm, e segni inequivocabili di guarigione (noti in letteratura tecnica tessuto osseo o rimodellamento osseo).
All’osservazione visuale con lente d’ingrandimento del frammento, viene avanzata un’altra ipotesi, poiché sembra più il risultato di un colpo con un oggetto forte, che una possibile trapanazione. Inoltre, la forma concava della depressione coincide con la forma di un’a mazza di pietra caratteristica del Neolitico.
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5120±80 AF. Gruta do Lugar do Canto (Freguesia: Alcanede; Concelho: Santarém; Distrito: Santarém).
Nel totale delle deposizioni sono state identificate cinque trapanazioni in quattro teschi, che rappresentano uno dei più alti numeri di tali eventi nella necropoli preistorica dell’attuale territorio portoghese.
Uno dei crani con segni di intervenuto provenendo dalla Grotta di Lugar do Canto, – numero di inventario LC 1137.45. L’intervento nel parietale destro mostra segni di rimodellamento (Boaventura e Silva, 2014. fig.5, p.189).
– Uno dei crani aveva due trapanazioni incomplete e sono appartenuti a giovani adulti, di età compresa tra i 25 ei 30 anni, e la procedura è stata effettuata nel parietale destra, che mostra segni di guarigione perché il tessuto compatto del tavolato esterno ricopre il tessuto spugnoso. C’è stata sopravvivenza all’intervento, nonostante il non completamento del processo. Il metodo usato sarebbe stato per raschiamento, non osservando alcun trauma che giustifichi l’intervento.
– Un cranio adulto, di età compresa tra i 30 e i 40 anni, mostrava un trapanamento incompleto, senza segni di cicatrici. Ancora una volta il metodo utilizzato è stato il raschiamento e presenta un foro rotondo nel temporale sinistro con un diametro di 26 cm, probabilmente non sopravvissuto all’intervento.
– Il cranio identificato con il numero di inventario LC 1137.45 presenta una trapanazione completa con raschiatura e con segni di rigenerazione ossea nella parte superiore del parietale destro (passando la linea di sutura e raggiungendo il parietale di sinistra).
– L’ultimo cranio trapanato apparteneva a un maschio adulto, probabilmente di età compresa tra 45 o 55 anni di età alla morte, attraverso il metodo di incisione è stato sottoposto alla procedura nel parietale sinistro, senza mostrare alcun segno di guarigione, e sarà più probabile che non sia sopravvissuto al processo, e una parte dell’osso fu rimossa (Ferreira et al., 1987, p.52).
Oltre alle trapanazioni descritte, molte delle ossa lunghe mostravano segni di taglio (Ferreira et al., 1987, p 51) e colorazioni rossastre e arancioni perché le ossa erano cosparse di ocra. Gli autori riportano che erano particolarmente evidenti nelle ossa craniche frontali e parietali (id.).
…
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4170±70 AF. Gruta das Fontainhas (Freguesia: Cercal; Concelho: Cadaval; Distrito: Lisboa.
I lavori nella Grotta del Fontain hanno permesso di recuperare tre calotte e un teschio con indicazioni di trapanazione. Nel Museo geologico del Portogallo, è stato possibile individuare le tre calotte (una dei quali fa parte dell’esposizione permanente), ma non il cranio.
Secondo Barbosa Sueiro, il cranio sarebbe un maschio adulto, presentando sul lato sinistro del frontale, la depressione risultante da un intervento incompiuto. Nella radiografia del cranio presente nella monografia, è possibile osservare una diminuzione dello spessore osseo, essendo in realtà l’idea che sia dovuta a qualche operazione con sopravvivenza del soggetto (1933, p.45).
Norma verticale del n ° 1 caldrone della Grotta Fontaínhas, osservando i segni del Museo geologico e minerario che indica la doppia trapanazione. Rimaneggiamento osseo nel parietale sinistro del cranio 1.
Uno dei difetti apparteneva a un maschio adulto, gli altri due, entrambi in adulto sono attribuiti ad una singola femmina.
La calotta n. 1 in cui le suture erano praticamente scomparse e l’analisi rimanenti, indichi un individuo di sesso femminile, che alla sua età di morte, avrebbe avuto tra i 45 e i 50 anni. Presenta i danni causati da fattori taphonomic.
I segni che mostra su entrambi i parietali, tuttavia, non sono di origine naturale. La depressione pronunciata sul lato destro sembra essere l’osso rigenerato dopo trapanazione.
Nell’opposto parietale, un tentativo di trapanazione è solo iniziato, essendo questo nella fase iniziale di raschiatura e abrasione dell’osso, senza segni di rigenerazione.
Quindi presenta una doppia trapanazione e tra i due interventi è trascorso un intervallo di tempo significativo. Mentre nell’intervento parietale destro si è verificato un rimodellamento totale, lo stesso non è accaduto in quello che è stato fatto nel parietale sinistro, e molto probabilmente è stata la causa della morte.
La calotta n. 2 appartiene a una femmina e avrebbe più di 35 anni. Molto fragile, in parte a causa degli oltre cento anni che si trova nel museo. Nell’articolo di Barbosa Sueiro (1933, pp. 45-47), si osserva un leggero assottigliamento dell’osso in entrambi i parietali. Le trapanazioni (eseguite sopra la linea di sutura sagittale) appaiono quasi centrali in relazione a entrambe le parietali. Il processo non è stato completato. C’è rimodellamento osseo e segni che l’infiammazione si è verificata durante il processo di guarigione. Come detto Barbosa Sueiro, l’intervento sarà stato un T-sincipital (processo raro nel contesto portoghese, l’unico riferimento anche a livello di preistoria europea, i casi registrati sono anche scarse. Manouvrier, 1895, 1902, 1903 e il 1904).
Il cranio ha forma ovoidale (schema Sergi), indice cefalico mesocranico, e obliterazione delle suture, eccetto la lambdoide.
L’ultimo cranio (nº3) è quasi coperto da concrezioni e terra da cui è stato recuperato, rendendo difficile la sua analisi. Apparteneva a un maschio di oltre 40 anni. Presenta probabili trapanazioni nel parietale sinistro, quasi all’incrocio con l’occipitale, con segni di rigenerazione ossea.
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4000-3400 AF. Covão d’Almeida/Eira Pedrinha (Freguesia: Condeixa-a-Velha; Concelho: Condeixa-a-Nova; Distrito: Coimbra)
Depositato su terreno sabbioso vari crani umani erano accompagnati da frecce e coltelli di selce, asce di pietra e perni ossei e un grande recipiente con fori. In fondo a una “nicchia” (Corrêa e Teixeira, 1949), fu rimosso un frammento della mascella. I crani erano collocati in anfratti (c’è una situazione in qualche modo simile a Escoural Cave di sepolture neolitiche, dove alcuni crani erano individualmente collocati in nicchie). Un contenitore di piccole dimensioni (4 centimetri di altezza per 9 cm di pancia, Correa e Teixeira, 1949 Est VII, Figura 7) era depositato insieme con vari crani. Si noti che è stato anche osservato che una conchiglia di Pecten conteneva un coltello di selce, e una conchiglia di Cypraea è stata trovata nella cavità oculare di un cranio (101). Il guscio aveva due perforazioni (probabilmente perché servivano a stringhe di sostegno).
