1.06 8000-3000 AF. Medicina e Chirurgia Cranica in India, Cina, Estremo Oriente, Australia e Polinesia / Medicine and skull surgery in India, China, Asia, Australia and Polynesia.

 

 5000-2000 AF.  La Medicina dell’antica Persia e dell’India

Le civiltà orientali e le loro migrazioni. La medicina della antica Persia.

Secondo il parere di Elliot Smith [anatomico ed egittologo] sulle migrazioni della civiltà primitiva, fra il terzo ed il primo millennio a.C., una cultura cantieristicamente distinta migra nel bacino del Mediterraneo e dopo il Mille per mezzo dei navigatori fenici verso l’India; di là alla Malesia, e alla Polinesia, raggiungendo poi le sponde dell’America, assumendo nella sua via varie modificazioni ed aggiunte dai paesi, attraverso i quali passa. Questa cosi detta cultura eliolitica [adoratrice del sole e costruttrice di grandi monumenti di pietra, megaliti] aveva come nota caratteristica l’adorazione del sole e dei suoi simboli, la costruzione di monumenti megaliti» e l’erezione di gigantesche immagini di pietra, la pratica della mummificazione o dell’imbalsamazione dei cadaveri (che si trova anche presso gli Indiani del Nord-America), del tatuaggio, del massaggio, della circoncisione, ecc.

Questa cultura caratteristica — di cui difficilmente si potrebbe immaginare che le manifestazioni tipiche siano sorte spontaneamente in regioni cosi distanti — avrebbe influenzato la prima civilizzazione minoica intorno al 2800 a. C. Verso il 900 a. C. in­vece i navigatori fenici sarebbero stati i suoi intermediari, mentre d’altra parte la Poli­nesia congiungeva il continente asiatico con quello americano. Da questa ipotesi, che certamente per molti motivi sembra giustificata, deriva quella che la più antica civiltà persiana e quella indiana sieno state in relazione diretta o in­diretta con la civiltà babilonese.

La storia della medicina in Persia si divide in due grandi epoche: la prima quella della medicina persiana propriamente detta contenuta negli antichi libri dello Zendavesta; l’altra appartiene alla medicina araba e a quella civiltà musulmana che ebbe un grande sviluppo nell’Iran. A questa portarono un contributo oltremodo prezioso i medici arabi d’origine persiana che furono forse i più illustri antesignani della scienza medica araba.

Ma l’antica medicina persiana della quale è interessante occuparsi nello studio delle civiltà orientali, fiorisce nell’epoca nella quale il grande impero estendeva la sua po­tenza dal Mediterraneo alle rive dell’Indo, dal Caucaso all’Oceano Indiano. Di questa civiltà e di questa medicina scarse sono le tracce che si sono ancora conservate.

La religione dell’antico Iran è essenzialmente dualistica: due creatori e due creazioni sussistono contemporaneamente e ciascuno degli dei superiori ha un largo seguito di divinità che traducono in atto i tuoi disegni. Ahura, Mazda, Ormuzd è il dio Luce, dio del bene e creatore di ogni buona cosa seguito dai sei santi Amesha Spentas che rappresentano la pietà, la bontà e la giustizia: in opposizione a questi, Angramayniu o Ahriman, spirito del male dell’igno­ranza e delle tenebre, ac­compagnato dai sei grandi spiriti maligni e diabolici, lotta per il possesso del mondo. In questa mitolo­gia, la medicina ha una parte notevole: la creazione del giardino di Ameretap, la dea della lunga vita, nel quale cre­scono migliaia di piante buone. La dea fa nascere l’Albero di tutti i semi che cresce nel centro del lago di Vourukasha: vicino ad esso cresce l’albero mira­coloso di Gaokarena che guarisce tutti i mali, l’al­bero che dà l’immortali­tà, insidiato dallo spirito maligno. Una serie di ce­rimonie rituali ha origi­ne da questa leggenda che si riferisce a quanto abbiamo detto parlando del culto degli alberi presso i popoli primitivi. Gli dèi che guariscono sono Thraetona e Ahriman il quale è considerato nell’Avesta come il sanatore per eccellenza. Grande importanza ha in questa mitologia l’antichissima divinità Mithra che deriva certamente da miti solari preistorici, nel cui culto vi sono molti riti simbolici come quelli del sangue, del battesimo e della comunione col pane e col vino. Il culto di Mithra, anche come dio della salute, ebbe grandissima diffusione a Roma e in Grecia verso la fine dell’Impero e contrastò notevolmente il passo all’avvento del Cristianesimo.