Il craio 87 di Eira Pedrinha, vizione in verticale, si osserva la trapanazione sul lato sinistro dell’osso frontale.
I crani sono stati studiati da Mendes Corrêa, Amândio Tavares e A. Salvador Junior, dell’Istituto di Patologia, Facoltà di Medicina di Porto, che li ha descritti come “appartenente al popolo di crani dolicocefali e subdolicocéfalo ovoidali a predominanza dolicoide”. Nota se la lettura lo studio antropologico che la preoccupazione predominante è stato quello di stabilire i tipi racemici e caratteristiche che sarebbe prevalente nella popolazione portoghese, al momento, come se volessero essere correlati a Homo Afer Taganus o se v’è stato l’incrocio con i tipi di Homo Alpinus delle problematiche che Mendes Corrêa stava sviluppando.
Dalla lettura della monografia sulla pietra Eira Pedrinja, nasce l’idea che in un primo momento siano esistite singole deposizioni con un rituale associato, così come nei fori di deposizione sono stati depositati crani e vari manufatti come offerte, ma la deposizione ripetuta con nuove nicchie ha probabilmente rimescolato i resti delle ossa. Si noti che in queste fosse alcuni dei crani avevano contenitori di ceramica appoggiati al vertice (una scatola sulla scatola?).
Va anche notato che alcuni dei teschi erano incorporati nelle concavità di Covão e l’osservazione che all’interno di uno di essi c’era il guscio di Cypraea era molto probabilmente espressione di una attività rituale corrisponde alla Neolitico Finale. Abbiamo quindi una ritualizzazione costante, in cui l’uso del cranio come oggetto di devozione o culto sarebbe associato a pratiche funebri o contesti magico-religiosi in quel periodo della preistoria più recente.
Il calotta con il difetto osseo che mostra i segni di intervento è contrassegnata con le indicazioni di “cranio n. 87”. Presenta un piccolo osteoma nella posizione frontale e superiore all’intervento. Il trepanation è di 48 mm sopra l’arco sopracciliare, con un’apertura subcircolare di 20 mm e una profondità di 5 mm. Appartiene ad un adulto, probabilmente maschio, sopra i 45 anni e la tecnica utilizzata sarà stata l’incisione con bulino. Al momento della morte, l’intervento sarebbe stato completamente guarito e una grande callosità ossea si è formata sul tavolato interno.
La deposizione di vasi ceramici sui crani umani si possono riferire al caso di Barrão Algar dove in una nicchia di cavità carsica, si sono trovati due teschi umani (una appartenente ad un individue di sesso femminile) con la sfera di un vaso depositato a “bocca in giù” in modo da assomigliare a una calotta cranica (Carvalho et alii, 2003, pp. 101 – 119).
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3400 AF. Lapa da Galinha (Freguesia: Vila Moreira; Concelho: Alcanena; Distrito: Santarém).
Cronologia: Neolítico Final.
Il cranio adulto femminile dolicocefalo aveva associato diversi manufatti, come le lame di selce e una piastra di scisto. Leite de Vasconcellos (1925, pp. 11-14) si riferisce a questo cranio come a un classico indizio di trapanazione nel suo “La Medicina dei Lusitani”.
Cranio proveniente dalla Lapa da Galinha in proiezione norma verticale
La trapanazione è stata eseguita con successo, quasi nell’area di confine tra il frontale e il parietale sinistro, lungo la sutura sagittale e vicino al bregma. Al momento della morte, l’orifizio (con i contorni ellissoidali) era in fase di rimodellamento osseo, come si vede sui bordi dell’osso. Il metodo utilizzato è quello di raschiare e forare. La ragione che ha portato a quell’intervento non può essere stabilita. Si noti che il suo stato di conservazione è molto fragile ed è stato danneggiato dai processi tafonomici. Maria Cristina de Sá (1959, p.118), esaminando il materiale osteologico da questa grotta, ha attirato l’attenzione sul fatto che i crani sono posti in cavità e sporgenze all’interno della cavità. …
E’ un cranio che non fa riferimento ad alcuna situazione classica nella bibliografia nazionale e che presenta una trapanazione con rigenerazione ossea. Uno dei casi di trapanazione, in cui l’individuo sottoposto alla pratica era di sesso femminile. Sarà uno dei pochi casi in cui vi è una chiara associazione tra un individuo specifico e una placca di scisto decorato, e, tramite l’insieme di manufatti coevi, è inserito nel periodo Neolitico, quando il megalitismo sarebbe stato al suo apice.
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3400 AF. Covão de José Bruno (Freguesia: Lamas; Concelho: Cadaval; Distrito: Lisboa).
Cronologia: Neolítico Final; Calcolítico.
Calotta dalla zona di Pragança, anche del contesto funerario della grotta e concretamente del Castello di Pragança, di probabile attribuzione al Calcolitico. …
Particolare dell’apertura causata dalla trapanazione, si vede l’osso trabecolato e l’avvio di qualche rigenerazione.
Non ci sono dati che possano dire da quale specifica cava proviene il cranio. È noto che è conservato nel Museo Nazionale di Archeologia e che proviene dai lavori eseguiti da Leite de Vasconcellos stessa in collaborazione con António Garcia. I materiali di deposito associati: frecce di base, asce, spine ossee, ceramica con decorazione punteggiata (materiale identificato nell’MNA come avente la stessa origine del cranio) e calcare cilindrico. ad esso corrispondono alla lunga cronologia compatibile con le ultime fasi del Neolitico, inizio del Calcolitico. Il cranio è molto danneggiato nell’area del viso, avendo subito l’azione di processi tafonomici. Sarà appartenuta ad una donna adulta, con oltre 45 anni di età. La trapanazione è stata eseguita sul parietale destro e dai segni, è morto poco dopo la procedura, perché il recupero dell’osso era ancora all’inizio. La procedura di trapanazione sarà stata per raschiando. L’impostazione predefinita è ovoidale. Dall’analisi del cranio, non sono state rilecate ragioni per giustificare la trapanazione.
A destra. Dettaglio dell’orifizio causato dalla trapanazione, l’osso trabecolare visibile e l’inizio di una certa rigenerazione.
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3400 AF. Hipogeus de São Paulo II (Freguesia: Almada; Concelho: Almada; Distrito: Setúbal).
Cronologia: Neolítico Final, Calcolítico.
Tra il vasto materiale materiale scheletrico umano sono stati trovati tre difetti con evidenza di trapanazione.
In alto. Frammento di parietale destro identificato come Cranio SP.1. Sono visibili le due aree di intervento. In basso. La calotta del cranio SP.111 in cui si può osservare la craniotomia nel parietale destro, fino a raggiungere la sutura e quasi l’occipitale (Silva, 2011, p.15).
Il frammento di cranio, comprendente parte della parietale destra e parte frontale, con il numero di inventario SP.1 sono diventati molto danneggiate, e ancora tracce ben visibili Tentativo originati da trepanning. Il metodo utilizzato sarà per raschiamento e non ci sono segni di rimodellamento osseo. L’ipotesi di trapanazione post-mortem può essere ipotizzata. L’individuo avrebbe più di 45 anni. Per quanto riguarda la determinazione del sesso, il frammento predefinito non è sufficiente per estrarre queste informazioni.
Il secondo caso, il cranio SP.65, apparteneva anche a un adulto maturo adulto di sesso indeterminato. La trapanazione si trova nel punto di bregma, mostra segni di rimodellamento osseo e il dorso è parzialmente coperto da tessuto osseo compatto. C’era sopravvivenza dopo l’intervento, ma questo non sarebbe stato prolungato. Dall’analisi dei bordi dell’apertura, la tecnica utilizzata sarà stata la raschiatura.
Anche il terzo e ultimo caso, SP.111, è predefinito e sarà appartenuto a un giovane adulto. L’intervento è stato eseguito sulla parte parietale destra raggiungendo la sutura lambdaid. Il probabile metodo usato sarebbe stato ridimensionato e c’era la sopravvivenza all’intervento, sebbene i segni di questo siano deboli.
In nessuno dei casi (e nonostante il fatto che nessuno presenti il cranio completo), si manifesta qualsiasi alterazione o lesione che avrebbe potuto portare alla necessità dell’intervento osservabile.
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3400 AF. Hipogeus da Pedra do Sal (São Pedro do Estoril; Freguesia: Estoril; Concelho: Cascais; Distrito: Lisboa).
Cronologia: Neolítico Final, Calcolítico.
Il cranio con trapanazione proviene dalla “Grotta II” e apparteneva ad un maschio adulto (età probabile tra 20 e 25 anni) e l’intervento è stato completato, mostrando segni di rigenerazione ossea.
Il cranio proveniente da “Grotta II”, osservando l’apertura quasi triangolare provocata dalla “trapanazione”, vedendo il tessuto spugnoso. L’intervento si trova nel parietale destro, raccogliendo le suture coronali e sagittali, raggiungendo quasi il punto di bregma.
Deve essere sopravvissuto da sei mesi a un anno dopo l’intervento. La “trapanazione” [poterbbe essere stata solamente una rimozione dei frammenti] è stata eseguita sull’osso parietale destro, alla giunzione delle suture coronali e sagittali.
L’apertura è lunga circa 4,5 cm, largo 5 cm ed è di forma ovale, con evidenza di rimodellamento osseo. Il metodo utilizzato per la rimozione delle ossa era quello dell’incisione. Segni di trauma non sono visibili o possono indicare che la trepanazione è stata richiesta come terapia. Sul lato destro dell’osso frontale può essere visto scanalature derivanti da incisioni fatte da lama di selce e può indicare che la bava esecuzione tentato con diametro maggiore, ma per ragioni sconosciute sono stati i primi passi del processo di raschiatura.
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3400 AF. Algar do Bom Santo (Freguesia: Abrigada; Concelho: Alenquer; Distrito: Lisboa).
Cronologia: Neolitico Médio – Finale.
Si ipotizza che alcune ossa sono state coperte da “materiale deperibile per la possibile esistenza di strutture di contorno accanto alla deposizione delle ossa” (Duarte, 1998, p.108). Questo tipo di evento è menzionato nella Grotta di Eira Pedrinha a Condeixa e in Lapa do Bugio a Sesimbra. Molti dei teschi erano coperti da uno strato di concrezione carbonatica (Carvalho, 2014, p.25).
Piano di trapanazione nel cranio ABS 231 visione superiore e dettaglio della trapanazione. Cranio 293 visione superiore.
Nel lavoro di analisi e ricerca, condotta presso il Museo Archeologico Nazionale, nel bottino osteologico dal Algar Buon Santo, è stato possibile individuare tre teschi con chiara evidenza di trapanazione e un altro con probabile trapanazione.
I teschi sono stati già numerati e identificati al momento e riportati per la MNA, e la stessa numerazione impiegata nella sua citazione.
Cranio ABS 231 – questo sarà uno dei teschi più interessanti provenienti dall’Algar. Le linee di sutura praticamente scomparse indicano che hanno più di 40 anni e apparterranno a un maschio adulto. La trapanazione è stata eseguita nella zona frontale sinistra, appena sopra l’arco sopraciliare. Presenta segni di rigenerazione e osteoma nell’occipitale, nella zona di confine con il parietale destro. È l’unico posto per il quale si dispone di questo tipo di informazioni, l’Algar do Bom Santo, registra una elevata variabilità genetica mitocondriale, come in nove soggetti analizzati appaiono otto aplogruppi distinte, e all’interno di questi, una percentuale elevata di loro hanno gli stessi indici che l’aplogruppo associato alle popolazioni dei Congeiros de Muge. Vale a dire lì che le persone sepolte nel Algar Buon Santo, hanno un’ascendenza ben radicata ad altri provenienti da diverse parti d’Europa (comunicazione di António Faustino de Carvalho durante il convegno “Il neolitico in Portogallo prima della Orizzonte 2020: prospettive di dibattito “, organizzato dall’Associazione degli archeologi portoghesi il 21 febbraio 2015 nell’auditorium della Facoltà di Belle Arti di Lisbona).
Cranio 329 in visione laterale sinistra, si osserva la trapanazione nel temporale sinistro. Dettaglio a maggior ingrandimento.
Cranio ABS 293. Una calotta danneggiata, composta da frontale, parietale e occipitale. Secondo lo schema di Sergi, è un cranio a forma romboidale con una forma mesocranica nella classificazione dell’indice cefalico. L’intervento è stato eseguito all’incrocio del frontale con entrambi parietale, come si può osservare nell’immagine nella sua norma verticale. Si noti che la depressione “scorre” lungo tutta la vecchia linea di sutura coronale. L’area interposta ha una forma ellittica e sarà stata eseguita raschiando. Presenta il rimodellamento osseo e un’occlusione quasi totale tranne che per un piccolo foro. Ci sono indicazioni che l’infezione si è verificata all’altezza del processo rigenerativo. Apparteneva a un maschio, di oltre 40 anni, sopravvissuto diversi anni dopo l’intervento.
Cranio ABS 329 – Presenta la “trapanazione” alla congiunzione del temporale sinistro con il rispettivo parietale. Il metodo usato sarà stato l’incisione. Sarebbe un individuo di genere femminile, più di 30 anni, con le suture craniche praticamente scomparse, al momento della morte. Presenta il formato pentagonoide secondo lo schema di Sergi.
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3400 AF. Algar do Poço Velho (Freguesia: Cascais; Concelho: Cascais; Distrito: Lisboa).
Cronologia: Neolítico Finale, Calcolítico.