Per conoscere la medicina dell’Iran è necessario ricorrere ai libri dell’Avesta e particolarmente al sesto libro, il Vendidad che più diffusamente si occupa del rituale per le purificazioni neces­sarie ad allontanare il dèmone maligno. In questo libro sono conservate le tradizioni, le prescri­zioni e i riti del popolo che abitò gli altipiani dell’Iran, nei tempi nei quali esso viveva ancora la vita semplice della pastorizia, vicino alla terra fedele, nell’adorazione di Ahura Mazda. Anche dopo la venuta di Zarathustra, personaggio mitico del quale sono incerte le notizie, si conservano queste tradizioni e questi precetti trasformatisi più tardi nel mito e nella religione di Mithra. Più tardi la fede si cristallizza in una formula, quella dell’adorazione del fuoco, le pratiche dettate da un’alta idealità divengono semplici espressioni delle leggi di una casta. Ma nel testo dei li­bri antichi si trovano le notizie che possono più esattamente informarci intorno alle origini della concezione medica.

Una legislazione severa teneva lontano dall’abitato secondo il concetto dell’impurità i malati di lebbra, senza che però si possa accertare se la malattia indicata con un termine che significa la macchia bianca sia veramente quella che noi conosciamo col nome di lebbra. La purificazione tanto dell’impurità corporea quanto di quella morale è esattamente prescritta nel Vendidad analogamen­te a quelle pratiche che sono indicate nella Bibbia. …

Tulte queste pratiche di purificazione, ordinate a chi abbia avuto contatto col cadavere di uomini e di animali, sono congiunte con la concezione magica che attribuisce l’origine delle malattie agli spinti maligni. La cura delle malattie è affidata ad Ahura Mazda e alla parola divina : la fede, i riti, l’invocazione del nome divino, la ripetizione delle formule e dei testi costituiscono il fondamento essenziale di ogni cura. I dakmas cioè i luoghi dove sono deposti i cadaveri sono quelli dove gli spiriti maligni si riuniscono e minacciano gli uomini di contaminazione e di malattie. Contro queste cause di ogni male vale soltanto l’invocazione del­l’aiuto divino: null’altro riesce a metterli in fuga. Si può dunque concludere affermando che l’antica medicina dell’Avesta cor­risponde perfettamente nelle sue linee generali e nelle sue origini alla con­cezione medica giudaica: essa ha per fondamento la concezione demonistica dell’origine dei mali e una concezione magica, che via via si trasforma in una ideazione religiosa per la guarigione.

Per quanto riguarda l’e­sercizio della medicina sappiamo che essa era affi­data esclusivamente agli adoratori e fedeli di Maz­da, cioè gli eletti. Nel Ven­didad sono stabilite delle pene ai medici che com­mettessero delle colpe nel­l’esercizio della loro pro­fessione, sono codificati gli onorari dovuti ai medici e sono anche stabilite le pro­ve alle quali il medico de­ve soggiacere prima di po­ter essere ammesso all’e­sercizio professionale. Bi­sogna però rilevare subito che non essendo possibile fissare con esattezza l’epo­ca nella quale gli Avesta ebbero la redazione attua­le, si deve pensare che que­sta codificazione delle nor­me relative alla professio­ne medica sia di origine più tarda, quando cioè la sede definitiva del popolo era già fissata e la sua civiltà era perfettamente evoluta. Tutte le pratiche relative alla proibizione della sepoltura e della incenerazione dei cadaveri, che devono essere esposti all’aria aperta e al sole, e distrutti dagli avvoltoi, pratiche osservate ancora fedelmente dai Parsi, seguaci dell’antica religione di Zoroastro, e che ebbero seguaci soltanto in India, dimostrano la severità della legislazione derivata sicuramente dall’idea che la sepoltura del cadavere renda impura la terra, e l’abbruciarlo offenda la purità e la santità del fuoco. Già Erodoto (I, 138-140) descrìve le pratiche usate dai Persiani per tener lontani i malati e specialmente i lebbrosi, e per assi­curare che i cadaveri sieno divorati dagli uccelli rapaci e dai corvi.

Caratteri essenziali della Medicina Indiana.

L a grande difficoltà nel formarsi un giudizio almeno approssimativamente esatto deriva anzitutto dal fatto che la storia della medicina indiana, come quella dell’arte, della filosofia, della vita sociale, politica e religiosa dei popoli che abitarono la grande penisola Cisgangetica, non è unitaria né continua né perfettamente nota. Non si possono quindi nemmeno approssimativamente valutare le influenze esercitate dalle varie invasioni e dominazioni straniere. La conoscenza degli antichi testi medici indiani è tutt’altro che completa, le traduzioni inglesi finora pubblicate non possono essere considerate perfettamente fedeli: oltre a ciò il gran numero di testi medici chirurgici e farmacologici,
la incertezza assoluta che regna intorno alla loro origine e alla loro compilazione, le scarse nozioni intorno alla vita dei più illustri scrittori di cose mediche, tutta circonfusa dall’atmosfera della leggenda, inceppa notevolmente le ricerche. La mancanza di ogni dato positivo o apprezzabile sulle relazioni intercorse fra la civiltà sumerica e babilonese e quella indiana e fra questa e la medicina greca sulle relazioni intercorse fra i medici indiani e quelli stranieri sono altri fatti che costituiscono un impedimento ad ogni ricerca. Le indicazioni storiche dunque, pur tenendo conto dei preziosi studi che esistono in questo campo sono vaghe e in gran parte malsicure. E ciò avviene forse perché in generale la storiografia indiana in tutti i campi si intreccia con la leggenda dimodoché è oltremodo difficile ricostruire attraverso i testi la verità dei fatti. … Lo studio dell’antica medicina indiana è reso piu facile dal fatto che, come osservò il Jolly [Jolly, Grundriss der Indo-Arischen Philologie und Altertumskunde , Strasburgo, 1901, III] nel suo magistrale volume su quest’argomento, la produzione letteraria medica indiana si attiene fedelmente, fin nei tempi piu recenti, ai modelli antichissimi, cosi che libri di testo pubblicati verso la fine del secolo scorso potrebbero portare una data anteriore
di oltre un millennio. Gli antichi testi medici dei quali avremo occasione di parlare, sono ancora sempre ristrampati e studiati, e i Kaviraj, medici indigeni che si attengono rigidamente alle tradizioni, godono ancor sempre della fiducia della popolazione.
… Ciò che noi possiamo affermare  è che se la medicina indiana si è sviluppata già in tempi antichissimi in una forma originale, l’anatomia indiana, differentemente dalla greca, rimane in uno stadio primitivo, data l’assoluta proibizione delle leggi religiose di ogni contatto coi cadaveri; dobbiamo però riconoscere che, nel campo della materia medica, il contributo della medicina indiana è particolarmente prezioso e che da questa una serie di medicinali è entrata a far parte della farmacologia dei popoli occidentali.
Se la più tarda concezione umorale sembra essere derivata da origine greca, ciò che si rileva da molte identità di testi posteriori con singoli passi di quelli ippocratici, si deve d’altra parte riconoscere che tutte le norme igieniche e dietetiche, per le loro particolari caratteristiche che evidentemente stanno in nesso diretto con le condizioni del clima,
della flora e della fauna dell’India, hanno trovato la loro origine nel paese stesso ove i sacri libri canonici della medicina ebbero valore di leggi, ed i notevoli progressi nel campo della chirurgia, pecialmente della rinoplastica, progressi che derivano evidentemente da una lunga evoluzione di antichissime concezioni, dimostrano come in gran parte il pensiero medico dell’India si sia svolto conformemente alle necessità e alle tradizioni del paese, con rigidissima fedeltà ai piu antichi in insegnamenti. …
Date queste circostanze è evidentemente diffìcile distinguere le origini dei vari concetti in linea cronologica. Vediamo dunque di occuparci di quelli che, per essere caratteristici di questa civiltà, sono anche degni di particolare interesse.

Nel perìodo braminico noi troviamo un principio di studi anatomici per quanto primitivi. I numeri sacri hanno anche nell’anatomia indiana una grande importanza: secondo Susruta il corpo è composto di trecento ossa, novanta tendini, duecento e dieci articolazioni, cinquecento muscoli, settanta vasi sanguigni, tre umori corporali, tre specie di secrezioni, nove organi dei sensi. Tanto i vasi sanguigni, che secondo il concetto anatomico indiano portano anche aria, quanto i nervi partono dall’ombellico. L’insegnamento dell’anatomia ha secondo Susruta una grande importanza. Il cadavere, del quale il medico deve esaminare attentamente ogni organo, viene esposto per sette giorni ad un processo di decomposizione nell’acqua di fiume, rinchiuso in una gabbia, dopo di che si possono scoprire le parti interne senza che ci sia bisogno di servirsi del coltello, ciò «che è severamente vietato dalle leggi religiose, ma semplicemente soffregando le parti molli fino a tanto che gli organi interni si rendano visibili. Questo è l’unico passo di testi indiani nel quale si parli di ricer­che anatomiche (Susruta, 3, 5). …

La Chirurgia Indiana

Lo studio della parte chirurgica dei testi indiani è particolarmente interessante perché — come dimostra il Gurlt nel suo poderoso studio sulla storia della chirurgia — in essa noi troviamo le prove assolute della priorità della medicina indiana di fronte a quella ippocratica; sono infatti citate nei testi indiani operazioni come quella della fì­stola anale ed altre che non sono affatto nominate negli scritti ippocratici, senza parlare delle operazioni plastiche che sono caratteristiche presso l’antica medicina indiana e che in tutto il resto del mondo civile non vengono praticate prima del tardo medioevo.

Se noi consideriamo che nell’India tutti i metalli e la loro lavorazione erano noti molti secoli prima che in Europa, e che in questo paese, abitato da un popolo intelligente, nel quale l’arte, l’industria e la scienza erano già in tempi lontanissimi giunte ad un alto grado di sviluppo, la chirurgia era stata in onore ed aveva fatto oggetto di studio, dovre­mo ammettere che la medicina e soprattutto la chirurgia indiana ebbero nei tempi più antichi uno sviluppo proprio, indipendente dalle scuole greche. Più di ventun libri, oltre a quelli che abbiamo nominato, trattano di medicina. Oltre al quarto santo Veda, altri libri si occupano diffusamente di cure e di pratiche mediche, ma le indicazioni e la tecnica dei più importanti interventi chirurgici si trovano descritte nel citato libro di Susruta.