La necropoli situata all’interno di Furna do Poço Velho avrebbe un numero minimo di individui di 93 adulti e 22 non adulti (Antunes-Ferreira, 2009, p.29). Dal materiale che proviene dal suddetto contesto in deposito presso il Museo geologico e minerario, vi è una maschera facciale realizzata dalle ossa del viso e frontale di individuo non adulto, con una probabile età tra i 5 e gli 8 anni. …
Il cranio con il numero di identificazione dell’inventario 233.2821 IGM apparteneva a un maschio, età più di 30 anni (White and Folkens, 2005, pp. 386-391). Appare in una monografia di F. de Paula e Oliveira, ma senza riferimento alle trapanazioni (Oliveira, s.d., fig.12).
Cranio n. 233.2821 IGM, proveniente dalla Grutas do Poço Velho. Si vedono le due trapanazioni effettuete nel temporale e nel parietale a sinistra e in localizzazione superiore il terzo intervento (Gonçalves, 2005, p.79, fig.04.09).
Le linee di sutura sono deboli e parti della sutura coronale sono ancora visibili. La sutura sagittale è praticamente assorbita, così come la sutura coronarica. Presenta una forma ovoidale (schema di Sergi). A livello dell’indice cefalico è classificabile come mesocranio. L’aspetto generale è aggraziato, ma robusto. Ciò che è registrato in termini di manipolazione e cambiamenti ossei sono i segni di una doppia trapanazione, seguita da un terzo intervento. Questo si trova nel temporale sinistro, essendo il doppio trepanato il più vecchio. Mostrano segni di rigenerazione ossea per sopravvivenza da sei mesi a un anno dopo l’ultimo intervento. Il metodo utilizzato è stato quello dell’incisione.
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8.000 – 2.000 anni fa in Germania
Mentre Piggot (1940) parlava di «pochi crani trapanati tedeschi», pur indicando, nella «Europa settentrionale e centrale .. .la sede di origine della trapanazione », Lisowski (1967) indica ben 45 siti di provenienza di esemplari. Ullrich et al. (1965) riferiscono di complessive 37 trapanazioni (di cui 35 vere e proprie e 2 simboliche). Sono più attendibili queste ultime cifre, anche perché Lisowski (1967) non doveva conoscere i dati di Ullrich (non citato in bibliografia).
Sul piano cronologico i primi esemplari trapanati provengono dai più antichi contesti umani danubiani, come per es. un cranio di Cannstadt-Stuttgart (Childe, 1929, in Piggot, 1940). Altri sono eneolitici, fra cui uno da KetzinOsthavelland della Kugelamphorenkultur del IlI-lI millennio a.C. (Gotze, 1900, in Piggot, 1940). Del Bronzo Antico e di Cultura Unetice sono altri esempi; se ne può citare uno di Giebichnstein-Halle (Credner, 1879, in Piggot, 1940). Da una tomba alemannica post-romana (Arlesheim) proviene il cranio trapanato di un bambino di circa due anni (Jan, 1969).
Piggot (1940) ha cercato di evidenziare connessioni fra Cultura S.O.M. francese e culture della Turingia, della Westfalia (citando in particolare due esemplari trapanati da Bornecke-Brunswich di Cultura Bernburg) e del Ketrin (Globularamphorenkultur).
Circa la sopravvivenza dei trapanati tedeschi, si legge in Lisowski (1967) che su 16 individui (datati dal Neolitico al VI secolo a.C.) ben 13 sopravvissero all’intervento (cioè 1’81,2%), mentre tre vennero a morte (solo il 18,8%).
Da Ullrich e altri (1965) riportiamo che su 65 crani patologici 35 (e dunque il 53,9%) presentano trapanazioni vere e proprie, 2 (3,1 %) hanno trapanazioni simboliche, 2 presentano perforazioni patologiche, 1 anomalie della volta cranica, 14 (21,6%) non presentano lesioni associate a traumi cranici, 7 lesioni sono associate ad altrettanti traumi cranici (10,7%) e 1 esemplare è malclassificabile; nel campionario tedesco figurano pure 3 rondelle e nessuna trapanazione è post-mortale.
Nelle trapanazioni neolitiche l’osso preferito è quello frontale (emisquama destra), cui seguono entrambi’i parietali. Nell’Età del Bronzo sembra preferito il parietale destro, cui seguono quello di sinistra e il frontale. Non si nota alcuna particolare localizzazione delle lesioni traumatiche (Ullrich et al, 1965).
Il 93% del campionario esaminato da Ullrich et al. (1965) è costituito da crani maschili e solo il 7% da esemplari femminili. Gli stessi Autori affermano che i soggetti, sottoposti a trapanazione, costituiscono l’l,3-2% di tutta la popolazione coeva.
Sembra che il metodo di trapanazione più diffuso fosse quello del raschiamento, ma vengono ricordati anche casi operati secondo i dettami ippocratici (Piggot, 1940). Ullrich et al. (1965) inoltre parlano di S chneidetechnik (tecnica mediante taglio), Schabetechnik (tecnica del raschiamento), AlginatAbformtechnik e Bleistift-Markierugsmethode.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
4500 AF. Two trephined skulls from Schleswig-Holstein
Nella Schleswig-Holstein sono stati trovati due crani trapanati: uno appartenente ad un uomo di 25-30 anni sepolto in un cimitero del Medio Neolitico a Nebel (Schleswig-Holstein, Germania) sull’isola di Amrum (pubblicato da Schaefer nel 1958, 1961). Un altro, ben conservato, ma senza un sito preciso nella Schleswig-Holstein mostra un calvarium di un giovane adulto che pare presentare una trapanazione circolare senza segni di guarigione. Non sono evidenti modificazioni patologiche all’interno del cranio, salvo degli evidenti solchi su entrambi i lati dell’osso frontale che sono abbastanza sconosciuti in questo paese. Essi sono simili a quelli descritti in un cranio spagnolo di Santa Cruz di Tenerife e casi riportati da Dixon (1904). … Il caso del cranio di Brema (Domsdüne) dimostra con il tipo di strumento applicato, che sono state fatte anche trapanazioni nel Neolitico Medio.
Kühl I., 2 trephined skulls from Schleswig-Holstein, Anthropol Anz. 1988 Dec; 46(4): 335-47.
3940 AF. The Neolithic skull from Bölkendorf–evidence for Stone Age neurosurgery?
Trapanazioni craniche nella popolazione neolitica sono state in tutto il mondo, ma le motivazioni di tale operazione non sono sempre chiare. Nel lavoro presente gli autori descrivono un raro caso di cranio neolitico (datazione calibrata: 1940 anni prima di Cristo, trovato a Bölkendorf, 50 km a nordest di Berlino) che mostra una frattura affondata con guarigione ed una trapanazione. Gli autori concludono che in questo caso come in altri tale operazione è stata compiuta “esclusivamente” a scopo terapeutico.
Da Piek J., Lidke G, Terberger T., The Neolithic skull from Bölkendorf–evidence for Stone Age neurosurgery?, Cent. Eur. Neurosurg. 2011 Feb;72(1):42-3.