Secondo questo libro, il medico che si accinge ad una operazione chirurgica deve essere munito di una serie di strumenti esattamente enumerati, ottusi (yantra) o aguzzi (sastra) fra i quali troviamo i coltelli, il cauterio, la ventosa, le seghe, le sonde, gli aghi per suture. L’incisione dell’ascesso deve avere la profondità di due dita. Gli ascessi di varie regioni del corpo sono descritti esattamente nelle loro forme e differenziati nel loro grado di maturazione. L’incisione deve essere fatta nella dire­zione nella quale sono le cavità. In determinate regioni, specialmente nominate come le palpebre, le guance, le tempio, le labbra, l’ascella, l’incisione deve essere in direzione trasversale ; circolare alle palme, e semicircolare all’ano ed al pene. Dopo l’operazione il paziènte deve essere lavato con acqua calda, poi l’ascesso deve essere premuto con le dita tutto intorno per vuotarlo completamente, quindi lavato con un decotto astringente. Nell’apertura dell’ascesso deve essere introdotta una striscia di stoffa bagnata con grasso di sesamo e miele, dopo di che l’ascesso deve essere coperto con una poltiglia, ricoprendo poi il tutto con una tela non troppo grossa, né troppo sottile, e fa­sciato. Al terzo giorno la fasciatura deve essere tolta e rinnovata. È proibito riaprire la fasciatura nel secondo giorno, a meno che ciò non sia consigliato da violenti dolori del paziente.

Il testo prevede esattamente la formazione delle granulazioni e tutto il processo di guarigione. Noi ritroviamo nel capitolo VII una lista di centuno strumenti ottusi, dei quali la mano, secondo l’autore, è il più importante. Vi sono descritte due tenaglie che servono ad estrarre corpi estranei dal naso, dall’orecchio; degli strumenti tubolari di vario genere; ventotto specie di sonde il cui capo deve essere rivoltato come la testa dei vermi e di cui il medico si deve servire per esplorare ascessi o cavità.

Degli strumenti taglienti si distinguono venti sorte, di varie forme : coltelli, rasoi, forbici, bisturi (strumento che deve avere la forma del petalo del giglio), lancette ad un solo taglio, aghi, coltelli della forma di una foglia di kusa, trequarti di varie forme, tenaglie per l’estrazione dei denti, ecc.

Nel capitolo IX vi è una serie di istruzioni allo studente intorno all’uso degli strumenti. Egli deve imparare la tecnica delle operazioni dapprima su sacchi di pelle, o vesciche ripiene di acqua o fango; l’apertura delle vene deve essere studiata su animali; il sondaggio provato ed esperimen- tato sulle piante, e cosi via.

La lista esatta delle operazioni chirurgiche citata con molti commenti dal Gurlt, dimostra come la medicina indiana conoscesse l’operazione della fìstola anale, la tonsillotomia, l’estrazione del feto in caso di presentazione irregolare; dimostra inoltre come fossero note le legature dei vasi fatte con fibre di piante, le suture, delle quali si distinguono quattro specie, e che vengono praticate con tre sorte di aghi rotondi; aghi a tre facce per le parti carnose, ed aghi curvi per le parti vitali, l’addome e lo scroto.

Un capitolo particolare di questo libro è dedicato esclusivamente alla patologia e terapia delle fratture, nelle quali è indicata come segno caratteristico la crepitazione dell’osso. Le prescrizioni per le amputazioni sono precise. Il trattamento delle lussazioni è descritto con somma esat­tezza e perizia, e cosi la riduzione che deve venire praticata per ogni singola lussazione. Nella lus­sazione dell’omero è indicata la riduzione, che deve essere fatta spingendo l’osso all’ingiù e te­nendolo lungo il fianco dopo che un cuscino o un pezzo di stoffa fu posto nell’ascella. Si praticava poi una fasciatura che passava intorno all’ascella ed intorno alla nuca in forma di 8.

La patologia dei calcoli vescicali, che furono in ogni tempo frequentissimi in India, è esatta­mente descritta; la operazione consigliata come necessaria quando le cure interne non abbiano servito, è minutamente indicata, conformemente alla tecnica usata in Europa fino al Cinquecento.

La posizione deve essere tale che le gambe siano allontanate e legate separatamente. L’incisione viene fatta sopra la pietra nella parte sinistra del perineo a due dita circa di distanza dall’ano. La ferita viene poi allargata in relazione alla forma della pietra, e questa viene estratta con una tenaglia di ferro. Si deve stare attenti di non rompere la pietra né di lasciarne dentro alcun frammento; è importante evitare di ledere i canali seminali, i vasi del funicolo spermatico ed il retto. Se i ca­nali seminali sono recisi, il malato diviene impotente.

Non meno esatte sono le prescrizioni per quanto riguarda la medesima operazione nella donna, e quelle che trattano della cura seguente l’operazione.