8.000 – 2.000 anni fa in Svizzera
Karolyi (1963, in Lisowski, 1967) segnala almeno 10 siti. Gli esemplari neolitici sono correlati alla Cultura Cortaillod (Piggot, 1940). Fra questi si ricorda un cranio brachimorfo di donna adulta, rinvenuto presso il lago di N euchatel e culturalmente riferibile alla facies di Auvernier (Pittard, 1947, in Moll, 1977): sul parietale destro si apre una breccia ellittica, degradante verso il centro (diametri esterni mm 54,5 x 32,5 e diametri interni mm 46 x 24), realizzata mediante scarificazione, ma priva di cicatrizzazione.
Altri provengono da abitazioni su palafitte del lago di Bienne (de Nadaillac, 1892, in Piggot, 1940), dalla necropoli di Miisingen (di cui uno con doppia trapanazione) e altri due, operati mediante scarificazione, da una fabbrica di gas di Basilea (Jan, 1969). Concludiamo questa rassegna, scusandoci col lettore delle molte lacune (mancano infatti all’appello alcune nazioni, di cui o non abbiamo trovato notizie, o queste sono del tutto insufficienti, come, per es., per l’Islanda, citata soltanto in Lisowski, 1967; né sono complete le casistiche da noi riferite). Ci auguriamo soltanto di avere contributo a costruire un quadro il più possibile esauriente della situazione europea riguardo al dettaglio di costume della trapanazione cranica.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
8.000 – 2.000 anni fa in Austria
Karolyi (in Lisowski, 1967) ricorda due siti, da cui provengono esemplari trapanati. Si ha poi notizia di un esemplare proveniente da Guntramsdorf (Guiard, 1930; Jan, 1969), trapanato mediante uno strumento «a compasso». Lo stesso Jan (1969) riferisce che durante il periodo della Cultura La Tène (Età del Ferro europeo) il metodo di trapanazione più diffuso era quello del
raschiamento.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
7000-3200 AF. Celtic Trepanations in Austria
Come in altri paesi, sono stati trovati un numero di cranii trapanati entro i confini della moderna Austria. Sappiamo di circa 28 persone che hanno avuto trapanazioni durante la loro vita, e in aggiunta, sappiamo di tre trapanazioni postmortem (Urban et a., 1985). Per le migliaia che sono state sepolte nei cimiteri in Austria e che sono stati scientificamente esaminati, questo numero – solo 28 – è piuttosto basso. Questo non è sorprendente, in quanto l’interesse primario delle precedenti generazioni di archeologi era con il studiare le strutture delle grotte e i manufatti in esso conservati. Inoltre, è stato esaminato il materiale antropologico per definire un certo tipo di razza. Quindi, varie caratteristiche paleopatologiche non erano valutate.
Due sepolture con trapanazione risalgono al Neolitico, sei al Bronzo Antico, una alla tarda età del bronzo e tre risalgono alla tarda antichità. La maggior parte delle trepanazioni sono state fatte all’interno del periodo La Tène. Finora, 15 trapanazioni, effettuate durante la vita dell’individuo, sono state verificati in quel periodo.
La tecnica principale utilizzata per le operazioni era la tecnica della raschiatura. Da reperti in Germania, Swizzera e Francia sappiamo che è stata utilizzata anche la tecnica di taglio, anche se questo metodo non è ancora stato rilevato in Austria. C’è una tecnica, la foratura, che è stato, finora, attestato solo nel Mediterraneo durante il periodo greco e romano in antichità. Recentemente sono state scoperte anche trapanazioni perforate all’interno dell’area celtica, esclusivamente in Austria. Dai campi di sepoltura sul Diirnberg vicino a Hallein in Terra di Salisburgo e dai luoghi di sepoltura a Guntramsdorf e Katzelsdorf vicino a Vienna sono emerse le uniche trapanazioni eseguite con un trapano all’interno del mondo celtico (Urban e al., 1985).
I tre teschi di Guntramsdorf mostrano in totale cinque trapanazioni forate. Due frammenti della tomba numero 5 (purtroppo persa) aveva una semplice perforazione circolare e una aveva due o forse tre trapanazioni. Il teschio di Tomba 6 mostra una raschiatura-trapanazione più una sola trapanazione e una a trifoglio. Sul cranio di Grave 29 vi è una doppia trapanazione. A Katzelsdorf, abbiamo un altra trapanazione a forma di trifoglio che non è stato completato (Figura 1).
Figura 1. Cranio trapanato da La Tène, Grotta 1 di Katzelsdorf. Copyright del Naturhistorisches Museum Wien/Abteilung für Archäologische Biologie und Anthropologie.
Tre delle sei operazioni rivelano un processo di guarigione più o meno avanzato. Questi includono le trapanazioni di un uomo di 30-35 anni della tomba 6 e il cranio perduto in frammenti della tomba 5 a Guntramsdorf, che furono trovati nel 1930. Secondo il materiale ritrovato nella tomba i resti erano quelli di un guerriero. La parte superiore del suo cranio era alterata a causa di un’infiammazione post-operatoria attorno alla sede della trapanazione. Possiamo dedurre dal processo di guarigione che il paziente ha vissuto per almeno molti giorni se non per settimane. Due trapanazioni (Guntramsdorf Tomba 29, e Katzelsdorf, La Tène Tomba 1) non mostrano cambiamenti postoperatori delle ossa. Possiamo supporre che siano morti in seguito dell’operazione. La Tène, Tomba 1 a Katzelsdorf contiene anche i resti di un guerriero che morì all’età di circa 30 anni. La tomba 29 a Guntramsdorf conteneva un giovane ed era molto probabilmente una persona di alto rango sociale.
Come è stata eseguita la trapanazione? In primo luogo, il cranio è stato scoperto per determinare il tipo di infortunio o malattia da trattare, individuando così il trauma. Poi è stata presa una decisione sul numero delle perforazioni e individuato il diametro del trapano. Il il punto esatto per la perforazione è stato misurato, e il cranio-osso perforato aperto, fino alla lamina interna. Il cerchio di osso è stato preso, o rotto, fuori. Le meningi non dovevano essere danneggiate in ogni caso. Quindi, ematomi, schegge ossee, ossa infiammate e persino un tumore potrebbe essere stato rimosso. Finalmente, la ferita fu coperta con erbe medicinali, e
probabilmente fasciato.
Sfortunatamente, nessun trapano circolare è stato ancora trovato. Possiamo supporre che i trapani Celti erano fatti di materiali organici, in contrasto con i trapani fatti di ferro nei Greci e in Epoca Romana. Probabilmente erano fatti di legno duro, preferibilmente di legno di sambuco. La scoperta di fori tondi dimostra l’uso di tali trapani dal Neolitico in poi, quando erano usati per produrre utensili di pietra. Tecnicamente, fabbri celtici sono stati in grado di produrre trapani in bronzo o ferro.
Com’è stata la tecnica di perforazione, è già stata descritta in dettaglio nel Corpus Ippocratico, che potrebbe essere stata utilizzata in un’area ai confini del mondo Mediterraneo, luoghi che devono essere sembrati assolutamente barbari ai Greci contemporanei? Perché dovrebbe esser accaduto proprio lì, e non, per esempio, in Gallia, dove esistevano contatti stretti tra il mondo Greco e Celtico, fin dalla fondazione della colonia greca di Massilia [Marsiglia]?