Oltre a ciò abbiamo prescrizioni esatte per l’operazione dei tumori del collo, per l’incisione nell’ascite, per la tonsillotomia, che viene fatta con un coltello semicircolare dopo che le tonsille siano state prese fra le due parti di una tenaglia e spinte all’ingiù ed infine sulla cura del prolasso del retto.

Un fatto particolarmente interessante nella storta della medicina indiana è il sorgere di una chirurgia popolare nella quale una operazione particolarmente degna di nota è la rinoplastica, che si rendeva frequentemente necessaria presso i popoli dell India dove spesso avveniva l’amputazione del naso per punizione o per vendetta. …

Da Castiglioni A., Storia della Medicina, Mondadori, Milano, 1936, pg 89-99.

 

 

 

4800 AF.   Origine e caratteristiche della Medicina Cinese, Coreana e Giapponese.

La storia della civiltà cinese data certamente da qualche millennio avanti l’epoca dell’Imperatore Fi che regnò intorno al 2800 a.C. Nei tempi antichi, nei quali si svolse un primo periodo di fervido incremento nella civiltà cinese, che portò le arti e le scienze ad un alto grado di progresso, determinando scoperte che rivelano non solo le doti di osservazione profonda di questo popolo, ma la perfezione nel metodo delle ricerche, anche la medicina cinese ebbe un grande sviluppo. Ma ad un certo punto, che è difficile precisare cronologicamente, noi vediamo un fenomeno di arresto quasi completo di questa civiltà; il rispetto per la tradizione, la venerazione per le parole degli antenati, il trasformarsi e lo stilizzarsi dell’amore per la scienza e per lo studio nell’adorazione delle lettere scritte, determinano il cristallizzarsi della civiltà dell’Estremo Oriente in forme che assumono poi un aspetto quasi grottesco. Avviene per la medicina cinese quello che si verifica per l’arte e per la letteratura: lo stemperarsi di un’idea, ottima nelle sue origini, in infiniti minuziosi dettagli, che tutti appariscono sul medesimo piano, cosi da non lasciar piu discenere i particolari insignificanti dai fatti più essenziali. Ma, come l’acuto osserva­tore delle opere d’arte dell’antica Cina ritrova in esse, sfrondandone con la mente i par­ticolari grotteschi, l’impronta della genialità, e come nella filosofia o nella letteratura cinese noi troviamo, se sappiamo leggere con appassionato amore gli antichi testi, le chiare e vive fonti di grandi idee, cosi, scemando, fra tutte le infinite forme, tutti i mi­nuti particolari nei quali si è distillata per millenni la meticolosa ingegnosità dei medici cinesi, ritroviamo idee originali, vediamo come il concetto originale della medicina ci­nese, che ha caratteri indipendenti da quelli di altre civiltà che abbiamo finora esaminato, sia veramente degno del più grande interesse e della massima attenzione.

Oltremodo vasto è il Pantheon degli dei cinesi delia medicina. Ciascuno degli autori che ha de­dicato la sua particolare attenzione a questo argomento ne nomina parecchi: il piu antico Pan Ku il dio che secondo un mito taoista formò l’universo dopo la separazione del caos nei due principi Yang e Yin. Fra le sei maggiori divinità della medicina va citato in prima linea Hua To che fu in realtà, a quanto sembra, un grandissimo chirurgo vissuto intorno al secondo secolo d.C. nel pe­riodo romantico chiamato dei Tre Regni. Egli fu uno dei grandi fautori dell’acupuntura e colui che prescrisse per il primo gli esercizi fisici. Gli storici medici cinesi narrano che egli introdusse la anestesia generale e praticò molte importanti operazioni del cervello, dell’addome c di altre parti. Il giorno della sua nascita è ancora oggi considerato come una festa che si celebra il giorno ventesimottavo del quarto mese. Anche l’imperatore Shén Kung, il secondo dei cinque imperatori leggendari, e considerato generalmente come uno degli dèi della medicina. Ma oltre alle sei divinità maggiori ci sono altre divinità in gran numero, come il divino oculista che viene raffigurato con un occhio in mano, il dio del vaiolo, il dio del morbillo e via discorrendo. Ci sono poi settantadue grandi medici che sono adorati come santi. La religione dunque come si vede ha una parte importante nella medicina cinese e presso nessun altro popolo fu concesso con tanta frequenza ai medici l’onore di essere assunti fra gli dèi o considerati come santi.

Secondo le leggende piu antiche, l’origine della medicina cinese è dovuta all’imperatore Shén Nung che sarebbe vissuto intorno al 2800 a.C. Egli avrebbe insegnato ai suoi sudditi la cultura delle piante e l’uso degli strumenti necessari all’agricoltura, e sarebbe stato il primo a compilare un libro nel quale erano citati più di cento rimedi. A lui si do­vrebbe la tecnica dell’acupuntura. L’opera più antica che conosciamo e che anche ades­so appartiene alla letteratura studiata in Cina, è il Nei-Ching (libro della medicina) autore del quale sarebbe stato l’imperatore Kwang- Ti (2698-2599 a. C.). Se le date fossero esat­te, questo sarebbe il più antico dei libri di me­dicina che noi possediamo, ma generalmente si ritiene dai sinologi che esso sia di origine assai più recente e che almeno la forma nella quale oggi esso ci è noto appartenga ad una data non anteriore al terzo secolo a.C.

Altre fonti della medicina cinese ci sono date da antichi libri fra i quali il più importante è l’enciclopedia che porta il nome di U P’ei I Ts’ang Chin Chien che vuol dire Scritto imperiale intorno all’arte medica, lo specchio d’oro, in quaranta volumi. Questo libro che ancor oggi gode grandissima autorità e fu testo fin nei tempi recentissimi nel Collegio medico imperiale cinese, è una compilazione delle opere di antichi scrittori della dinastia Han (206 a. C. -220 d. C.). La compilazione fu fatta intorno al 1700 dall’imperatore K’ang Hsi della dinastia Manciù e fu pub­blicata per la prima volta nel 1744. Sedici volumi di quest’opera furono tradotti in inglese da W. R. Morse.

Un gran numero di altri testi medici fra i quali i più importanti sono il celebre libro del Polso (Mo Ching) un’opera in dieci volumi considerata uno dei testi classici della medicina, e il Mo Chueh o Segreto del polso, sono una collezione di frammenti di antichi autori, dei quali si raccol­gono i precetti trasmessi mediante la tradizione orale con l’aiuto di brevi commenti. Un recente testo di storia della medicina cinese dovuto ai medici cinesi K. Chimin Wong e Wu Lien-Teh, stampato a Tientsin nel 1932, contiene indicazioni preziosissime su quest’antica letteratura. Il fondamento della medicina cinese è da ricercarsi in un primo tempo nella medicina magica e de­moniaca che ancora sempre domina sovrana in tutta la Cina ove si sono conservate tutte le più antiche superstizioni e tutte le pratiche analoghe alla magia dei primitivi. In un secondo tempo essa trae le sue origini dalla filosofia e cosmologia cinese, mentre contemporaneamente si sviluppa una medicina empirica e popolare fondata su una vasta cognizione dei medicamenti vegetali. La concezione dell’Universo che forma il fondamento essenziale della filosofia e di tutta la medicina cinese corrisponde a quella della filosofia cinese che ha servito di base alla religione di Confucio: l’uomo è composto, come ogni cosa al mondo, di cinque ele­menti: legno, fuoco, terra, metallo ed acqua e costituisce un microcosmo nel macroco­smo. Nella filosofia cinese il numero cinque ha la massima importanza, infatti ai cinque elementi corrispondono cinque sensi, cinque visceri, cinque colori, cinque gusti c cosi via.

Un altro elemento importante nella combinazione del macrocosmo è il principio delle relazioni fra il maschile ed il femminile, due qualità polari, opposte, dì cui l’una è il principio positivo ma­schile (Yang) che rappresenta il cielo, la luce, la forza, la durezza, il caldo, l’asciutto, mentre l’al­tra, il femminile o negativo (Yin) rappresenta la luna, la terra, l’oscurità, la debolezza, l’umido ed il freddo, tutte insomma le qualità passive; sul perfetto equilibrio di questi due principi sono fon­dati la salute, la tranquillità, il benessere; ogni co­sa riesce per un congiungimento e perisce per una decomposizione: e l’avvicendarsi di questi feno­meni è nelle leggi supreme che reggono l’universo.

Questo concetto è differente da quello che ri­scontriamo in altre antiche civiltà anche per il fatto che il Yang deve essere secondo il concetto cinese essenzialmente dominatore. I rimedi re­vulsivi, largamente adoperati dai Cinesi, trovano la loro origine nell’intenzione di suscitare l’attivi­tà dell’Yang; a questo scopo servono probabil­mente anche cure psichiche. L’importanza fon­damentale del fluido vitale maschile generatore è dimostrata da un’affermazione del filosofo Wankh’Ung che scrisse nel primo secolo dopo Cristo. Senza questo fluido, Yang, il corpo non può vive­re, ma senza il corpo il fluido perde la sua vitalità.

Secondo la fisiologia cinese, il corpo umano è composto di cinque grandi visceri : il cuore, i pol­moni, i reni, il fegato e la milza, dai quali dipen­dono altri cinque organi cioè l’intestino tenue, il crasso, l’uretere, la vescica e lo stomaco. Ognuno dei grandi intestini corrisponde ad un elemento, a un pianeta, a un colore, a una stagione ecc. ed ha relazione particolare con l’uno o l’altro degli organi. Cosi il cuore che è l’organo piu importan­te ha per madre il fegato, per figlio lo stomaco, per nemico il rene; esso corrisponde all’elemento fuoco e al pianeta Marte. La circolazione si effettua per l’azione del principio motore Yang e si com­pie cinquanta volte nelle ventiquattro ore. Nei vari organi la sostanza vitale formata dall’unione dei due prìncipi e dal sangue, Ke, circola per mezzo di canali di comunicazione.