L’ipotesi è che le trapanazioni col trapano fossero una specialità locale nella parte meridionale del bacino viennese, forse un’area di insediamento temporaneo, poichè le tombe sono raggruppate insieme e datano dalla prima metà del terzo secolo a.C. Coloro che hanno scavato i cimiteri erano dell’opinione che fosse dovuto alla via commerciale dell’ambra, che era conosciuta ed era stata usata fin dal Neolitico in poi. Il percorso è diventato importante per la migrazione dei Celti nel Mediterraneo e in Asia Minore. Queste migrazioni iniziarono intorno al 400 a.C. e culminò con la distruzione di Delfi nel 279 aC. … [La rimanente parte della pubblicazione è stata riportata anche nel Capitolo 1.08 3000-2000 AF Chirurgia Cranica tra archeologia e storia, in quanto riferisce dei reperti del IV secolo a.C.]
Una nuova fondamentale risposta a queste domande ha avuto luogo con le nuove scoperte da Dürrnberg vicino a Hallein. Il Dürrnberg è uno dei più importanti e ricchi insediamenti del periodo La Tène in Europa. A metà del Dürrnberg, vicino all’ingresso alla miniera di sale a nord-ovest, sotto il Putzenkopf, c’è una piccola necropoli dove sono state fatte le più interessanti scoperte. Già nel 1930, la tomba di un uomo che era stato trapanato era stata scoperta (Klose, 1920-33). I doni della sepoltura e lo scheletro erano stati portati al museo di Salisburgo. Sfortunatamente, un raid aereo della guerra nel 1939-1945 li ha distrutti.
In seguito, il lavoro archeologico sul territorio di Dürrnberg si intensificò. Nuove scoperte affascinanti vennero alla luce, e l’interesse iniziale per la piccola necropoli di Putzenkopf si è attivata. Fu solo negli anni Ottanta che gli scavi furono ripresi lì
ancora. Nel corso dei nuovi scavi del 1981, lo scheletro di un uomo venne scoperto. Secondo i suoi beni nella grotta, è stato fatto risalire a La Tène A (circa la prima
metà del IV secolo aC). Il suo cranio ha rivelato una sestupla trapanazione eseguita con un trapano. Questa è la prima trapanazione con trefina conosciuta in Europa centrale (Fig. 2).
Figura 2. Trapanazione con sei fori dalla necropoli di Putzenkopf a Dürmberg. Copyright di Osterreichisches Forschungszentrum Dürmberg.
Questo gruppo di individui con trapanazioni fu completato nell’estate del 1999, quando fu scoperta una tomba con un uomo che aveva una singola raschiatura sul retro del cranio. Quella tomba risale anche a La Tène A. Lo scheletro non era nella sua posizione originaria: le ossa erano state messe in una pila con il cranio trapanato in cima. Gli scavi continuarono nel 2000. È stata scopertaa la tomba di un bambino , che conteneva tra i doni una rondella ossea che ha avuto origine da una persona trapanata. È stata apparentemente usata come un amuleto.
I risultati dell’esame osteologico non sono ancora disponibili. Pertanto, non ci sono dettagli sullo stato di salute o la causa della morte degli individui. A prima vista essi sembrno che tutti siano sopravvissuti alla trapanazione.
Ognuna delle rispettive tombe è stata posta a una distanza regolare alla periferia del cimitero. Il centro è dominato da un tumulo di 9 m di diametro (fig. 3), che copre una tomba di 2.5 per 2.5 m. In esso c’erano gli scheletri di un uomo e di una donna, i loro corpi separati da doni che consistevano in cinque vasi di terracotta e diverse ossa di animal, probabilmente il resto di un pasto.
Figura 3. La tomba tumulo di una guaritrice femminile della necropoli di Putzenkopf a Diirmberg.
Figura 4. Regali dalla tomba del tumulo. Copyright di Osterreichisches Forschungszentmm Dürrnberg.
All’apertura della tomba, lo scheletro dell’uomo era stato disturbato con l’eccezione degli arti inferiori, che erano ancora in situ. Alcune estremità erano rotte, probabilmente di proposito. Tra le ossa dell’uomo c’erano una fibula di bronzo e parecchi oggetti, da cui potremo conoscere qualcosa sulla sua professione e sul suo stato sociale. C’è un asta di ferro con un manico fatto di corno, decorato con cerchi, un disco ovale con un’ammaccatura nel mezzo, fatto di quarzite bianca, e una punta di un corno con un foro di perforazione. Inoltre abbiamo due parti di costole con bordi affilati (Fig. 4).
La tomba della donna era intatta, con il braccio destro leggermente piegato. Lei si trovava lato sud della camera. Aveva una collana in sette parti, fatto di bronzo. C’erano anche dieci fibule usate per fissare i vestiti e in parte per ornamento. Degno di nota particolare è una fibula figurata, molto probabilmente raffigurante un cane. Nella credenza religiosa dei Celti, i cani erano i messaggeri degli dei e
comandavano nel mondo dei morti. La vita della donna era circondata da una cintura. Sopra ogni avambraccio aveva un braccialetto fatto con una lastra di bronzo arrotolata. Sulle gambe vi erano semplici anelli, fatti di bronzo.
Posta ai suoi piedi, questa ricca signora aveva un contenitore organico con parecchi amuleti, e un oggetto simile a una falce di ferro, affilato su entrambi i lati. Tra gli amuleti c’era una ruota di bronzo, il dente trafitto di un cinghiale, due pezzi di pietra calcarea con buchi naturali, e un ago in osso.
L’equipaggiamento di ferro, così come la verga di ferro menzionata prima, e il disco potrebbero verosimilmilmente appartenere a un corredo di strumenti chirurgici. La verga di ferro con il manico di corno e il disco ovale, potrebbe essere stato parte di un trapano. C’era anche un frammento di un esile lama di steatite nella tomba che potrebbe benissimo essere stata utilizzata per scopi chirurgici.
La costruzione tomba molto imteressante proprio nel centro del cimitero, e beni inseriti, dimostrano l’elevato stato sociale del defunto. Sono stati, molto probabilmente, sepolti intorno al 400 a. C. L’equipaggiamento medico e gli amuleti magici consente la conclusione che la coppia sepolta apparteneva a un’élite. Non possiamo decidere quale fosse la loro funzione reale nella vita. I Celti non avevano medici professionisti. Secondo a Plinio il Vecchio (Plinio, Nat Hist 16: 249-25 1), l’aiuto medico era al dovere dei Druidi, anche se deve essere preso in considerazione che “i classici” Druidi erano pochi in Gallia (Cesare, Gal 6: 13-14).
Breitweiser R., Celtic Trepanations in Austria, in Arnott R., Finger S. Smith C.U.M., Trepanation History, Discovery, Theory, Swets&Zeitlinger, 2003.