La patologia cinese deriva dalla concezio­ne dei due princìpi: la causa principale di tutte le malattie deriva da una disarmonia nel loro equilibrio oppure dall’arresto del continuo fluire di Yang e Yn. Questi due principi creano e distruggono, personificano la energia e la dissoluzione, l’umido e il caldo: gli effluvi o umori sono il risultato di una perturbazione nell’armonia di queste due forze cosmiche.

L’anatomia cinese della quale trattano molti antichi testi, fra i quali il più noto è quello chiamato Ling Su Cing (intorno al sesto secolo dell’èra volgare) è in generale quasi esclusivamente fantastici, costruita su una dottrina puramente teorica ed un sistema di filosofìa naturale. Gli studi anatomici sono fondati sulle idee religiose e magiche, senza nessun riguardo ai fatti reali: l’insegnamento di Confucio secondo il quale il corpo è sacro e non deve essere toccato ha impedito fino ai nostri tempi lo studio dell’anatomia.

Né le cognizioni di fisiologia sono più esatte.

Per quanto riguarda la diagnostica, essa è dominata dalla dottrina del polso che è oltremodo complicata. Il corpo umano è paragonato ad uno strumento a corde; i vari polsi assomigliano alle corde ed esaminandoli si può riconoscere l’armonia o la disar­monia dell’organismo. L’esame del polso è quindi fondamentale per tutta l’azione del medico: da esso dipendono la diagnosi, la prognosi e la terapia. Esso viene praticato in undici punti differenti; ogni polso deve essere esaminato tre volte separatamente; una volta con una leggera pressione, la seconda volta la pressione deve essere un po’ più forte e la terza fortissima. La medicina cinese conta duecento specie di polsi, tutte differenti, e non meno di ventisei che indicano la prossima morte. Ciò premesso, è evidente come, secondo le prescrizioni cinesi, il solo esame del polso duri parecchie ore. Il medico ci­nese non dà alcuna importanza all’anamnesi e fa la sua diagnosi senza curarsene.

Un trattato intorno all ‘Arte di vivere a lungo in buona salute consiglia in prima linea le misure dietetiche e igieniche, l’ordinamento degli esercizi fìsici e del lavoro giornaliero secondo un determinato sistema: tutte le prescrizioni mediche sono però sempre rego­late secondo la legge dei due principi fondamentali. L’organoterapia fu praticata in Cina fin dai tempi più antichi perché si ritenne che alcuni organi di certi animali possiedano una parte importante di essenza vitale. I polmoni, il fegato, i testicoli e altre parti di ani­mali furono considerati efficaci in Cina fin dai tempi più antichi; i soldati e i lottatori bevono il sangue o mangiano il fegato della tigre, ma certo in tempi più antichi si usò togliere l’uno e l’altro dai morenti per eccitare il valore e aumentare il coraggio di colui che ricorreva a questi mezzi.

La variolazione è nota dai tem­pi più antichi, ma non è proba­bilmente di origine cinese. La crosta di una pustola viene pol­verizzata ed introdotta nel naso, oppure soffiata in esso con un tubo di bambù; nei bambini la inoculazione si fa nella narice si­nistra, nelle bambine nella destra. …

La parte più importante della medicina cinese è costituita dalla farmacologia, che è la più ricca di quante si conoscano. L’opera principale Pen Ts’ao Kong Mu composta verso la metà del secolo XVI, conta cinquantadue volumi ed ha per base l’antichissimo libro attribuito all’imperatore Shen Nung. In esso sono descritti quasi duemila medica­menti. Vi è indicato l’uso del ferro contro l’anemia, dell’arsenico contro le malattie cu­tanee e la febbre intermittente, del mercurio contro la sifìlide, del rabarbaro, che venne dalla Cina in Europa, e del solfato di sodio come purgante, della radice di melograno contro i vermi e dell’oppio come narcotico.

La chirurgia fu un tempo fiorente nella Cina antica: si parla negli antichissimi testi di un grande chirurgo, Hua To e si citano molte operazioni. Nel terzo secolo a.C. erano già usati metodi pratici per la medicazione delle ferite: ma sembra che già nel nono secolo l’operazione del labbro leporino fosse praticata frequentemente e con grande abilità.

La castrazione è citata già prima del 1000 a. C. e veniva praticata da specialisti allo scopo di avere gli eunuchi per il servizio imperiale. Il numero degli eunuchi ascendeva nell’epoca del massimo splendore dell’impero cinese a parecchie migliaia. …

L’acupuntura ha una parte impor­tantissima nella terapia cinese. Essa consiste nell’introdurre nella pelle un certo numero di aghi sottilissimi, cal­di o freddi, di argento, d’oro, d’ac­ciaio o di ferro, di varia lunghezza (da 3-24 cm.) con lo scopo di pene­trare in uno o più canali chiamati chin che contengono i due principi vitali. Questi canali non contengono sangue e si suppone che sieno in re­lazione profonda con gli organi vita­li. I canali sono dodici e la puntura deve servire a rimuovere le eventuali ostruzioni e permettere il deflusso delle secrezioni maligne. L’inizio dell’acupuntura data intorno al 2700 a.C. [4700 AF]; essa si è conservata quasi inal­terata fino al giorno d’oggi. …

Le condizioni del personale sanitario in Cina si sono mantenute fino ad oggi, da secoli, senza importanti modificazioni. L’insegnamento della medicina fu empre affidato ad un collegio superiore di medici. Sotto la dinastia dei Than furono tabilite le cariche dei medici di corte ai quali fu affidato l’incarico di impartire lezioni agli studenti dai libri canonici della medici­na. L’imperatore Kublai, della dinastia mon­golica, che regnò verso la fine del secolo XIII, fu il primo ad introdurre le vere prescrizioni per gli esami, e la dinastia dei Ming, che regnò dal XIV al XVII secolo, istituì compicati sistemi di concorsi per gli studi dei me­dici. …Se consideriamole caratteristiche principali della medicina cinese noteremo che essa costituisce un sistema rigidamente chiuso il quale ha subito pochissime modificazioni nei corso dei secoli. La medicina cinese essen­zialmente dogmatica rifugge dall’osservazio­ne anatomica come dall’espcriinento, gelosa soltanto delle dottrine tradizionali, fedele fi­no alla più minuziosa ed estrema pedanteria alla lettera, più che al senso degli antichi te­sti. Scarse sono le tracce da essa lasciate nell’evoluzione del pensiero medico, nella storia del quale essa rappresenta una formazione staccatasi dal grande albero vitale.

Diffusione della Medicina Cinese nella Corea ed in Giappone.

L’influenza della medicina cinese si estese, soprattutto attraverso la Corea, al Giappone. Per molti secoli il Giappone fu dominato in­teramente dalla civiltà cinese, la quale sop­piantò interamente una antichissima medici­na giapponese autoctona nella quale esiste­vano, a quanto si può dedurre da antiche leggende, elementi abbastanza vasti di cogni­zioni anatomiche. Intorno al quarto secolo d.C., la civiltà cinese penetrò in Giappone attraverso la Corea, i medici cinesi furono chiamati alla corte e presto furono erette scuole cinesi che ebbero una grande importanza. Il sistema evidentemente conservativo della vita sociale in Giappone divise anche i medici in varie categorie. I medici del Mikado e dell’aristocrazia appartenevano alla nobiltà e portavano un vestito a lunghe maniche e la spada, invece i medici del popolo appartenevano alle classi basse della po­polazione.

Intorno al settimo secolo dell’èra volga­re la medicina cinese era ancora interamen­te dominante. Il pri­mo ospedale giappo­nese fu costruito nel 758 dall’ imperatrice Komyo.

Nel libro medico intitolato Ishinho, scritto da Yasuyori Tamba nel 982, sono già descritti ospedali destinati per malati di vaiolo. Tutta la tera­pia cinese ebbe gran­dissima voga: parti­colarmente l’acupun­tura che fu praticata su larga scala e che rimase sempre un ri­medio raccomandato dai medici giappo­nesi.

Verso la fine del secolo XV vi furono singoli medici giap­ponesi di grande va­lore che tentarono di liberare la medicina dai vincoli della scienza cinese; va nominato tra questi il grande medico Nagata Tukouhon che fu considerato uno dei più insigni innovatori e riformatori.

Ad un primo periodo mistico durante il quale la medicina giapponese fu qua­si esclusivamente magica, ad un secon­do periodo nel quale predominò la me­dicina cinese, segui un periodo chia­mato di Yeddo (1616-1867) durante il quale la medicina europea penetrò len­tamente in tutte le scuole giapponesi.

Coll’arrivo dei primi vascelli portoghesi nel 1542 la medicina europea cominciò a pe­netrare lentamente nel Giappone ove più tardi anche medici olandesi ebbero rinomanza e portarono gli insegnamenti dei grandi clinici fiamminghi.

Nel 1857 gli olandesi fon­darono a Yeddo una scuola medica dalla quale sorse più tardi l’attuale Università di To­kio. In un periodo più recente, nella seconda metà del secolo scorso, la medicina giap­ponese fu completamente sotto l’influenza tedesca, ma verso la fine del secolo essa si liberò da questa dipendenza e portò un contri­buto efficace al progresso della medicina.

L’ultimo periodo storico indicato col nome di periodo Meiji, dal 1868 ai giorni nostri, è quello nel quale la me­dicina giapponese si afferma decisa­mente e le scuole mediche si organizza­no secondo il modello europeo. Duran­te questo periodo modernissimo molti illustri scienziati giapponesi hanno por­tato, come vedremo, un contributo notevolissimo ai progressi della medi­cina.

È però un fenomeno interessante che merita di essere qui notato, che, con l’acuto risveglio del nazionalismo giap­ponese in tutti i campi, si riscontra anche in tempi recentissimi [tra la I e la II Guerra Mondiale] una mani­festa tendenza al ritorno ad antiche dottrine e pratiche della medicina giap­ponese. Gli antichi testi medici tornano ad essere studiati specialmente per tutto quanto riguarda la parte clinica e te­rapeutica. …