8.000 – 2.000 anni fa in Gran Bretagna
Temporal and Geographical Distribution (Fig. 1)
Five examples (8.1 %) derive from the Neolithic period (4,000-2,000 BC), most being recovered from locations in the south of England. Six examples (9 .7%) have been found in contexts of Bronze Age date (2 ,600-800 BC), 75% of which carne from a ca 75 mile/120km linear spread in southern England; the remaining two examples were from the west coast ofScotland within 60 miles/96km ofeach other. Ofthe eight possible (12.9%) Iron Age examples (800 BC-43 AD), half were from a limited area in central southrn
England (Fig. 2), and the other half were from northern Scotland (mainland and Western Isles), the latter forming the most northerly example of trepanation currently known from the British Isles. One other prehistoric trepanned skull of unknown provenance and imprecise date was recovered from Edinburgh, bringing the tota! number of ali prehistoric
trepanned skulls to 20 (32.3% of the total).
The five examples of first-fifth century AD date (Romano peri od), i.e. 8.1 % of the known total, have been recovered from dispersed locations across England (Fig. 3).
…………
Roberts C., McKinley J., Review of Trepanations in British Antiquity Focusing on Funerary Context to Explain their Occurrence, in Arnott R., Finger S., Smith C.U.M., Swets&Zeitlinger, 2003.
8.000 – 2.000 anni fa in Irlanda
Per l’Irlanda Lisowski (1967) segnala cinque siti da cui provengono esemplari cranici trapanati. Uno di probabile Età Paleocristiana, da Collierstown, appartiene a un giovinetto di 13 anni. Due sono tardomedioevali (uno da Ballinlogh, un altro da Maganey Lower). Un quarto esemplare proviene da una tomba presso l’Abbazia di Nendrum a Mahee Island in Strangford Lough; questa fu distrutta verso il 974 d.C. Di questi rinvenimenti dà notizia, oltre che Piggot (1940), anche Lisowski (1967). Quest’ultimo riporta una leggenda secondo la quale Cennfaeladh, cranioleso da un colpo di spada durante la battaglia di Moyrath, fu operato da St. Bricin, l’Abate di Tuaim Drecain, che era, oltre che letterato,
anche un famoso chirurgo.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
8.000 – 2.000 anni fa in Damimarca, Svezia e Norvegia
Danimarca
La Bennike (1984; Id, 1985) ha pubblicato una sintesi delle trapanazioni e dei traumi cranici nell’antica Danimarca dal Mesolitico (8000 a.C.) al Medioevo (1050-1530 d.C.).
Per quanto riguarda le trapanazioni vere e proprie, 4 sono del Primo Neolitico, 8 del Neolitico Medio e Recente, 1 dell’Età del Bronzo e 4 dell’Età del Ferro. La scarsa numerosità degli esemplari dell’Età del Bronzo viene spiegata con la diffusione in quel periodo della cremazione. Su 18 esemplari, 14 sono maschili, uno soltanto femminile e 3 sono di sesso incerto. Soltanto in 3 osservazioni non si nota traccia di fatti cicatriziali (uno del primo Neolitico, uno del Bronzo e il terzo dell’Età del Ferro Recente), negli altri esemplari si ha una varia sopravvivenza al)’intervento.
La forma delle brecce è ora ellittica, ora rotondeggiante e in due casi triangolare (uno con fatti cicatriziali, l’altro senza). Nessuna trapanazione è di tipo incaico, o a corona di ebanista. Come lato del cranio, sembra preferito quello di sinistra, mentre in ordine di incidenza più trapanato è il parietale di sinistra, cui seguono l’emifrontale di sinistra, il parietale di destra e – ultimo – l’occipitale. Sembrano risparmiati i temporali e le ossa della base. La tecnica del raschiamento è stata individuata in 14 osservazioni, mentre negli altri restanti casi è stata praticata l’incisione mediante strumenti simili a lame. Non sono stati usati né la causticazione, né il T sincipitale.
Fra gli scopi di trapanazione vengono indicati per primi quelli terapeutici, cui seguono quelli magico-rituali e quelli per la produzione di rondelleamuleto. Mancano purtroppo correlazioni con eventuali culture preistoriche, anche se vengono messe in evidenza connessioni con il genere di seppellimento. In base alla distribuzione geografica vengono segnalati soltanto tre casi di trapanazione nelle aree settentrionali, mentre tutti gli altri casi si concentrano nelle regioni insulari orientali della Danimarca.
Gli esemplari con esiti di traumi cranici sul piano cronologico si collocano 7 nel Mesolitico, 25 nel Neolitico Medio e Recente, 2 nel Periodo Vichingo e 4 nel Medio Evo.
Fra le lesioni traumatiche vengono citate le «impressioni» (impressions), che dovrebbero corrispondere alle nostre «fossette» e alle «cupules» degli Autori francesi. Queste lesioni come sede sembrano preferire l’osso frontale e il parietale sinistro.
Rari i traumi della faccia e della mandibola.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
Svezia
Piggot (1940) segnala almeno 14 esemplari. Del Neolitico Antico e Medio sono: un esemplare maschile, brachimorfo in un contesto dolicomorfo, da Gillhog-Scania, con perforazione interparietale in T sincipitale (Persson, 1976-1977); altri esemplari da Backagarden (Vastergotland) e da Falkoping.
All’Età del Bronzo è ascritto un esemplare da Abbeas-Scania (Il periodo di Montelius: Bronzo Medio). All’Età del Ferro appartengono almeno 10 casi, di cui 3 da Alvastra, 3 da Viisteras e altri 4 da Lilla Berga, da Sundby (Òstergotland), da Vagnbora (Òland) e un quarto da Fredriksdal (Sodermanland). Interessante la concentrazione di otto esemplari in Òstergotlad.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
Scandinavia
Per la Scandinavia in Lisowski (1967) vengono citati venti siti.
Almeno un esemplare del Grenz Horizont (transizione dall’Età del Bronzo a quella del Ferro) è stato trapanato per incisione, altri 9 sono dell’Età del Ferro e la maggior parte di essi è stata operata mediante raschiamento (Piggot, 1940).
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
8.000 – 2.000 anni fa in est Europa e Russia
Polonia
Boev (Lisowski, 1967) segnala almeno due siti. Noi abbiamo avuto notizia di un caso di uomo adulto, proveniente da una necropoli neolitica e con una trapanazione sul parietale destro (Gladykowska et al 1984). Un altro esemplare del Bronzo Antico, da contesto Unetice, proviene da Balzweilr, Kr. Hohensalza (Schultze, 1916, in Piggot, 1940).
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
Cecoslovacchia
Matiegka e Karolyi (in Lisowski, 1967) citano complessivamente 18 siti da cui provengono esemplari trapanati. Fra questi, alcuni sono neo-eneolitici (per es. gli esemplari di Biliny e di Lovosice, connessi con la Cultura della ceramica a cordicella, e quello di Slavkov, connesso con la Cultura del vaso campaniforme). Altri sono dell’Eneolitico-Bronzo (Piggot, 1940), fra cui quello di Chrabrece u Loun, quello di Dàblice, di Kost’ A’lov e di Smoulice u Loun da contesti culturali pre-Unetice. Da tomba di Cultura Unetice ricordiamo gli esemplari di Gaya, di Scané e di Struptice. I casi più recenti sono di epoca medioevale. Alcuni crani sono trapanati due volte (per es. due da Dvory nad Zitavu) entrambi operati con la tecnica del raschiamento; è questo infatti il metodo più diffuso in Cecoslovacchia (Piggot, 1940).
Viene anche segnalata fra i pastori la trapanazione veterinaria (Anda, Marcus
in Dunare, 1966).
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
Romania
In Romania la pratica della trapanazione ha avuto inizio in epoca eneolitica (Holboca, tombe a ocra), ma è più frequente nell’Età del Bronzo, correlata alla Cultura di Monteoru (Necrasov et al, 1973) e continua fino al Medioevo. In quest’ultimo periodo prevale la tecnica del raschiamento, mentre in epoche precedenti sembra prevalere l’incisione (Russu e Bologa, 1961, in Lisowski 1967).
In un esemplare del Bronzo Recente la trapanazione è stata eseguita dopo la morte del soggetto per il probabile prelievo della rondella (Necrasov et al 1973).
Fin da tempi antichi nei ceti pastorali risulta pure diffusa la trapanazione negli ovini (Dunare, 1966; Russu e Bologa, 1961, in Lisowski, 1967).
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
Jugoslavia e l’Albania
Sembra che tanto in Jugoslavia, quanto nella parte settentrionale dell’Albania la trapanazione del cranio sia stata praticata fino al XIX secolo (Lisowski, 1967).
Lo stesso folklore è ricco di racconti su questa pratica chirurgica; si racconta, fra l’altro, come un medico avesse trapanato la fronte della figlia unica dello Zar per estrarre un coleottero (beetle) dal suo cervello (Lisowski, 1967).
Trojanovic, 1900 (Guiard, 1930) riferisce che la trapanazione è praticata «presso i Serbi d’Albania e del Montenegro per le piaghe della testa, la nevralgia, l’emicrania, la follia e altre malattie … e quando un individuo ha procurato a un altro una lesione, causa di trapanazione, deve indennizzarlo o con una certa somma in argento, o facendosi a sua volta trapanare». Si legge in Guiard (1930) che per la trapanazione viene usato uno strumento metallico analogo a quello usato dagli Ippocratici; non si pratica anestesia o tutt’al più all’operando si fa bere acquavite (almeno un litro nell’adulto).
La guarigione di solito si completa in 40 giorni. Rari sono i decessi e qualcuno si fa trapanare più volte nel corso della sua esistenza. In Albania viene pure praticata la trapanazione empirica veterinaria (Dunare, 1966).
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.
La Grecia e la Turchia
Grmek (1985) ha fatto una rapida carrellata degli esemplari cranici greci sia trapanati, che traumatizzati.
Di Età Neolitica è un resto cranico di giovinetta (Catai Hiiyiik, 256 CH) interessato da due piccole perforazioni rotondeggianti (ognuna del diametro di circa 6 mm); Angel (in Grmek, 1985) le ha riferite a operazioni rituali post mortem di significato magico-religioso.
Altre lesioni del cranio sono riferite all’Età del Bronzo o a Epoca Arcaica: un esemplare maschile (da Archames-Creta, 65 AR) porta a carico di entrambi i parietali due esiti cicatriziali simmetrici a forma d’arco con concavità rivolta verso il centro, attribuiti da Tsouros (1974 in Grmek, 1985) a «chirurgia iniziatica», probabilmente provocata da una sorta di tortura, consistente nell’applicazione sulla testa di una corona metallica incandescente: una causticazione del tipo T sincipitale d’altra forma. In cinque crani argivi (due dalla necropoli micenea della Deiras e tre dalle tombe del Periodo Geometrico di Argos) Charles (in Grmek, 1985) individuò perforazioni multiple circolari di piccole dimensioni, a margini precipiti, privi di fatti cicatriziali e del tutto simili alle perforazioni dell’esemplare neolitico di Catai Hiiyiik, probabilmente realizzate con un trapano e per scopi magico-rituali.
Altri cinque esemplari enei sembra portino i segni di trapanazioni in vita: I – un esemplare femminile da Karatas (81 Ka) del Bronzo Antico, con un’apertura rotonda (diametro mm 10); 2 – un altro esemplare coevo della stessa necropoli (522 Ka) «mostra lo scacco di un tentativo di trapanare una zona temporale andata in frantumi»; 3 -l’esemplare 33 Ler da Lerna (Bronzo Medio) di uomo giovane-adulto presenta in regione frontale un’apertura irregolare (mm 60 x 40) con bordi inclinati, degradanti verso il centro del foro; la rondella spezzata in due frammenti venne rinvenuta in loco forse perché lasciata in situa protezione della breccia chirurgica; la tecnica di trapanazione è stata definita «abbastanza rudimentale» (trattasi di scarificazione); 4 – interessante l’esemplare SI Myc, proveniente da una tomba reale del circolo B di Micene; appartiene a uomo adulto sui 30 anni «di forza eccezionale»: sul frontale di destra una ferita lineare (lunga circa 23 mm) risulta ben cicatrizzata, mentre un’altra ferita sul frontale di sinistra venne curata mediante trapanazione con un’apertura rotonda (mm 27 x 30) a contorno netto e con diametri interni maggiori rispetto a quelli esterni; dal suo aspetto si è dedotta la perizia del chirurgo (che usò strumenti bene affilati), anche se il paziente venne a morte poco dopo quest’ultimo intervento; 5 – l’esemplare 16 Arg di uomo sulla trentina proviene da una sepoltura di Argos (Geometrico Antico: 900-850 a.C. ); esso presenta un tentantivo di trapanazione in cura a un probabile fatto settico dell’arcata sopraciliare sinistra; l’atto operatorio venne interrotto per il decesso del paziente: si trattava di un’incisione semicircolare «nettissima», dovuta a strumenti metallici bene affilati (Charles in Grmek, 1985).
Lo stesso Charles (in Grmek, 1985) precisa come le trapanazioni dell’antico mondo greco, iniziate con motivazioni magico-rituali, tecnicamente perfezionatesi in Epoca Micenea, con la Scuola Ippocratica trovarono una indicazione terapeutica in cura a fatti traumatici. Per quanto concerne i traumi cranici, Grmek (1985) indica esemplari traumatizzati a iniziare dal Mesolitico (esemplare della grotta Franchthi, nel golfo di Nauplia); altri sono del Bronzo Antico e Medio, soprattutto maschili. Mentre molti di questi ultimi portano gli esiti di gravi traumi bellici, talora anche mortali ( … gli eroi omerici … ), i pochi esemplari femminili portano esiti traumatici soprattutto da schiacciamento (per es. il 168 Arg di Argos e un altro del palazzo miceneo di Cadmo in Theves: Foundoulakis et al, 1986).
Dunare (1966) segnala la trapanazione veterinaria empirica.
Germanà F., Fornaciari G., Trapanazioni, craniotomie e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’età moderna, Giardini Editori, 1992.